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Denunce a Milano contro il movimento NO TAV

Sembra proprio che siano tornati tutti dalle vacanze, soprattutto lo zelante team “anti-no-tav” che nella Procura di Torino è  molto impegnato nel presentare il conto degli ultimi anni, anche grazie alla dura sentenza del maxi processo che il 27 gennaio ha condannato 47 attivisti ad anni di carcere e provvisionali di decine di migliaia di euro, con una pressoché totale impunità per gli “atti arbitrari” delle forze dell’ordine sostenuti dalla difesa in oltre due anni di processo e documentati da video la cui visione lascia difficilmente dubbi. Nulla di fatto anche per gli arresti del 3 luglio, quelle violenze archiviate, una vicenda “circondata da una rete di reticenze e di omertà da una serie di soggetti sentiti a dibattimento”, come ben ricordato nella sua arringa finale dall’avv. Novaro. (Sulle nuove frontiere della repressione economica, qui un bell’approfondimento di Prison Break Project)

Ma la legge è legge, e va rispettata. Così parrebbe.  Per la legalità c’è sempre un coro unanime, quel coro che ogni volta ribadisce che “anche se le ragioni sono giuste vanno perseguite le condotte violente” , ritornello che alterna strofe di vario genere e che si ripete ogni qual volta chi crede nelle proprie ragioni è disposto a lottare per difenderle, quando resistere non basta più. Che resistere fosse insufficiente ai No Tav fu chiaro il 27 giugno del 2011, quando oltre 2000 uomini di una squadra “interforze” presero l’area dove oggi sorge il cantiere a Chiomonte sgomberando quella che fu la Libera Repubblica della Maddalena. Siamo nel 2015, molti processi si sono chiusi in questi anni e altri evidentemente stanno arrivando al dunque, certo  è che le condanne del 27 giugno e del 3 luglio hanno segnato un punto di svolta anche per le forze dell’ordine, un più ampio spazio di azione per aumentare il livello repressivo, come è successo sabato sera durante una iniziativa serale al cantiere terminata con l’arresto di 8 attivisti no tav (domenica c’è un presidio sotto le Vallette e mercoledì 9 prevista la fiaccolata a Bussoleno).

E’ di qualche giorno fa la notizia che per Massimo, anarchico e no tav trentino, è prevista il 10 settembre l’udienza per la richiesta di “sorveglianza speciale”, misura per la quale anche alcuni compagni e compagne di Torino, Bologna e Varese,  attendono udienza nelle prossime settimane (15 ottobre, stesso giorno in cui si apre il processo in appello per il defunto compressore), in un’ondata repressiva che sembra condotta con finalità preventive, visto che per applicare questa misura particolarmente restrittiva i criteri sono talmente vaghi da permettere a chiunque di ritrovarsi, da un giorno all’altro, senza quella libertà che si credeva essere un diritto e, magari, senza sapere “che cosa si  è fatto” perché tutto sembra più una restrizione per quello che si è o che si rappresenta.

25 febbraio 2012: dopo il corteo in Val di Susa, cariche sui manifestanti a Porta Nuova



La testimonianza della compagna Pinuccia

Comunicato ricevuto da Ri-Make – Communia

Il 25 febbraio 2012 in Val di Susa si svolge una grande manifestazione popolare No Tav. Una delle tante, belle, colorate e partecipate mobilitazioni del Movimento No Tav; contro una “ grande opera” devastante per il territorio e le popolazioni che lo abitano; un momento tra altri di una lotta diventata simbolo e riferimento per tutti e tutte coloro che resistono ai “comitati di affari” che piegano ogni cosa alla logica dei loro interessi privati.

Mobilitazione convocata inoltre in seguito alle grandi operazioni repressive dei mesi precedenti, con svariati arresti in tutta Italia, attuati nel tentativo di colpire giudiziariamente il movimento NoTav mentre cresce e diventa sempre più largo e di massa, in Val Susa e in moltissime città del paese.

Per queste ragioni, come in altre occasioni, quella manifestazione era diventata momento di mobilitazione nazionale.

50.000 persone da tutta Italia, contro la Tav in Val di Susa e contro tutte le “grandi opere” al servizio non delle comunità locali ma degli interessi di parte.

Anche da Milano,dalla Stazione Centrale parte un treno carico di centinaia di manifestanti, giovani e meno giovani, lavoratori, militanti sindacali, appartenenti ad associazioni ambientaliste, centri sociali, comitati di sostegno ai No Tav, studenti.

Si contratta un “prezzo politico” con Trenitalia, allora diretta dal “grande manager” Moretti, per permettere a tutti e tutte di partecipare. E si parte, per tornare tutti insieme allegri e convinti di aver vissuto una giornata di intensa mobilitazione popolare ; alla fine di un corteo assolutamente pacifico, un serpentone colorato che si è snodato per ore da Bussoleno a Susa.

Quindi, “si parte e si torna insieme”, come si grida gioiosamente in corteo.

Ma alla stazione di Porta Nuova a Torino-dopo il tragitto dalla stazione di Susa fatto in assoluta tranquillità-ci si trova di fronte ad uno sgradevole “imprevisto”. La polizia e i Carabinieri sono schierati sui binari, impediscono l’accesso al treno di ritorno per Milano centrale.

La ragione? Trenitalia rivendica una specie di “sovrapprezzo” rispetto a quanto concordato alla partenza. D’altra parte da tempo Moretti e i vertici dell’Azienda non riconoscono più alcuna “ragione sociale” nella partecipazione alle grandi manifestazioni nazionali dei movimenti sociali.

Quindi, nessuno sconto. O si paga tutto – e caro – oppure si resta a piedi.

La delegazione milanese non accetta l’arroganza e il voltafaccia meschino – e strumentale – di Trenitalia. Si rivendica di partire al prezzo concordato; si comprende che dietro quell’atteggiamento c’è , forse, la rabbia dei “padroni del vapore” per una grande e riuscita manifestazione a sostegno di quei testardi, resistenti valsusini che così dimostrano di non essere affatto isolati in questo Paese.

Tutto da quel momento in poi avviene, certo, in un clima di tensione, con una contestazione dell’atteggiamento di Azienda e forze di polizia vissuto come provocatorio, ma in modo assolutamente pacifico. Si gridano slogan,ci si addensa di fronte ai cordoni di polizia che bloccano il binario; ma contemporaneamente si tratta con la Digos di Torino e con funzionari di Trenitalia, provando in qualche modo a “convincere”, a forzare pacificamente, a “sciogliere” quel blocco che impedisce di tornare a casa.

Finché, all’improvviso partono due, tre cariche molto violente, sia davanti che lateralmente ai cordoni dei manifestanti; cariche prolungate che coinvolgono anche semplici passanti e viaggiatori inconsapevoli.

Alcuni ragazzi cadono a terra, vengono picchiati, alcuni agenti lanciano lacrimogeni in stazione ed anche dentro al treno pronto sui binari per Milano.

A testimoniare della brutalità improvvisa di quelle cariche resta la denuncia contro l’operato delle forze di polizia, fatta allora da due dei ragazzi finiti a terra e picchiati. Denuncia che verrà archiviata – per caso? -,  ma che a nostro giudizio indica quali furono effettivamente le “violenze” e chi ne fu protagonista.

In questa confusione,cresce la rabbia, si fugge e si lanciano slogan; ma si cerca anche di non disperdersi. Dobbiamo tornare insieme,nessuno va lasciato indietro, bisogna prendersi cura dei feriti e dei contusi, verificare che nessuno venga fermato.

Molti reagiscono, si riformano cordoni, c’è un brevissimo lancio di oggetti verso le forze di polizia.

C’è sempre molta rabbia e si reagisce anche disordinatamente ed emotivamente. Nulla di simile ad una reazione preparata ed organizzata. Esattamente il contrario.

Alla fine si torna a discutere, si riesce a contrattare la partenza, in cambio di una “sottoscrizione volante” tra i presenti e che dà agli “esattori” di Trenitalia parte di quanto richiesto.

Cioè, se alla fine prevale un “senso di responsabilità” è quello dei manifestanti. Non quello dell’Azienda diretta da Moretti né quella della direzione in piazza delle forze di polizia.

Si torna, insieme,con molta tensione e qualche preoccupazione sulle possibili conseguenze di quanto accaduto a Milano e nelle settimane successive; ma anche con la soddisfazione non solo per la partecipazione alla giornata di lotta in Val di Susa, ma anche per essere riusciti a garantire il rientro collettivo dei manifestanti milanesi.

Ed oggi che accade? Qualche mese fa a due compagni di Milano, presenti a quella manifestazione, Dario del collettivo Ri-Make/Communia Network e Franco del collettivo Sos Rosarno viene notificata una comunicazione giudiziaria da parte della Procura torinese per i “fatti di porta Nuova”, con imputazioni piuttosto pesanti: resistenza aggravata, lesioni personali e interruzione di pubblico servizio.

Dimostrando come il “teorema” che vede i “cattivi” tra i sostenitori del movimento valsusino continui. Con una iniziativa giudiziaria che stravolge la realtà di quanto avvenuto in quella stazione, in cui praticamente agli imputati – e di fatto a tutti quelli che erano lì – viene addebitato un comportamento violento quasi “costruito”, preparato e pregiudiziale che non corrisponde né alle loro intenzioni né alla dinamica dei fatti.

I due compagni dovranno sostenere un processo. La prima udienza è convocata presso il Tribunale di Torino il 22 ottobre prossimo.

Ci sentiamo impegnati a sostenerli, come abbiamo sostenuto le ragioni del grande movimento di lotta in Val di Susa.

Ci impegniamo a far circolare informazioni e documentazione su quanto effettivamente avvenuto quel giorno. Vogliamo lavorare insieme a tutti i soggetti protagonisti di quella giornata, perchè vengano scagionati  dalle accuse loro imputate nelle aule di quel Tribunale e possano continuare a partecipare liberamente insieme a tutti noi alle lotte e ai movimenti sociali che ci sono dinanzi.

Ancora oggi per noi si parte e si torna insieme.

Dalla Val di Susa a tutti i luoghi in cui si lotta e si resiste contro le ingiustizie e l’esclusione sociale, contro lo sfruttamento e tutte le oppressioni., contro la devastazione dell’ambiente e dei territori nei quali viviamo.

 

Simonetta Zandiri  TGMaddalena.it

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