Menu

Catania 8 Luglio 1960, durante una manifestazione la polizia di Tambroni uccide Salvatore Novembre

Pochi catanesi lo ricordano e molti forse mai lo faranno.
8 Luglio 1960

Colpito a morte con armi da fuoco da agenti della polizia,che come si può ben notare dalle foto, l’afferrarono come spazzatura, lasciarono marcire e sanguinare sul marciapiede di Via Etnea permettendone solo dopo un’ora i soccorsi. Fu vittima della repressione assassina, ordinata dal governo Tambroni in merito alle manifestazioni di piazza, tra i numerosi feriti d’arma da fuoco (25) e denunciati (114 di cui 44 in stato d’arresto). L’antifascismo era vivo più che mai ed incuteva paura da nord a sud.Il clima che si respirava in città sembrava quello di una città volutamente svuotata sin dalle prime ore del pomeriggio e pronta da un momento all’altro alla guerriglia urbana. Ogni dipendente comunale veniva mandato a casa, i palazzi sgomberati, gli autobus interrotti sin dalle 14. I primi militanti e rappresentanti sindacali cominciarono ad affluire nel tardo pomeriggio, diretti alla camera del lavoro dove cominciava un effettivo raggruppamento delle forze e un’attesa di indicazioni da parte dei dirigenti.

“A questo punto gli eventi presero una piega imprevista.Intorno alle 18,dalla camera del lavoro partì una delegazione diretta in Prefettura guidata dal segretario provinciale della CGIL e deputato regionale, Salvatore Rindone, per affrontare le questioni sindacali più urgenti, in particolare le vertenze
relative alla Siclea e alla Sepca che maggiormente avevano agitato le settimane precedenti.Quasi contemporaneamente un gruppo di militanti tra cui era presente il deputato regionale Di Bella, cominciò a confluire verso i <> distribuendo volantini.Le forze dell’ordine avevano ricevuto dal questore
l’ordine di sciogliere qualunque assembramento. Fu la scintilla. In via Etnea la giovane militante della FGCI
Maria Lo Presti venne bloccata dalla polizia. Il deputato regionale Di Bella accorse in suo aiuto, ne scaturì un alterco e poi l’arresto di entrambi. Si scatenò la baraonda. Un gruppo di manifestanti proveniente da piazza Università si avvicinò alla scena mentre il commissario capo Quattrocchi ordinava la carica.
Polizia e Carabinieri formarono due cordoni, uno in prossimità di via Collegiata, un altro nei pressi della prefettura, chiudendo di fatto la via Etnea. Partì la carica e con questa una sassaiola in cui manifestanti e semplici passanti si confusero. Circa 4 mila dimostranti, studenti e lavoratori, figli della borghesia catanese e ragazzi dei quartieri più popolari e degradati, furono partecipi di una vera e propria esplosione di rabbia.
Un maresciallo tirò fuori un mitragliatore, camionette e jeep partirono con i loro caroselli tagliando la folla, occupando i marciapiedi, mentre la gente in fuga si concentrava in piazza Manganelli per poi disperdersi lungo le strade interne. Una barricata venne eretta nei pressi della chiesa dei Minoriti, un centinaio di metri più a nord rispetto alla Prefettura, presto raggiunta dai lacrimogeni e dagli << spari in aria>> della Celere.
La folla ora proveniente da via Etnea e dalle viuzze del centro si rinserrò nei pressi di piazza Stesicoro, laddove i cantieri del costruendo corso Sicilia offrivano riparo e possibilità di difesa.
Quella ferita urbanistica nel centro della città divenne il teatro di una battaglia furibonda.
Cominciarano i lanci di pietri e calcinacci e le forze dell’ordine spararono all’impazzata, in aria e ad altezza uomo. I proiettili tagliavano l’aria, colpendo i muri e i carretti di venditori di angurie lì appostati.In quegli attimi di confusione si vide la figura di un ragazzo accasciarsi, troppo lontano dagli altri manifestanti per essere soccorso. Salvatore Novembre venne colpito alla gola, cadde riverso sul selciato e lì venne lasciato, nella << terra di nessuno >>, tra polizia e carabinieri.” Tratto da Catania, luglio ’60 [ Andrea Miccichè ]

Salvatore Novembre,
giovane di Agira (EN) ma originario di Polizzi(PA). All’epoca dei fatti da poche settimane coniugato con Antonina Zimbile, trasferitosi nel capoluogo etneo, trovò un impiego in uno dei frantoi di Nesima inferiore quartiere periferico a Nord-Ovest della città alle dipendenze di un piccolo imprenditore. Di lui si sa appena questo se non che cadde a terra perforato, portava con se la tessera del “P.C.I.” e che non fece nemmeno in tempo ad avvertire la moglie del nuovo impiego trovato a Catania.

Oggi
Ricordare una vita umana quale essa sia, dovrebbe essere dovere morale di ogni qualsivoglia luogo civile sulla faccia della terra. Non è così a Catania. Non è così perché ancora oggi nessuna targa commemorativa, nessuna lapide ricorda quest’uomo e l’ostruzionismo delle istituzioni catanesi, (è il caso ad esempio dell’ex giunta Stancanelli) continua a farla da padrone, confermando quanto si dice da sempre sulla città, roccaforte del fascismo tanto da accaparrarsi negli anni ’70 la definizione di città più “NERA” d’Italia, con oltre il venti per cento dei voti al Msi.

Occorre precisare come la protesta e la guerra civile scaturì sin dai primi mesi del 1960 ma che sfociò con maggiore rabbia nei mesi di maggio, giugno e luglio. Determinante fu la formazione di maggioranza del governo nazionale Tambroni, i susseguenti “ordini” nei quali si invitava la polizia a sparare senza esitare e le scelte provocatorie del Msi sulla realizzazione di comizi in molte città italiane (medaglie d’oro alla resistenza) tra cui Genova, ultima in ordine cronologico prima dei tragici fatti di quel periodo.
Tambroni fu incaricato come uomo di fiducia dall’allora presidente della repubblica Giovanni Gronchi
di formare un nuovo governo, dopo la precedente esperienza Segni entrata in crisi con l’uscita dei liberali dalla maggioranza.
Il nuovo governo ricevette la fiducia Msi (capeggiato da Almirante, noto assassino di partigiani) e ne accettò i voti di fiducia.

L’indignazione e la protesta furono tali da toccare per intero la penisola. Cronologicamente da nord a sud. Furono mesi in cui il clima di tensione voluto e la disinformazione criminale dei giornali locali capeggiava su tutto. La repressione assassina dello stato culminò con decine di barbare uccisioni nei giorni 4, 5, 7 e 8 di luglio in occasione di scioperi generali e proteste indette a
Reggio Emilia, Roma, Licata, Palermo e Catania.

da http://resistancemusick.wordpress.com

Comments ( 1 )

Leave a Comment

You may use these HTML tags and attributes: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <s> <strike> <strong>