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Diversi paesi europei inaspriscono le pene per gli attivisti ambientalisti

In Europa le iniziative degli ambientalisti non sembrano aver incontrato più di tanto il sostegno delle popolazioni. In compenso su di loro si va abbattendo la repressione. E si registrano le prime defezioni come nel caso dell’autoscioglimento di Letzte Generation

di Gianni Sartori

Le generazioni future forse non ringrazieranno.

Mentre caldo torrido e tempeste improvvise allietano l’estate della masse popolari europee, nel Vecchio Continente si inasprisce la repressione contro i militanti ecologisti. Dalla Gran Bretagna alla Francia, all’Austria, alla Germania…(e si presume che l’Italia finirà per allinearsi).

Roger Hallam era già conosciuto come uno dei fondatori del movimento “Just Stop Oil” e di “Extinction Rebellion”. Dal 18 luglio anche per essere uno dei cinque ecologisti (gli altri sono Daniel Shaw, Louise Lancaster, Lucia Whittaker De Abreu e Cressida Gethin) condannati a pene spropositate (quattro e cinque anni di detenzione) per “complotto inteso a provocare perturbazione dell’ordine pubblico”.

In quanto avrebbero preso parte a una riunione Zoom al fine di radunare attivisti per bloccare la M25, la grande circonvallazione di Londra. Operazione posta in essere il 7 novembre 2022 e durata circa quattro giorni.

Allo scopo di gettare l’allarme sulle nuove licenze per l’estrazione di petrolio e di gas che il governo stava per concedere.

Un caso analogo quello di altri due militanti ecologisti che nell’aprile 2023 erano stati condannati a tre anni di carcere dopo essersi arrampicati sul Ponte Queen Elizabeth rimandovi sospesi per circa 37 ore, bloccando di fatto la circolazione.

Non si tratta di episodi destinati a rimanere isolati. Di fronte alla crisi climatica (e a tutto il resto: estinzione delle specie, deforestazione, migrazioni indotte dai cambiamenti climatici, carestie, guerre a macchia di leopardo, genocidi più o meno mascherati di palestinesi, curdi, mapuche, adivasi, indios…) è probabile che le azioni di protesta vadano intensificandosi. Comportando fatalmente qualche “disturbo della quiete pubblica”. O se vogliamo qualche contrattempo per l’ordinaria opera di estrazione del profitto dalle attività quotidiane. Non sia mai, devono aver pensato le autorità britanniche introducendo (nel 2023) il Public Order Act. Con cui si andava criminalizzare ogni azione ritenuta atta a perturbare l’ordine pubblico. A discrezione delle forze dell’ordine in base al successivo (2024) Police, Crime, Sentencing and Courts Act.

E se Londra non lesina nelle condanne, Parigi non è da meno.

Vedi quanto avviene con le proteste contro la A69, una lingua d’asfalto di 53 chilometri in costruzione tra Castres e Toulouse. Progetto sostenuto dai politici locali e definito “un ecocidio economicamente scandaloso” dagli ambientalisti che – nonostante l’asprezza della repressione – continuano a opporsi.

In base ai dati forniti l’8 agosto dal Coordinamento anti-repressione, un collettivo che raccoglie i vari gruppi attivi contro la A69 (tra cui Attac, il Groupe national de surveillance des arbres- GNSA e La Voie est libre-LVEL, le organizzazioni in cui è maggiore il numero degli arrestati) dalle prime iniziative del febbraio 2023 centinaia di persone sono state fermate, 130 quelle indagate, 60 i processi (tra quelli già avviati e quelli a venire).

Sette militanti si trovano in carcere e 44 sotto controllo giudiziario, 27 quelli con foglio di via.

Tra le persone per cui la sentenza è già stata emessa, una è stata posta in libertà dopo 4 mesi di detenzione, un’altra è stata condannata a sei mesi. Per altri quattro condannati la pena si è trasformata in arresti domiciliari con braccialetto elettronico. In qualche caso la perquisizione, l’interrogatorio e l’arresto si sarebbero svolti con modalità discutibili. Alcuni hanno denunciato maltrattamenti e anche “fratture al volto che hanno richiesto interventi operatori” come confermato dai certificati medici.

Vista la situazione generale, non si può dire cada come un fulmine inaspettato a ciel sereno (direi ci sta visto che si parla di clima) il comunicato del 6 agosto di Letzte Generation, il ramo austriaca di “Ultima Generazione” (il collettivo disobbedienza civile resistenza nonviolenta sorto in Germania). Con cui annunciava, a tre anni dalla nascita, l’ autoscioglimento. Sia per non meglio specificati “dissensi interni” (probabilmente sulle modalità di intervento), sia – soprattutto direi – per problemi finanziari (gli avvocati costano).

 “Avevamo continuato nonostante la violenza subita, le minacce di morte, gli arresti e il carcere, l’odio nei nostri confronti e le multe che ormai raggiungono le decine di migliaia di euro – spiegavano nel comunicato. Ma ora, non vedendo la possibilità di conseguire risultati “sospendiamo le nostre proteste”.

Proteste avviate nel 2021 contro la costruzione di un grande tunnel autostradale nel centro di Vienna. In seguito avevano occupato le piste e le strade degli aeroporti austriaci per protestare contro l’impiego delle energie fossili e la catastrofe climatica. Stando alle dichiarazioni della portavoce Marina Hagen-Canaval alcune centinaia di persone (oltre 600) avrebbero preso parte alle diverse azioni di protesta (calcolando solo quelle del 2023 e del 2024 almeno 378). In questi tre anni, secondo Letzte Generation, il governo austriaco avrebbe “brillato per totale incompetenza”. Ma, sempre a loro avviso “anche la società ha fallito visto che parte della popolazione continua a sostenere l’uso dei combustibili fossili”.

Tuttavia per quanto ora si sentano “profondamente tristi”, sono anche convinti di “aver piantato i semi di una futura sollevazione pacifica politicizzando migliaia di persone”.

Va ricordato che alcuni militanti austriaci (tra cui Martha Krumpeck) rimangono ancora in carcere e molti altri rischiano la medesima sorte (o comunque multe pesantissime) in caso di condanna. Attualmente sarebbero 230 le cause penali in corso e quasi 4mila le denunce amministrative (civili). Per un totale di 1060 arresti.

Per cui “utilizzeremo le nostre rimanenti risorse finanziarie per coprire le spese legate alla nostra difesa nei tribunali”.

Fermo restando che “Noi rimaniamo in collera. La resistenza continua”.

 

 

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