Due anni fa, il 15 luglio 2020, il funzionario italiano delle Nazioni unite Mario Paciolla veniva trovato senza vita a San Vicente del Caguán, Colombia. Cinque giorni prima della sua morte aveva avuto un litigio con alcuni colleghi della Missione Onu di cui faceva parte. Era l’ultima di molte tensioni. In seguito a quella riunione, aveva deciso di tornare in Italia prima della scadenza del contratto. Il 15 luglio aveva in programma di recarsi a Bogotá. Da lì, pochi giorni dopo, avrebbe preso il volo per l’Italia. Tuttavia, i colleghi della Missione incaricati di portarlo a Bogotà lo hanno trovato impiccato nella sua stanza, con ferite ai polsi e al collo.

L’Onu ha classificato fin da subito l’episodio come un caso di «morte autoinflitta». Per la famiglia e gli amici di Mario questa ricostruzione non è credibile. Sono diverse le contraddizioni che farebbero pensare a una messa in scena e a un tentativo di depistaggio. Al centro delle perplessità c’è l’operato delle stesse Nazioni unite, in particolare di Christian Thompson, all’epoca capo della sicurezza della Missione a San Vicente. É stato proprio Thompson il primo ad accorrere sul luogo del ritrovamento del cadavere per poi, invece di seguire le procedure standard delle Nazioni unite, ripulire la stanza con la candeggina e buttare in una discarica alcuni oggetti con tracce di sangue rinvenuti nella stanza di Mario. La polizia colombiana è finita sotto indagine per aver permesso a Thompson di manomettere la scena del ritrovamento ed eventuali prove.

LA FAMIGLIA PACIOLLA ha denunciato anche le irregolarità commesse durante l’autopsia eseguita dalle autorità colombiane, che ha dato come verdetto una compatibilità con l’ipotesi del suicidio. A presenziare all’esame medico fu un funzionario Onu, invece che un medico legale: dettaglio importante, considerando che il corpo di Mario Paciolla è stato rimpatriato in pessime condizioni che hanno reso difficile lo svolgimento di ulteriori esami.

Le azioni di Thompson ex sottufficiale dell’esercito colombiano, non sono mai state messe in discussione dagli alti ranghi della Missione. Al contrario, nei mesi successivi agli eventi, Thompson è stato promosso a capo del National Security Center della Missione Onu in Colombia.

Al di là del modus operandi del capo della sicurezza, la morte di Mario Paciolla ha posto in evidenza una serie di problematiche nella gestione della Missione da parte del suo capo in carica: il diplomatico messicano Carlos Ruiz Massieu. Secondo le informazioni recuperate dalla giornalista colombiana Claudia Duque, nei quattro giorni successivi alla morte di Paciolla, tutti i membri della missione hanno ricevuto tre email che imponevano «l’obbligo di riservatezza e il divieto di concedere interviste e dichiarazioni ai media» sull’episodio. Allo stesso modo, sul profilo Twitter ufficiale del capo della missione non è stato fatto alcun riferimento alla morte del funzionario.

Secondo il giornalista tedesco Stephan Kroener, esperto di politica colombiana, «l’Onu aveva il dovere di accompagnare il corpo di Mario e consegnarlo ai suoi genitori, parlare con loro e spiegare cosa pensavano fosse successo. Il silenzio è complice e in questo caso il silenzio mostrato dall’Onu davanti alla famiglia e agli amici di Mario è una vergogna per l’intera organizzazione».

LA FIGURA DI RUIZ MASSIEU era giá stata al centro di uno scandalo internazionale nel 2016, quando la rivista Proceso pubblicó le mail raccolte da MexicoLeaks, in cui la zia del capo della Missione, Claudia Ruiz Massieu Salinas, utilizzava la sua influenza politica, in quanto ministra degli Esteri in Messico, per promuovere la rielezione di Carlos come membro della Commissione consultiva degli Affari amministrativi e bilancio dell’Onu. Una raccomandazione non banale, in quanto la famiglia Ruiz Massieu rappresenta uno storico gruppo di potere in Messico, con una radicata influenza sul partito di stato, il Partido Revolucionario de los Trabajadores (Pri), il quale ha governato negli ultimi decenni il Paese finendo sotto inchiesta per crimini di corruzione, narcotraffico e sparizioni di civili.

LA GIORNALISTA CLAUDIA DUQUE ha raccolto diverse fonti interne all’Onu che sottolineano l’apparente vicinanza di Carlos Ruiz Massieu alla sfera politica dell’uribismo, il gruppo di potere colombiano di cui fa parte il presidente uscente Ivan Duque.
Esistevano, secondo la giornalista, delle tensioni interne alla Missione legate alla gestione “politica” del lavoro di verifica degli Accordi di Pace. Lo stesso Paciolla aveva espresso il suo disaccordo verso le modalità di comunicazione della Missione e verso una gestione verticale e “gerarchica” che trascurava i bisogni dei suoi funzionari meno influenti.

Di sicuro, a distanza di due anni, non ci sono risposte definitive su quanto accaduto tra la notte del 14 luglio, quando Mario è stato visto mentre discuteva al telefono fuori casa, e la mattina dopo, quando il suo corpo fu trovato senza vita dai suoi colleghi. Non sono ancora stati pubblicati i risultati dell’autopsia svolta a Roma e l’attività della Procura italiana sembra essere giunta in un vicolo cieco. Le inchieste televisive prodotte in Italia sul caso non sono riuscite a dare l’impulso sperato alle indagini.

RESTA INVECE ACCESA la rabbia e la sete di giustizia dei familiari e amici di Mario che hanno dato vita all’associazione “Giustizia per Mario Paciolla” con cui cercano di mantenere viva la memoria del funzionario e attivare la società civile per mettere pressione alle autorità coinvolte nel caso.
L’appello dei genitori, Anna Motta e Pino Paciolla, è sempre lo stesso da due anni a questa parte: «Chi sa parli».

da il manifesto