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Confermato il regime di 41bis per Nadia Lioce

Non importa se l’organizzazione non esiste più da 18 anni: o diventi collaboratore di giustizia oppure al 41 bis ci muori, non hai alternative.

La storia si ripete da 16 anni. Da quando, cioè, la brigatista Nadia Desdemona Lioce è stata rinchiusa nel carcere dell’Aquila perché condannata all’ergastolo per gli omicidi dell’allora consulente del Ministero del Lavoro Massimo D’Antona (1999) e del giuslavorista Marco Biagi (2002), nonché per la sparatoria sul treno Roma-Firenze del 2 marzo 2003 in cui rimase ucciso l’agente di polizia ferroviaria Emanuele Petri. La storia si ripete, si diceva, perché anche stavolta la Lioce non potrà uscire dal 41bis, il regime di carcere duro a cui è sottoposta.

Dal 5 settembre scatterà il rinnovo per un ulteriore biennio: prima il Tribunale di Sorveglianza di Roma (novembre 2020) e poi la Corte di Cassazione (lo scorso 4 maggio) hanno respinto il reclamo contro l’applicazione della misura decisa dal Ministero della Giustizia. Attraverso i propri legali, Carla Serra e Caterina Calia, la Lioce ha presentato ricorso in Cassazione dopo che il Tribunale di Sorveglianza aveva respinto il reclamo contro la proroga del 41bis decisa dal Ministero il 5 settembre del 2019.

Sostenendo, in sintesi, l’insussistenza di un reale pericolo per la sicurezza pubblica, correlato a possibili collegamenti con l’organizzazione criminale di riferimento e criticando l’assunto, che emerge dall’ordinanza, del «pericolo della ripresa del terrorismo, considerato un fenomeno irreversibile».

Insomma, secondo la Lioce e in base al ricorso presentato, l’operatività delle Br sarebbe tutt’ altro che confermata dagli accertamenti delle Procure distrettuali. La Cassazione ha giudicato il ricorso inammissibile. Ribadendo «l’approdo ormai pacifico della giurisprudenza costituzionale» secondo cui il 41bis mira a contenere la pericolosità dei singoli detenuti impedendo in particolare i collegamenti con i membri delle organizzazioni criminali che si trovino in libertà. Molto ruota sul concetto di «operatività» dell’organizzazione. La Cassazione ribadisce che si tratta di «un accertamento prognostico», che ha l’obiettivo di prevenire.

IL PERICOLO «Il mero decorso del tempo – hanno scritto i giudici della prima sezione penale, presidente Monica Boni – non costituisce elemento sufficiente a escludere o attenuare il pericolo di collegamenti con l’esterno», anche in assenza di «un pieno accertamento della condizione di affiliato». A pesare, inoltre, sempre secondo i giudici, è la posizione apicale di «capo carismatico» che aveva rivestito la Lioce e il suo atteggiamento «irriducibile, mantenuto fermo».

Uno dei legali della Lioce, Caterina Calia, non ci sta e rilancia la possibilità di un ricorso alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, finora reso difficile dalle tempistiche dei provvedimenti: «Bisogna porre il problema dei 41bis rinnovati a prescindere. Una misura che dovrebbe essere applicata per interrompere i rapporti con organizzazioni esistenti. E di questa non si ha traccia».

Marcello Ianni e Stefano Dascoli

da “il Messaggero”

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