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Condanne severe al gruppo anarchico e antifascista russo “Rete”

I militanti della «Rete» sono accusati di aver «creato una comunità terroristica che stava pianificando attentati in occasione delle elezioni presidenziali e dei Mondiali di calcio del 2018 per destabilizzare la situazione nel paese»

Condannati per la detenzione del voluminoso tomo de Il Capitale di Karl Marx. Potrebbe essere una gustosa barzelletta se tale accusa non fosse costata dai 6 agli 18 anni di reclusione a 7 militanti anarchici e antifascisti russi. Ieri presso il tribunale di Penza, città a 640 chilometri sud-est da Mosca, sono stati condannati a pesanti pene detentive alcuni attivisti di sinistra accusati di aver fondato nel 2016 «l’organizzazione terroristica Set (Rete)». A Dmitry Pchelintsev e Ilya Shakursky, che la corte ha riconosciuto come leader dell’organizzazione, sono stati comminati rispettivamente 18 e 16 anni di prigione a “regime duro”. 14 a “regime duro” anche per Andrey Chernov, 13 per Maxim Ivankin e 10 per Mikhail Kulkov. Infine 9 e 6 anni, ma a “regime normale”, per Vasily Kuksov e Arman Sagynbaev.

Secondo l’accusa i giovani avrebbero «creato una comunità terroristica che stava pianificando di attuare attacchi terroristici in Russia in occasione delle elezioni presidenziali e dei Mondiali di calcio del 2018 per destabilizzare la situazione nel paese». Set avrebbe inteso «unire gli anarchici russi in gruppi di combattimento volti a cambiare con la forza il sistema costituzionale». I detenuti sarebbero anche giunti alla «padronanza illegale delle abilità di sopravvivenza nella foresta e dell’attività di pronto soccorso». L’accusa sostiene che la Rete era divisa in cellule nelle città di Mosca, Penza, San Pietroburgo e in Bielorussia che si sarebbero riunite più volte in «congressi segreti». Uno degli anarchici era stato anche accusato di aver tentato di incendiare l’edificio di arruolamento militare dei distretti Oktyabrsky e Zheleznodorozhny di Penza lanciando una molotov nella notte del 23 febbraio 2011, ma poi l’accusa è stata ritirata.

A carico degli accusati sono state portate le “prove” del possesso illegale di fucili da caccia (in Russia il possesso non legale di armi soprattutto in provincia è una normalità) e la detenzione da parte di Kulkov e Ivankin di stupefacenti (accusa di cui i 2 si sono riconosciuti colpevoli) mentre hanno respinto l’accusa di «prepararsi a produrre o vendere droghe su larga scala». Per il resto, in mancanza di piani concreti di attentati e di testi cospirativi redatti dal gruppo, l’accusa ha dovuto fare riferimento a semplici pubblicazioni legali dell’anarchismo contemporaneo internazionale oltre che a testi di Bakunin, Marx ed Engels.

Gli antifascisti hanno accusato la polizia penitenziaria di essere stati torturati e picchiati al momento dell’arresto al fine di estorcergli delle confessioni: un’accusa da cui i secondini sono stati assolti proprio nella stessa seduta di ieri del tribunale.

Prendendo per l’ultima volta la parola davanti alla giuria, il 17 gennaio scorso, Maxim Ivankin, ha dichiarato: «La vicenda è assurda, nulla mi è stato sequestrato, e non avrebbe potuto esserlo, come al resto degli imputati. Le idee anarchiche e anti-autoritarie non sono ancora state bandite. E l’antifascismo è la visione del mondo di ogni persona decente. Qui voglio sottolineare che si tratta di una visione del mondo, non di un raggruppamento politico». Gli avvocati difensori degli attivisti hanno già annunciato che ricorreranno in appello e intendono rivolgersi anche alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Il “caso Set” viene considerato una montatura orchestrata dal Fsb da attivisti dei diritti umani e da amici e parenti degli accusati. Ieri in tribunale erano presenti oltre un centinaio di persone in sostegno degli accusati. «Vergogna!» hanno gridato alla lettura della sentenza intonando la canzone della contestazione moscovita La mia Russia siede in prigione.

Il membro del Consiglio presidenziale per i diritti umani Nikolay Svanidze considera illegale la sentenza. «Questo verdetto sia illegale perché le persone sono state torturate», ha sostenuto Svanidze. Anche l’attivista per i diritti umani Lev Ponomarev ha valutato il verdetto «molto duro, crudele ed estremamente ingiusto». «Questo è un avvertimento per decine e centinaia di migliaia di giovani in Russia. Una reazione della società civile è necessaria» ha concluso Ponomarev.

Yurii Colombo

da il manifesto

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