Al processo in corso L’Aquila, confermate le criticità dell’impianto accusatorio che ha mandato davanti la Corte d’Assise i tre palestinesi, Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh.
di Riccardo Rosa da il manifesto
Un’udienza, quella che si è svolta ieri a L’Aquila, che conferma tutte le criticità dell’impianto accusatorio che ha mandato davanti la Corte d’Assise del capoluogo abruzzese tre palestinesi, Anan Yaeesh, Ali Irar e Mansour Doghmosh, accusati di terrorismo per presunti finanziamenti a un gruppo armato del campo profughi di Tulkarem, Cisgiordania occupata.
NEL MARZO 2024 Anan Yaeesh – che dal 2017 vive in Italia, e che ha fatto parte della Resistenza palestinese – viene arrestato su richiesta di Israele. La Corte d’Appello nega l’estradizione, riconoscendo che, se condotto in Israele, l’uomo rischierebbe trattamenti inumani e degradanti. La procura di L’Aquila apre però un procedimento in Italia, disponendo l’arresto di altri due uomini, Irar e Doghmosh, con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo internazionale. L’amicizia tra i tre sembra essere però la sola “prova” alla base dell’ipotesi di associazione.
Ad aprile il giudice rifiuta di ammettere agli atti i verbali che raccolgono le testimonianze rese in Israele da 15 detenuti politici palestinesi. Gli interrogatori erano stati infatti raccolti dai servizi israeliani, senza che ai detenuti fosse stata data la possibilità di incontrare un avvocato.
Arriviamo così alle udienze di questa settimana, e alle deposizioni dagli agenti della Digos Alessia Fiordigigli e Vincenzo Troiani. Per quanto determinate a sostenere l’impianto accusatorio del pm D’Avolio, le testimonianze sono apparse fragili, sia rispetto al coinvolgimento di Yaesh in azioni terroristiche, sia degli altri due imputati nell’organizzazione. Non sono emersi elementi capaci di legare il ruolo di Yaesh nella “Brigata di resistenza e risposta rapida” con eventuali azioni terroristiche. Va ricordato inoltre che secondo il diritto internazionale il popolo palestinese ha pieno diritto di intraprendere azioni armate contro l’esercito israeliano, potenza occupante, mentre soltanto nel caso in cui queste azioni coinvolgano civili, potrebbero essere considerate terroristiche.
EMBLEMATICO in questo senso il frequente richiamo del pm a una presunta “operazione Avnei Hefetz”, di cui Yaesh parla con i compagni di lotta: la procura non è stata infatti capace di fornire evidenze di alcuna azione della Resistenza palestinese nell’insediamento colonico israeliano.
«I testimoni – spiega l’avvocato del collegio difensivo Ludovica Formoso – hanno avuto enorme difficoltà a collocare gli eventi nel loro contesto, quello della Cisgiordania occupata. Eppure è il contesto di occupazione che qualifica, nel diritto internazionale, la partecipazione di Yaesh alla Brigata come legittima pratica di resistenza, tantopiù che non esistono prove di azioni a danno dei civili».
IL PROCESSO si configura insomma sempre più come politico, sulla scia della richiesta di estradizione fatta da Israele nel 2024. Un procedimento pericolosamente pervaso, tra l’altro, da un costante sottotesto islamofobico, espresso a più riprese da connotazioni pregiudizievoli e stigmatizzanti attribuite ad alcuni termini arabi. In chiusura, l’accusa ha chiesto di ascoltare, nella prossima udienza, un nuovo testimone, Vincenzo Di Peso, dirigente della direzione di polizia di prevenzione. Questa testimonianza dovrebbe avere come oggetto annotazioni pervenute al pm di recente dai servizi segreti. Contraria è stata la difesa, che ritiene questi elementi inammissibili, per l’impossibilità di verificarne la fonte, e soprattutto considerando che i servizi di intelligence non svolgono attività di polizia giudiziaria
Il processo si avvia però in chiusura, con una velocità insolita per una Corte d’Assise, che ha tra l’altro smantellato la lista dei testimoni della difesa: delle quarantasette persone proposte, ne sono state ammesse solo tre.
«SE UNA CONDANNA dovesse arrivare – spiega l’avvocato Flavio Rossi Albertini – sarebbe una condanna politica. Nessuno è stato in grado di spiegare in che modo le azioni di cui si parla andrebbero oltre il legittimo diritto alla resistenza in contesto bellico. Se invece si fosse coerenti con ciò che è emerso dall’istruttoria non ci sarebbe che da assolvere gli imputati, chiedendo scusa per avergli fatto perdere un anno di vita».
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La tanto ostacolata dichiarazione di Anan Yaeesh all’udienza del 2 aprile
Signor giudice, in primo luogo dò il benvenuto a voi tutti, alla corte, al pubblico
Io non conosco Israele come uno stato democratico, perché Israele è un’entità coloniale che occupa la Palestina, il popolo palestinese.
Per fare un semplice esempio, tutti i documenti dimostrano, con prove inconfutabili, con nomi e date, che le carceri israeliane praticano i metodi e i tipi più spregevoli di oppressione e tortura fisica contro i prigionieri palestinesi. Io ne sono testimone qui, e potete effettuare un esame medico che vi dimostri le tracce di tortura fisica sul mio corpo, le tracce di fratture in tutte le ossa del mio corpo.
Farò un semplice esempio del meccanismo investigativo all’interno di Israele, quando sono stato arrestato nel 2006 e poi portato in una prigione israeliana.
Il giorno dell’arresto sono stato ferito da nove proiettili e sono svenuto. Ero ferito alla spalla e quando mi sono svegliato, una poliziotta mi infilava il dito nella ferita e premeva per costringermi a parlare. A causa di questa indagine ho dovuto ripetere l’operazione tre volte, e sono rimasto temporaneamente paralizzato per un anno intero sul lato destro.
Non ho un osso sano nel mio corpo, tutto è stato rotto quando ero prigioniero degli israeliani, ma alla fine non mi sorprende che l’abbiano fatto, sono i nemici del popolo palestinese.
Ciò che mi sorprende è che lo Stato italiano voglia processarmi per conto dell’entità sionista.
Signor giudice, lei si trova davanti a una causa molto sensibile, che non riguarda Anan Yaeesh personalmente, ma riguarda la causa della resistenza per il popolo palestinese intero, la lotta di un popolo che ha lottato per decine e decine di anni e ancora oggi lotta contro l’occupazione israeliana e per la libertà della sua terra e del suo popolo.
Signor giudice, La sentenza del suo tribunale significa molto per noi, non la sentenza sulla mia detenzione o la mia libertà, l’ho già detto prima, lo dico ora e lo dirò ancora: la Palestina merita molto da noi.
Le nostre anime e le nostre vite come resistenza le abbiamo donate da tempo alla Palestina e al popolo palestinese. La prigione non cambierà nulla del leone, se non aumentare il suo orgoglio e la sua fierezza, e accrescere la paura e il terrore nei cuori dei suoi nemici. Noi siamo leoni per natura e dignità. E come ho già detto, siamo nati liberi e resteremo liberi in un’epoca in cui i popoli si sono abituati alla schiavitù. E nonostante siamo l’unico popolo che ancora vive sotto occupazione, e nonostante tutti i figli del popolo palestinese vivano dentro prigioni, poiché la prigione non è solo il luogo costruito e attrezzato per i prigionieri, ma tutte le città della Palestina sono circondate da cemento e i loro abitanti sono prigionieri, solo che lo spazio è un po’ più grande, loro sono i veri liberi.
Dunque, vostro onore, vi dico che la libertà nasce dall’interno dell’uomo, nel suo pensiero e nella sua mente. Quanti uomini liberi hanno vissuto da prigionieri, e quanti prigionieri hanno vissuto tutta la loro vita da uomini liberi. Vostro onore, qualunque sia la vostra sentenza nel mio caso, non temo per me stesso. Verrà un giorno in cui otterrò la mia libertà. E non mi sono mai sentito, nemmeno per un attimo, solo o straniero in un paese straniero, dopo aver visto e sentito l’enorme calore dei sentimenti, dell’amore e del sostegno del grande popolo italiano. Un popolo in tutte le sue componenti e categorie sociali, e in particolare i suoi studenti e i suoi giovani, che non ha mai smesso, nemmeno per un istante, di sostenerci e condividere il nostro dolore, e quindi dico grazie a loro.
Dunque, per me non è importante se passerò un anno o mille anni in prigione, ma ciò che conta, signor giudice, è che ci sia una posizione della giustizia italiana che la storia ricorderà come quella di chi ha sostenuto la verità e difeso la libertà con i fatti, non con parole e slogan bugiardi, come di chi ha giudicato con coscienza e secondo la giustizia, senza timore di nessuno. La vostra sentenza di oggi riguarda il diritto di un intero popolo, non di un singolo individuo, poiché noi siamo i legittimi proprietari della terra e detentori del diritto, e la resistenza palestinese non è terrorismo.
Non siate i primi a invocare e sostenere la libertà e la resistenza, e i primi a tradirle!
Il bambino palestinese che affronta il carro armato israeliano con una pietra in mano, credete davvero che un popolo così rinuncerebbe al suo diritto di riprendersi la propria terra? Vi sbagliate di grosso se lo pensate. E cosa può fare una pietra contro un carro armato? Nulla, sì, ma è una posizione di orgoglio e dignità!
Israele occupa una terra che non è la sua, ruba le sue ricchezze, che spettano al nostro popolo, brucia, uccide e distrugge. Signor giudice, mio padre è nato nel 1940 sulla terra di Palestina, così come i suoi padri e i padri dei suoi padri. C’è forse un solo israeliano nato prima del 1947 su questa terra?
Volete che ricorriamo alla pace e alla politica. Ma abbiamo atteso che questa politica ci restituisse almeno uno dei nostri diritti usurpati dal 1948. Mio zio, il fratello minore di mio padre, si chiamava Jamal Afif Kamal: è caduto martire nel 1974 e il suo corpo è ancora trattenuto dagli israeliani, che si rifiutano di restituircelo per poterlo seppellire. E come lui, ce ne sono tanti, tantissimi altri.
Dov’è la politica? I nostri bambini muoiono di fame, di sete, di freddo. La nostra terra è stata bruciata, distrutta, rubata.
Dov’è la politica? E cosa ci ha portato la politica se non alcuni uomini che non sono veri uomini, e alcune donne corrotte che indossano l’abito della diplomazia per vantarsene, dimenticando che gli abiti non coprono l’onore di chi onore non ha.
Non posso che ripetere le parole del defunto Salah Khalaf: “temo più di ogni altra cosa che il tradimento diventi un’opinione”.
Signor giudice, se vogliamo parlare di terrorismo, allora le dico che 125 martiri della mia famiglia sono stati uccisi dalle forze di occupazione israeliane sin dall’occupazione della nostra terra, oltre ai numerosi feriti e prigionieri. Inoltre, nel 2022, prima ancora della guerra su Gaza, l’esercito israeliano ha ucciso 5 membri della mia famiglia in soli due mesi. E sto parlando di una sola famiglia del popolo palestinese. Immagini cosa accade a tutte le famiglie della Palestina!
Signor giudice, il dolore e la sofferenza sono qualcosa che sentiamo profondamente, ma che non possiamo descrivere con le parole
Come posso descrivervi ciò che si prova perdendo i propri amati?
Come posso spiegare che ormai non piangi più dal dolore, perché hai già versato tutte le tue lacrime all’inizio della tua vita, al punto che non riesci nemmeno più a sentire il dolore del dolore?
Come posso dirti che continui a vivere nel ricordo del passato, sorridendo a ciò che ricordi e rattristandoti perché non potrà mai tornare?
Nemmeno il tempo potrà riportarti chi se n’è andato, e non ci sarà nessuno che possa somigliare a loro. Non troverai un amico che condivida con te il dolore prima della gioia, che muoia affinché tu possa vivere.
Il dolore è così grande che persino la pazienza si meraviglia della nostra resistenza, e la sofferenza si imbarazza davanti alla nostra capacità di sopportazione. Ricordo un episodio nel settembre del 2006: dopo numerosi tentativi di assassinio da parte dell’esercito israeliano, arrivarono a casa mia e la distrussero completamente. Poi si rivolsero a mia madre dicendole: ‘Ti porteremo la testa di Anan, morto’.
Lei rispose loro: ‘Anche se muore, resterà vivo nei nostri cuori, e la sua testa rimarrà alta per sempre’. Nonostante abbia avuto un ictus un’ora dopo il ritiro dell’esercito israeliano da casa nostra, e nonostante il suo cuore fosse colmo di dolore per il suo figlio più giovane, non ha mai rinunciato alla sua dignità né a quella della sua patria. Questo è il popolo palestinese: chi ha bevuto l’acqua della Palestina da bambino ha costruito dentro di sé un palazzo di dignità e orgoglio.
Parlate di terrorismo e accusate la resistenza palestinese di essere terrorista. Ma con quale diritto? E secondo quale legge? Com’è possibile che chi difende la propria terra venga considerato un terrorista? Com’è possibile che agli occhi vostri la vittima diventi il colpevole e l’oppresso venga visto come l’oppressore?
Voi dite che sono un terrorista, che sono il fondatore e comandante della Brigata di Tulkarem, e secondo voi anche questa è un’organizzazione terroristica. Ma questo non è vero. La resistenza palestinese ha forse mai attaccato un vostro cittadino dentro la Palestina o fuori? I vostri giornalisti riempiono le strade della Palestina. I vostri cittadini si muovono liberamente nelle città e nei villaggi della Cisgiordania. I vostri agenti di sicurezza sono entrati nella Striscia di Gaza. State perfino coordinando l’ingresso di elementi dei Carabinieri in Cisgiordania. I vostri soldati sono presenti in Libano. Eppure, la resistenza palestinese non ha mai attaccato nessuno di voi. E nonostante ciò, la definite terrorismo, e arrestate sul vostro territorio uno dei suoi leader. Vi chiedo su Dio: quale mente razionale può crederci davvero? E non pensiate nemmeno per un momento che la resistenza palestinese tema qualcuno! Noi non temiamo coloro che voi stessi temete. La resistenza palestinese incute timore, ma non lo subisce. Naturalmente non abbiamo paura di voi. Come ho già detto: i nostri veri nemici sono gli israeliani che occupano la nostra terra senza alcun diritto.
E d’altra parte rispetto ai vostri amici, non parlerò dei loro crimini contro di noi, perché sono ben noti. Ma non avete visto, ascoltato e verificato che sono loro a bombardare le vostre postazioni militari in Libano? Non sono forse loro che hanno etichettato Papa Francesco come nemico dell’antisemitismo? Non sono loro che hanno vietato e impedito alle agenzie UNRWA e ONU di operare, e che hanno bombardato le loro auto e sedi, uccidendo civili e giornalisti stranieri, anche italiani, senza alcun rispetto per le vostre stesse leggi e normative? Eppure continuate a considerarli vostri amici! Non guardate al passato per imparare le lezioni? La storia non perdona. E se guardiamo indietro, vediamo che l’oppressione, per quanto duri, alla fine è destinata ad essere sconfitta dalla giustizia.
Oggi sono vostro prigioniero, ma se non verrò giudicato equamente dai vostri tribunali, e non lo sarò, perché avete più paura di Israele, otterrò comunque la mia libertà, che il tempo sia lungo o breve. La Palestina sconfiggerà l’occupazione e otterrà anche la sua libertà. Se un popolo desidera vivere, la vita sarà il suo destino.
Viva la Palestina libera, araba e palestinese!
Viva Gerusalemme capitale della Palestina!
Libertà per i prigionieri della libertà!
Che dio ci conceda sempre l’onore della Resistenza!
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