Il proseguimento delle indagini rende evidente come questura e polizia stiano perseverando nel tentativo di costruire il castello di carte basato sull’accusa – chiaramente falsa – di raket interno all’occupazione.
L’obiettivo non può essere che quello di depotenziare un progetto politico impegnato nelle lotte per la casa e antirazziste e mettere fine all’esperienza Neruda. Alla luce di tutto ciò, è importante e doveroso fare alcune considerazioni, tenendo presente che ci sono più piani di analisi, piani differenti anche se inevitabilmente connessi:
1) Per prima cosa, va fatto notare come voler accusare di raket i militanti politici di uno spazio che da quando è nato si occupa in primo luogo di lottare contro speculatori e palazzinari è un controsenso così esplicito da apparire quasi paradossale. Va da sé che, per quanto possano sforzarsi di assemblare accuse fantasiose, le loro carte inevitabilmente si scontreranno con la realtà di ciò che il Neruda è, e ciò basta a non intimorirci affatto.
Anzi, il tentativo di dipingere i militanti come coloro che gestiscono e dirigono in maniera verticistica l’occupazione rende più che altro manifesto quanto poco digos e questura abbiano compreso la natura di uno spazio che tanto vogliono annichilire.
Difficile da credere, tanto più se si pensa che il Neruda si è da sempre mostrato con forza e fierezza per quel che è, in ultimo anche attraverso la conferenza stampa indetta a maggio proprio per rispondere agli attacchi dei giornali: in quell’occasione, con tranquillità e chiarezza si è spiegato come è organizzata la vita delle famiglie all’interno dello spazio – sottolineando per l’ennesima volta come non ci siano “capi” né passaggi oscuri di denaro – e la lotta che da lì si porta avanti. Alle voci degli occupanti si sono susseguite decine di voci diverse di persone che hanno portato solidarietà alle famiglie e che hanno raccontato pezzetti di storia vissuta insieme all’interno dello spazio. L’immagine del Neruda che anche in quell’occasione ne è uscita è quella di un grande spazio vissuto in maniera condivisa da persone che se prima non avevano neanche una casa, adesso hanno una famiglia.
2) Va notato, inoltre, che l’attuale “lavoro di indagine poliziesca” viene svolto attraverso un uso della violenza che si basa su due specifiche linee di dominio e di oppressione: quella della razza e quella di genere.
Non è infatti un caso che per estrapolare informazioni o ottenere testimonianze false le FDO si concentrino su soggetti razzializzati, e che molto spesso questi soggetti siano donne.
Partendo da questi presupposti, la cosa più importante – e grave – che sentiamo la necessità di condividere è che nell’ultimo periodo le modalità d’interrogatorio delle e degli occupanti sono cambiate: se in un primo momento mancava una minaccia esplicita e diretta alle persone fermate e l’interrogatorio – per quanto sempre caratterizzato da toni machisti e prevaricatori – si limitava a domande sul Neruda, adesso la polizia sta iniziando ad assumere toni di attacco personale nei confronti dei singoli occupanti, che si trovano minacciati e ricattati di incorrere in problemi con i documenti o con i permessi di soggiorno, quando non anche con l’allontanamento dei figli. Il fatto che le modalità di interrogatorio stiano preoccupantemente cambiando va collegato al fatto che molte delle persone fermate ed esplicitamente ricattate stanno portando avanti in prima persona la lotta contro il razzismo.
Come sappiamo, infatti, in questo momento la potenza del movimento Black Lives Matter sta smascherando in tutto il mondo le molteplici facce del razzismo – in particolare proprio quello alla base della violenza poliziesca – e questo mese anche Torino ha visto due importanti manifestazioni, ricche di contenuti concreti e parole potenti, a cui chiaramente moltissimi occupanti del Neruda hanno partecipato.
Uno dei molteplici temi discussi in queste giornate è stato proprio quello del razzismo istituzionale, che vincola la libertà di molte persone a un documento – e ai relativi cavilli burocratici per il rinnovo.
Ciò rende le persone immigrate molto più ricattabili: infatti, il fatto di essere legate al documento di soggiorno costituisce un ricatto in molti ambiti di vita, a partire da quello lavorativo, dove è più facile per i padroni imporre condizioni di sfruttamento, fino a quello della lotta: è più rischioso per un immigrato attivarsi politicamente, rischioso nella misura in cui ciò che mette a repentaglio è la possibilità stessa di continuare a vivere dove ha scelto di farlo. È esattamente su questo tipo di ricattabilità che la polizia sta facendo leva nei confronti delle e degli occupanti del Neruda, ed è per questo che ci preme condividere la matrice razzista di questi attacchi con le persone con cui abbiamo condiviso anche i momenti di piazza in questo mese.
La grande potenza di quei momenti è stata proprio nel poter collettivizzare le esperienze vissute e unire le voci in un forte grido che ha ribaltato il senso di vergogna e di paura. Condannare le violenze razziste e gli abusi della polizia, con alle spalle la determinazione di centinaia di persone serve a porre i limiti di ciò che non è accettabile. E per noi non è accettabile le che la polizia ci ricatti con i nostri documenti per estrapolare informazioni, incutere paura e cercare di creare divisioni all’interno del Neruda.
In conclusione, teniamo a dire che questi attacchi non ci intimoriscono né ci dividono.
Dalla nostra parte abbiamo la consapevolezza di essere dalla parte giusta, l’unione e la forza della nostra grande famiglia che non lascia da sol* nessun* e le voci di un nascente movimento pronto a condannare e combattere tutti questi ricatti e micro-violenze razzisti.
Le famiglie dello Spazio Popolare Neruda
da InfoAut
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