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Clima insurrezionale in Senegal

Da questo giovedì 1 giugno, i media italiani sembrano infine essersi accorti di quanto sta succedendo in Senegal. E’ stato condannato a due anni di prigione Ousmane Sonko, il candidato alle elezioni presidenziali inviso all’attuale presidente Machy Sall, e ne è seguita una ripresa ferma e intensa delle mobilitazioni.

di zoeDakar, prime ore del 3 giugno 2023

I media europei ne parlano, ma ci viene da dire non tanto per l’intollerabilità delle 15 persone che hanno perso la vita in questi ultimi due giorni di clima insurrezionale. Morti che provocano dolore e che è ben chiaro a tutte/i qua che, se non si vince questa lotta, resteranno impunite. E’ il fatto che l’affidabilità della « democrazia senegalese », portata ad esempio in tutto il continente africano, stia iniziando a dare segni di un cedimento che inizia a spaventare. La “violenza” in questo paese, ovvero la sua debolezza governamentale, preoccupa la nostra Europa. Preoccupa “estremamente” la Francia, che in una nota del 2 giugno “chiama al contenimento e a finire le violenze”, alimentando così la rabbia anticoloniale di chi si sta mobilitando. In Italia preoccupa il Sole 24 ore che, lo stesso giorno, in un articolo ventila timori di nuove ondate migratorie.

L’esercito è schierato nelle strade, il paese è paralizzato e ora anche le enclave dei cittadini francesi lungo la costa, che qui hanno investito in case e alberghi, potrebbero essere coinvolte. Anche a Mbour, che con la confinante Saly costituisce luogo storico di villeggiatura per gli europei, si è iniziato ad assaltare Auchan, negozi, macchine e uffici pubblici. Non che le/i tubab, il termine con cui qui si definisce il “bianco”, per eccellenza il francese, ovvero chi detiene il privilegio della bianchezza e del denaro e che viene sempre più percepito come un ospite non gradito, siano davvero in pericolo ora nel paese. Ma buona parte di chi scende in strada in questi giorni la volontà di non sottostare più al dominio dell’Europa ce l’ha ben forte. E come non potrebbe. Una prospettiva radicale di rivendicazione anticoloniale si è consolidata negli ultimi anni, in particolar modo tra i giovani. A partire dalle politiche sui visti, “perché l’Europa non ci fa entrare, mentre qua entra a proprio piacimento?” chiedono sempre più uomini e donne. Con turisti, aziende, accordi, imposizioni allo stato. La prima, quella che da sempre tiene sotto scacco l’indipendenza di buona parte dell’Africa, l’imposizione del franco CFA come moneta. E questo lo scriviamo perché va marcata nettamente la differenza rispetto all’uso che ne viene fatto a “casa nostra”, da Giorgia Meloni e tutta la destra sovranista, così come da Di Maio che, nel 2019, argomentava contro il colonialismo francese in Africa nello spregevole tentativo di smarcare il suo governo dalla responsabilità politica delle stragi in mare.

E’ da anni che a Dakar sta scritto sui muri “France degage” (Francia vattene). Non è solo Sonko il problema e il punto di forza di questa mobilitazione. Il FRAPP (Fronte per una rivoluzione anti-imperialista popolare e panafricana), il movimento panafricanista di rapper Y-en-marre e molte altre realtà animano quella piattaforma F24 che pretende che l’attuale presidente non si ricandidi per un terzo mandato. Molti dei volti più noti di questa piattaforma erano già in prigione e altre/i sono state/i fermate/i in questi ultimi giorni, in modo del tutto arbitrario e senza alcuna correttezza procedurale.

Il confine formale che dovrebbe far sembrare democratico l’esercizio della repressione presenta oramai una evidente crepa. Come mostrano anche le fotografie che circolano in queste ore di un’attivista del F24 ammanettato e ferito, isolato nelle mani dei suoi aguzzini, dopo che era stato prelevato da uomini non identificati che si sono poi rivelate essere forze dell’ordine. La tenuta della polizia inizia a dare segni di crisi. In alcune situazioni di strada gli uomini in divisa si ritrovano a dover scappare e abbandonare i mezzi per la gioia delle e dei manifestanti, ma dall’altro la consapevolezza della debolezza rende ancora più pericolosa la situazione. Sul net circolano fotografie che mostrano che tra i famosi “nervis”, ovvero quei mercenari che stanno armati in strada o a difesa di alcuni luoghi strategici e che, in gruppo, minacciano la popolazione nei quartieri più caldi e sono responsabili di parte dei morti di questi giorni, vi siano forze dell’ordine in civile.

Attraverso internet, su alcuni gruppi whatsapp e da alcuni account facebook, tiktok e twitter, passa la controinformazione e il coordinamento tra vari quartieri e città. Per questo dalla sera di giovedì 1 giugno il presidente ha deciso di bloccarne l’accesso in tutto il paese. Certo, già l’indomani l’uso della VPN aveva permesso di superare l’ostacolo.

Scendere in strada è un pericolo. Eppure sempre più persone lo stanno facendo. Le strade sono bloccate. Dakar è deserta. Le università del paese hanno chiuso fino a data da destinarsi, le scuole e molti altri luoghi di formazione sono chiusi. Sono state assaltate le proprietà private di alcuni ministri, municipi, agenzie delle entrate. Sempre più edifici vengono bruciati.

La posta in gioco che ci si rimanda di giorno in giorno tra chi si sta mobilitando è poter raggiungere infine in massa la piazza dell’Indipendenza, quella molto vicina al Palazzo presidenziale, nel quartiere del plateau dove sono concentrate le principali strutture chiave del governo e che ora è protetto da un dispositivo militare inedito. Per una volta, le manifestazioni politiche non avrebbero più come luogo di concentramento la piazza della Nazione, con il suo obelisco centrale che mostra in cifre romane l’anno dell’indipendenza (il 1960).

Da piazza della Nazione a piazza dell’Indipendenza. E’ la possibilità di compiere questo passaggio fragile e drammaticamente complesso, ma fondamentale sia dal punto di vista simbolico che tattico, che sta difendendo chi sta insorgendo in questi giorni.

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