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Così hanno ucciso Giuseppe Casu

“Non escludo che casi simili siano accaduti prima che venissero chiusi gli ospedali psichiatrici, ma in tutta la mia carriera non mai visto una contenzione fisica così prolungata nel tempo, abbinata poi ad un’assunzione di farmaci così massiccia”. Scandisce bene le parole per farsi capire Enrico Smeraldi, professore ordinario e primario della Divisione di Psichiatria del San Raffaele di Milano, quando il pubblico ministero Gian Giacomo Pilia gli chiede un’ultima sintesi della sua relazione. In precedenza, il farmacologo e tossicologo Alfio Bertolini (docente dell’Università di Modena e secondo consulente della Procura) aveva illustrato al giudice Simone Nespoli quelli che, secondo lui, sarebbero stati gli effetti dei vari medicinali somministrati a Giuseppe Casu, l’ambulante cagliaritano di 60 anni stroncato da una trombo-embolia nel giugno del 2006, dopo essere rimasto per una settimana legato mani e piedi al letto del Servizio psichiatrico diagnosi e cura dell’ospedale Santissima Trinità. Per la sua morte, accusati per omicidio colposo, sono alla sbarra l’ex primario del reparto Gian Paolo Turri e la psichiatra Maria Rosaria Cantone, ieri in aula assistiti dagli avvocati Gianfranco Macciotta, Giudo Manca Bitti e Massimiliano Ledda. Un udienza fiume con il dibattimento iniziato al mattino e proseguito anche nel pomeriggio: all’esame c’era la lunga lista dei testimoni dell’accusa, parenti compresi, con in chiusura l’intervento di due consulenti chiamati a valutare la correttezza delle diagnosi e delle terapie assegnate all’ambulante nella settimana della degenza prima del decesso. Il 15 giugno Giuseppe Casu era stato ricoverato con un trattamento sanitario obbligatorio: non voleva lasciare la sua bancarella vicino al Municipio di Quartu Sant’Elena, in piazza IV Novembre, e quando i vigili urbani si sono presentati per farlo allontanare, il pensionato sarebbe andato in escandescenza. All’arrivo dei medici del centro di salute mentale-è stato poi ricostruito ieri in aula-la situazione era ormai tesa. L’epilogo al passaggio di una pattuglia di carabinieri: l’ambulante avrebbe tirato delle uova contro il parabrezza ed i militari sarebbero scesi, ammanettato e caricato in ambulanza, il pensionato è stato trasportato all’ospedale Santissima Trinità per il ricovero coatto. “Era fortemente alterato – ha raccontato al giudice Tommaso Brundu, il medico che l’ha accompagnato – ma in ambulanza non è stata necessaria la contenzione fisica: parlava e lo stavamo tranquillizzando. E’ sceso con le sue gambe e lo abbiamo accompagnato in reparto”. Quanto accaduto nei sette giorni successivi può essere ricostruito solo con la cartella clinica, il registro di passaggio di consegne degli infermieri e le “cartelle di contenzione”. E proprio in queste ultime, come ha poi fatto notare l’ex direttore sanitario della Asl di Cagliari, Giorgio Sorrentino, rispondendo ad una domanda del giudice Nespoli, il riquadro che avrebbe dovuto indicare i “tentativi di scontenzione” erano sempre in bianco. ” Si desume – tagliato corto Sorrentino – che il paziente, salvo qualche parziale scontenzione, sia rimasto in quella condizione per sette giorni”. Impossibile anche per i due consulenti della Procura stabilire con certezza una relazione tra il prolungato periodo di immobilità, associato all’uso di ben sei farmaci in contemporanea ( il pensionato soffriva anche di epilessia), e l’embolia che poi ha ucciso. “Dall’analisi delle cartelle – ha poi detto il farmacologo Alfio Bertolini – si evince che sono stati utilizzati vari medicinali, anche in dosi estremamente elevate. Ciascuno se viene preso singolarmente non crea alcun problema, ma associato ad un trattamento con barbiturici si può avere una grave depressione dei centri della respirazione. Mi sembra di poter dire che il trattamento sia stato corretto al momento del ricovero, ma che in seguito la terapia ha registrato dosi veramente troppo elevate”: A supportare la tesi del consulente della procura ci sarebbe anche un riscontro: un arresto respiratorio che ha colpito Giuseppe Casu durante il suo ricovero, salvato poi dai medici utilizzando una “sostanza-antidoto”. Straziante il racconto della figlia Natascia (28 anni) che ha ricordato, con le lacrime agli occhi, i giorni di degenza e poi la notizia del decesso. “Era legato mani e piedi e la mano destra era gonfia e violacea – ha ripetuto più volte – poi l’hanno fasciata ed è rimasta così. L’ho sempre trovato legato alle volte quando parlava non si riusciva a capire. L’ultimo giorno che l’ho visto in vita aveva una sostanza collosa nella bocca. Ha chiesto di tornare a casa, diceva che lo tenevano ricoverato contro la sua volontà e di chiamare i carabinieri. Non lo abbiamo fatto e alle 6.25 del giorno dopo ci hanno telefonato dicendo che stava male. Era morto”.Iscritto nella lista dei testi della difesa c’era anche Antonio Maccioni, il primario di Anatomia patologica del Santissima Trinità di Cagliari che, assieme all’anatomopatologo Daniela Onnis, hanno effettuato l’autopsia sul corpo del commerciante. Il giudice Nespoli ha sciolto la riserva stabilendo che verrà sentito accompagnato dal suo avvocato (Luigi Concas e Antonio De Toni) perché indagato per reato connesso. E’ accusato di aver fatto sparire i reperti prelevati durante l’autopsia, sostituendoli con altri. Per la procura, che nel maggio ne ha chiesto la custodia cautelare, il dirigente di Anatomia patologica avrebbe scambiato quei campioni per favorire i due colleghi accusati della morte dell’ambulante. L’incredibile scoperta è avvenuta nel gennaio 2007: quando la polizia giudiziaria ha sequestrato il contenitore con i resti di Giuseppe Casu, ha scoperto che dentro c’erano quelli di un altro paziente morto sempre per trombo embolia, ma provocata da un tumore. Due inchieste per un unico giallo dai contorni ancora poco chiari.Il processo contro l’ex primario Gian Paolo Turri e la psichiatra Maria Rosaria Cantone proseguirà giovedì prossimo con i testi e i consulenti di parte civile ( la famiglia si è costituita parte civile con l’avvocato Mario Canessa, supportata dal comitato “Verità e Giustizia”), mentre il 27 febbraio è fissata la prima udienza del filone-bis che vede imputato Antonio Maccioni accusato di soppressione di parti di cadavere, favoreggiamento, frode processuale, falso materiale e ideologico.
fonte il manifesto

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