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Dal G8 alla caccia ai romeni, in un libro la rabbia degli agenti nascosta nel web. Il blog dei poliziotti cattivi

Cosa hanno sedimentato Genova e il G8 nella pancia e nella testa dei reparti celere della polizia di Stato? Quali umori covano, oggi, le loro uniformi? Sette anni dopo la notte della Diaz, un libro, “Acab” (edito da Einaudi), va al fondo di una ferita mai rimarginata e alle radici dell´odio italiano. Il vicequestore Michelangelo Fournier (condannato per i fatti della Diaz), i celerini “Drago” e lo “Sciatto” sono i protagonisti di una storia vera che svela e documenta un universo rimasto sino ad oggi chiuso. A cominciare dalle sue voci. Rabbia, odio, spirito di corpo. Carlo Bonini racconta in un libro i duri delle forze dell´ordine. A partire dalle loro discussioni segrete sul Web.
Le violenze alla Diaz dopo il G8 di Genova? Non mi vergogno di nulla. Accanirsi con trenta manganellate su un manifestante inerme? Dopo ore di sassaiole, quando becchi uno che ti sta davanti è difficile picchiarlo solo un poco. Gli ultras? Dobbiamo fargli tanta paura che non devono pensare di poterci attaccare senza lasciarci le ossa. L´Italia non è uno stivale. È un anfibio di celerino. Cosa hanno sedimentato Genova e il G8 nella pancia e nella testa dei reparti celere della polizia di Stato? Quali umori covano, oggi, le loro uniformi? Sette anni dopo la notte della Diaz, un libro di Carlo Bonini – “Acab”, Einaudi editore – va al fondo di una ferita mai rimarginata e alle radici dell´odio italiano Il vicequestore Michelangelo Fournier (condannato per i fatti della Diaz), i celerini “Drago” e lo “Sciatto” sono i protagonisti di una storia vera che svela e documenta un universo rimasto sino ad oggi chiuso A cominciare dalle sue voci Come quelle del “blog” intranet del ministero dell´Interno aperta agli appartenenti dei reparti mobili e dedicata proprio ai fatti di Genova, di cui potete leggere in questa anticipazione di uno dei capitoli del libro. Se occorresse una password per aprire un libro, con “Acab” dovreste provare “odio”. Non funziona? Allora tentate “tanfo”. Sono le parole chiave del testo di Carlo Bonini che non è il riversamento di una serie di interviste registrate, ma piuttosto del rumore di fondo. Quello che pochi sanno ascoltare, quello che poi produce un´onda definita anomala solo perché non la si era vista arrivare. Si legge la cronaca più efferata, si prende atto delle dichiarazioni irragionevoli di questo o quell´onorevole, si osserva con disneyana sorpresa l´avvento al potere di un manipolo di gaglioffi senza qualità e ci si chiede: ma questi da dove sbucano? E, ancor più: che cosa, chi mi rappresentano? “Acab” è una delle risposte. Una delle tante verità che il club mediatico, perduto nell´autoreferenzialità, abbagliato dal riflesso dei lustrini, sviato al bivio tra la rappresentazione del mondo come dovrebbe essere e come invece è, non ha saputo cogliere per tempo.C´è una frase di Harold Brodkey, contenuta nel suo diario terminale “Questo buio feroce” che potrebbe fare da premessa e antitesi a questo libro: «Il giornalismo migliore degli ultimi cinquant´anni è stato di sinistra; il che significa che la natura umana è stata ritratta come innocente, come decorosa dall´inizio alla fine di ogni storia». Ecco, “Acab” non commette questo errore. In “Acab” nessuno è innocente, la natura umana è indecorosa dall´inizio alla fine della storia.Si comincia (dopo un prologo che fa in senso logico da epilogo) con la preparazione dei tre poliziotti protagonisti (il vicequestore Fournier e i celerini soprannominati Drago e Lo Sciatto) al G8 di Genova. La “macelleria messicana” che ne seguì appare un evento ineluttabile in quanto progettato. La dotazione dei “tonfa” (“un arnese duro come l´acciaio, dall´impugnatura a T, un´arma tradizionale delle arti marziali cinesi e giapponesi”), lo scontro, così poco “simulato” con i celerini napoletani: tutti preamboli a una storia che si voleva scrivere esattamente così. Uomini come Fournier, Drago e Lo sciatto furono la penna, più che il braccio. Poco conta il loro genuino disprezzo per “il popolo antagonista”, il loro innato culto per il dispiegamento della forza come elemento puro e dirimente: restano un ingranaggio. E resta la domanda retorica di Drago: «A noi il culo chi ce lo parerà se le cose andranno storte?». La risposta è ovvia e constatata: nessuno.Infatti anni dopo si ritrovano, dislocati e neutralizzati, alla vigilia di un´altra battaglia, questa sì imprevista. Roma-Cagliari si annunciava una partita come tante, una passeggiata di salute per pre-pensionati della celere. Senonché alla vigilia, in autogrill lontano, un tifoso laziale di nome Gabriele Sandri è stato ammazzato da un agente e lo stadio diventa l´epicentro di una guerra non dichiarata tra le tifoserie unite e la polizia. Tra la notte della “macelleria messicana” e quella della battaglia dell´Olimpico sono trascorsi 7 anni. E in quell´arco di tempo è cresciuto l´odio, è salito il tanfo. In un´Italia a lontana equidistanza dagli studi televisivi infestati da tuttologi e squinzie e dalle sale convegni analogamente popolate il rumore di fondo si è fatto assordante. “Acab” lo riporta, senza preoccuparsi è vero della struttura narrativa, ma badando a riprodurlo fedelmente. Il rumore di fondo è l´insofferenza del celerino che con inconsapevole ironia fa il verso a Pasolini e dice alla moglie «io so». Che cosa? «Quale ipocrita recita sta andando in scena». È il traffico di parole cariche di conseguenze sulla strada reale che i poliziotti si scambiano su quella virtuale della chat. È il motto “padroni a casa nostra” che parte dalle periferie di Roma, umiliate dall´arroganza dello straniero e dall´omicidio di Giovanna Reggiani. È l´accoglimento di quel motto da parte di chi dovrebbe avere come sola linea guida il rispetto della legge. È la mistica degli ultrà, ormai totalmente scorporata dal tifo e dalla squadra, che riunisce in un solo pantheon degli eroi Garibaldi, gli Arditi della prima guerra mondiale, i Franchi tiratori «che accoglievano gli invasori anglo-americani nell´unico modo possibile» e Carlo Giuliani. Sono forme contrapposte della deriva fascistoide quelle che si contrappongono nella finale notte di Roma, in un´oscurità più mentale che temporale. Ma qui siamo e di questo dobbiamo rendere conto, per non finire come quegli italiani, comprensibilmente esecrati da Fournier turista a New York, che se ne stanno, esuli in nota spese, nel loro loft a Tribeca e da lì commentano con il sopracciglio alzato quel che accade in un luogo a loro di fatto straniero. Qui siamo e con questo odio e tanfo dobbiamo fare i conti, prima che diventi più ancora che filo della cronaca, segno della storia.Il prologo, dicevo, è nella logica un epilogo. Un paio di ultrà romanisti in autostrada viene aggredito da un convoglio di napoletani ancor più feroci. Li salva l´arrivo della polizia. C´è stato il G8 di Genova e c´è l´emergenza quotidiana. Ci sono mali tra cui scegliere, nessun santo a cui votarsi, ma qualche diavolo minore. Qualcuno potrà accusare Bonini di aver contratto una “sindrome di Stoccolma” verso i celerini. Chi pensa che “tutti i poliziotti siano bastardi” non legga questo libro, ma neppure chiami mai il 113.
fonte: La Repubblica

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