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Diritto al soccorso e diritto di accesso ad un porto sicuro

Nessuna rimozione è possibile. Matteo Salvini si dice orgoglioso di quel che sta facendo il ministro Piantedosi. Eppure l’intera strategia costruita all’indomani delle elezioni  appare ancora destinata a fallire sotto i colpi degli altri Stati dell’Ue che non intendono perdonare all’Italia il mancato rispetto degli obblighi di soccorso e sbarco nel porto sicuro più vicino, obblighi sanciti dal Diritto internazionale e richiamati dalle Direttive e dai Regolamenti europei.

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. I fatti di cronaca quotidiana ed il susseguirsi di notizie su scandali veri o presunti costituiscono da sempre armi di distrazione di massa per allontanare la individuazione delle responsabilità dei politici di governo che fanno valere la forza dei sondaggi d’opinione e della maggioranza parlamentare contro il rispetto delle leggi e delle Convenzioni internazionali. Attaccare l’avversario politico con l’attribuzione di “responsabilità collettive” da sanzionare sulle prime pagine dei giornali, prima che nelle aule dei tribunali, costituisce un espediente ormai fin troppo evidente di chi, dopo gli slogan elettorali non è capace, in tuti i campi, di individuare ed attuare vere soluzioni dei problemi sociali e umanitari che si stanno sommando sul fronte interno e a livello internazionale.

Le politiche migratorie, che non si possono ridurre al “controllo dei flussi”, rimangono al centro delle questioni irrisolte che i governi cercano di affrontare, moltiplicando gli attacchi contro le Organizzazioni non governative, espressione della società civile organizzata che non arretra di fronte a chi vorrebbe intensificare la costruzione dei muri alle frontiere terrestri e la politica degli accordi con paesi che non rispettano i diritti umani (esternalizzazione) per chiudere tutte le vie di fuga a mare. Perchè di fuga si tratta, quando i migranti cercano di lasciare l’Egitto, la Libia e la Tunisia, senza che sia possibile distinguere, in acque internazionali tra migranti economici e potenziali richiedenti asilo, Quando si annega non ci sono differenze e le Convenzioni internazionali vietano qualsiasi discriminazione tra le persone che sono in pericolo in mare, non si tratta di “clandestini” ma di naufraghi da salvare e trasferire in un porto sicuro di sbarco, che nessun paese nordafricano, per ragioni diverse, è attualmente in grado di garantire. Come è confermato dai più recenti rapporti delle Nazioni Unite e delle principali agenzie umanitarie. Da ultimo un Rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, aggiornando precedenti documenti,e dopo precise denunce delle posizioni italiane sulla chiusura dei porti, ha fornito precise linee guida agli Stati costieri ed ai comandanti delle navi civili per l’assegnazione di un porto di sbarco sicuto, che va garantita non solo sulla base delle Convenzioni internazionali di diritto del mare, ma anche tenendo conto della Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, nonchè delle Direttive e dei Regolamenti europei al riguardo.

I diversi governi italiani hanno tuttavia cercato di aggirare la condanna subita dal nostro paese nel 2012 dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo sul caso Hirsi Jamaa ed altri, relativo ad un respingimento collettivo effettuato da una motovedetta della Guardia di finanza, la Bovienzo, che il 6 maggio 2009,dopo avere intercettao i naufraghi in acque internazionali li riconduceva nel porto di Tripoli e li riconsegnava direttamente sulla banchina alle autorità libiche. Per evitare che arrivassero altri migranti in fuga dai lager libici, si sono forniti cospicui finanziamenti alle milizie di Tripoli ed alle milizie che le supportavano, talvolta anche con contributi alle autorità locali, nel tentativo di incrementare i centri di detenzione in quel paese e di rafforzare la sedicente Guardia costiera “libica”, alla quale si sono offerti non solo mezzi, ma anche formazione ed assistenza, e fino al 2020 anche coordinamento operativo da una nave militare italiana stabilmente ormeggiata nel porto militare di Abu Sitah a Tripoli (missione Nauras).

Lo stillicidio di vittime nel Mediterraneo e le torture visibili sui corpi di chi riesce ad arrivare in Europa, costingono ancora a ricercare i responsabili di quelli che sono stati definiti crimini contro l’umanità. Come si documenta in una recente denuncia alla Corte Penale internazionale sulle complicità di diversi politici europei ed italiani, con Frontex e con le autorità libiche, per le violenze inflitte ai migranti trattenuti nei centri di detenzione in Libia o intercettati in acque internazionali. “Soccorsi” che di fatto si traducono in sequestri di persona di naufraghi riportati a terra, e quindi riconsegnati a quelle stesse milzie dalle quali erano riuscire a sfuggire, pagando un prezzo sempre più elevato. In territori nei quali diventa impossibile distinguere tra milizie armate e bande criminali che contollano i trasferimenti verso i punti di imbarco e le partenze verso l’Europa.

A partire dal 2017 il ritiro della maggior parte degli assetti navali della missione Themis di Frontex, solo in parte sostituita dalle Operazioni Eunavfor Med (prima Sophia ed oggi Irini), contemporaneamente alla minore presenza operativa in acque internazionali della nostra Guardia costiera e delle navi militari italiane della missione Mare Sicuro, di “supporto alla Guardia costiera libica”, hanno accresciuto il carico delle operazioni “Search and Rescue”(SAR) svolte dalle navi umanitarie.  A partire dal caso Iuventa, con un ruolo di continua disinformazione da parte delle forze di polizia e di Frontex, si sono moltiplicati così i tentativi di criminalizzazione che hanno come obiettivo l’eliminazione di qualsiasi testimone indipendente in acque internazionali chiamate zone SAR (libica o maltese)nelle quali vengono compiuti gravi illeciti e si ripetono casi di omissione di soccorso o di respingimento collettivo “delegato” o indiretto.

L’unico porto sicuro (place safety) verso cui condurre le persone soccorse al largo delle acque territoriali libiche è l’Italia, come stabilisce il Regolamento Europeo n.656 del 2014. Secondo l’Articolo 4 del Regolamento (Protezione dei diritti fondamentali e principio di non respingimento) “Nessuno può, in violazione del principio di non respingimento, essere sbarcato, costretto a entrare, condotto o altrimenti consegnato alle autorità di un paese in cui esista, tra l’altro, un rischio grave di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura, alla persecuzione o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti, o in cui la vita o la libertà dell’interessato sarebbero minacciate a causa della razza, della religione, della cittadinanza, dell’orientamento sessuale, dell’appartenenza a un particolare gruppo sociale o delle opinioni politiche dell’interessato stesso, o nel quale sussista un reale rischio di espulsione, rimpatrio o estradizione verso un altro paese in violazione del principio di non respingimento. In sede di esame della possibilità di uno sbarco in un paese terzo nell’ambito della pianificazione di un’operazione marittima, lo Stato membro ospitante, in coordinamento con gli Stati membri partecipanti e l’Agenzia, tiene conto della situazione generale di tale paese terzo”. Non si possono denunciare quindi soltanto le responsabilità di Frontex e del suo Consiglio di Amministrazione, ma occorre approfondire la ricerca delle responsabilità anche per la collaborazione offerta dall’agenzia agli Stati terzi, nelle operazioni di intercettazione in acque internazionali, Di questi respingimenti collettivi su delega sono direttamente responsabili gli Stati costieri ospitanti, dunque l’Italia ed il suo governo, e Malta, sia pur tenendo conto della ridotta estensione territoriale di questa isola-Stato, che da tempo hanno stretto accordi con le autorità libiche.

2. Con il Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti stipulato con il governo di Tripoli, neppure rappresentativo dell’intera Libia, il 2 febraio 2017, il governo italiano ha ripristinato il Protocollo operativo stipulato dal governo Prodi con la Libia di Gheddafi nel 2007. Nel 2018 veniva istituita una zona SAR “libica”e si fornivano numerose motovedette alla sedicente guardia costiera “libixa” per aumentare le capacità di contrasto di quella che veniva definita soltanto come “immigrazione illegale”. Malgrado fosse già chiara la distrinìbuzione di precise responsabilità da parte delle autorità di governo italiane ed europee, come accertato da una sentenza di condanna del Tribunale permannete dei Popoli nel dicembre del 2017, si intensificavano gli attacchi giudiziari e contemporaneamente le minacce a mano armata dei guardiacoste libici contro le ONG impegnate in attività di soccorso, come si verificherà nel caso S.S Others versus Italy, attualmente all’esame della Corte europea dei diritti dell’Uomo a seguito di un intervento violento da parte di una motovedetta libica durante una operazione di soccorso condotta dalla ONG Seawatch.

3, Nel corso degli anni gli accordi di collaborazione con i libici, finalizzati al “controllo dei flussi migratori” ed alla “lotta contro l’immigrazione illegale”, sono stati rinnovati da governi di segno diverso, sempre con ampie maggioranze trasversali in Parlamento, senza che si tenessero in alcun conto gli abusi commessi in Libia ai danni dei migranti trattenuti nei centri di detenzione in quel paese, e le violenze sistematicamente operate dalla sedicente Guardia costiera “libica”durante le intercettazioni in acque internazionali. A partire dal 2020, con il minor ruolo di coordinamento dell’Italia, conseguenza della crescente presenza militare turca in Tripolitania, ed anche per effetto della spaccatura tra il governo di Tripoli e le autorità militari che controllavano la Cirenaica, regione dalla quale si sono intensificate le partenze verso l’Italia, il ruolo di coordinamento delle motovedette libiche è passato dalla missione italiana Nauras al board ed agli assetti aerei dell’agenzia Frontex, secondo Piani operativi tenuti segreti, ma dai quali si potrebbe documentare una persistente complicità delle autorità italiane e maltesi, sulla base degli accordi che questi paesi hanno concluso con il governo provvisorio di Tripoli. A marzo di quest’anno l’ex ministro dell’interno Lamorgese apponeva il segreto militare a tutti i documenti attuativi degli accordi con i libici, e venivano silenziate le fonti di informazione istituzionali, malgrado il Piano SAR nazionale 2020 prevedesse una continua attività di informazione sugli eventi di soccorso, senza distinguere a seconda della circostanza che questi si verificasero in acque internazionali.

4 Un recente documento della ONG Human Rights Watch denuncia le responsabilità di Frontex nelle attività di intercettazione in acque internazionali condotte dalla sedicente Gyardia costiera “libica”.Come si è detto prima, tuttavia, è proprio il Regolamento Frontex n.656 del 2014 che non permette di escludere la responsabilità degli Stati costieri, soprattutto quando questi sono anche “ospitanti” di missioni Frontex, i cui assetti aerei decollano regolarmente da La Valletta e da Lampedusa. Come riferisce la stessa Agenzia, “Le operazioni congiunte sono le attività più visibili fra quelle svolte dall’Agenzia. Frontex dispiega centinaia di guardie di frontiera e costiere, insieme a navi, veicoli, aerei e altre attrezzature per aiutare gli Stati membri a fronteggiare le sfide che si presentano alle frontiere esterne dell’UE. Queste operazioni si svolgono alle frontiere marittime e terrestri europee, nonché negli aeroporti internazionali.” Ed ancora, secondo la stessa fonte, “La partecipazione alle operazioni di ricerca e soccorso ha sempre rappresentato una priorità per Frontex ed è sancita dal regolamento dell’UE che ha creato la guardia di frontiera e costiera europea. Frontex è tenuta a fornire assistenza tecnica e operativa in mare a sostegno delle operazioni di soccorso che possono verificarsi durante le operazioni di sorveglianza delle frontiere. Le attività di ricerca e soccorso costituiscono altresì un obiettivo specifico del piano operativo di ogni operazione marittima di Frontex”. Questi piani operativi rimangono segreti, ma di certo non possono prescindere dal coordinamento da parte delle autorità marittime degli Stati membri che si affacciano nel Mediterraneo centrale. Che a loro volta hanno piani SAR nazionali, come nel caso dell’Italia il Piano SAR nazionale 2020 che prevede la possibilità di coordinare i soccorsi anche al di fuori della zona SAR attribuita all’Italia, quando il paese competente, rifiuta, ritarda o si dichiara non in grado di garantire un soccorso tempestivo ed efficace, fino allo sbarco in un place of safety (POS), in un porto di sbarco sicuro.

Secondo il Considerando 10 del Regolamento, che ha la stessa efficacia nornativa dell’articolato, ” le misure adottate nell’ambito di un’operazione di sorveglianza dovrebbero essere proporzionate agli obiettivi perseguiti, non discriminatorie e dovrebbero rispettare pienamente la dignità umana, i diritti fondamentali e i diritti dei rifugiati e dei richiedenti asilo, in particolare il principio di non respingimento (non-refoulement). Gli Stati membri e l’Agenzia sono vincolati dalle disposizioni dell’acquis in materia di asilo, in particolare dalla direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio ( 4) per quanto riguarda le domande
di protezione internazionale presentate nel territorio, anche alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri”.
Secondo il Considerando 13 dello steso RegolamentoL’eventuale esistenza di un accordo tra uno Stato membro e un paese terzo non esime gli Stati membri dai loro obblighi derivanti dal diritto dell’Unione e internazionale, in particolare per quanto riguarda l’osservanza del principio di non respingimento, quando gli stessi Stati sono a conoscenza, o dovrebbero esserlo, del fatto che
lacune sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in quel paese terzo equivalgono a sostanziali motivi per ritenere che il richiedente asilo rischi concretamente di subire trattamenti inumani o degradanti, o quando tali Stati sanno o dovrebbero sapere che quel paese terzo mette in atto com portamenti in violazione del principio di non respingimento”.
Ed ancora al Conisiderando 15 si stablisce che “Gli Stati membri dovrebbero ottemperare all’obbligo di prestare assistenza alle persone in pericolo conformemente alle pertinenti disposizioni degli strumenti internazionali che disciplinano le situazioni di ricerca e soccorso e ai requisiti relativi al rispetto dei diritti fondamentali. Il presente regolamento non dovrebbe pregiudicare gli obblighi delle autorità preposte alla ricerca e al soccorso, compreso quello di assicurare che il coordinamento e la coo perazione siano effettuati secondo modalità che consentono alle persone tratte in salvo di essere trasferite in un luogo sicuro.

La prova degli stretti rapporti operativi tra le autorità nazionali e i vertici di Frontex è fornita dallo stesso Regolamento n.656 del 2014, anche se gli Stati costieri, apponendo il segreto militare, fanno tutto il possibile per nascondere le proprie responsabilità nel mantenimento attraverso le attività dell’operazione Themis di Frontex nei canali di comunicazione costantemente aperti con paesi che non rispettano di diritti umani. Certo il coordinamento con gli Stati costieri titolari di zone SAR comunque riconosciute dall’IMO rimane essenziale per la salvaguardia della vita umana in mare, ma altrettanto importante, a carico degli stessi Stati, per la salvaguardia della vita umana (ovunque, anche a terra), dovrebbe essere il rispetto del principio di non respingimento, il divieto di respingimenti collettivi ed il divieto di trattamenti inumani o degradanti, per non parlare del diritto ad un giusto processo ed all’effettivo esercizio dei diritti di difesa, previsti dalle Convenzioni internazionali e in particolare dalla Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Ed è alla luce di questi divieti, e dei correlati obblighi di intervento a carico delle autorità statali che dovrebbero concludersi i procedimenti penali ancora aperti in Italia, con la distinzione più netta tra chi ha adempiuto ad obblighi di ricerca e salvataggio in mare e chi invece ha impedito qualsiasi coordinamento dei soccorsi, cercando di scaricare responsabilità sulle autorità libiche, maltesi o sugli Stati di bandiera, e poi ha persino negato lo sbarco a terra dei naufraghi. Posizioni di “chiusura dei porti”, di recente si è parlato anche di “chiusura selettiva”, che oggi, prima ancora che dai giudici nazionali o dalle Corti internazionali, vengono smentite dalla Commissione europea e dai governi dei principali Stati europei.

da Adif

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