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Carceri: riprende la protesta dei 1.300 ergastolani

Oggi, primo dicembre, gli ergastolani d’Italia faranno tutti insieme uno sciopero della fame. È l’inizio della seconda fase della campagna Mai dire mai contro l’ergastolo e le carceri di massima sicurezza, che li vedrà impegnati fino al marzo del 2009. La prima fase prevedeva la raccolta di quanti più ricorsi possibile alla Corte europea dei Diritti dell’Uomo. Ricorsi tutti uguali, sottoscritti da detenuti condannati alla pena dell’ergastolo, che chiedevano alla Corte tra le altre cose di pronunciarsi contro l’Italia per aver violato l’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali, quello che afferma che “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. La prima fase della protesta è stata un successo, disegnando una lotta che dovrebbe venir presa a modello di ogni mobilitazione: pacifica, organizzata (cosa certo non facile dal carcere), capace di servirsi degli strumenti offerti dal diritto. Ben 739 ricorsi sono stati presentati alla Corte all’inizio di novembre dall’associazione Liberarsi che sostiene la campagna. Altre associazioni europee l’hanno accompagnata a Strasburgo, associazioni che su questi temi stanno costruendo una solida rete (informazioni si possono trovare sul sito www.informacarcere.it). Oggi sono circa 1.300 gli ergastolani in Italia, reclusi in una cinquantina di istituti differenti. Circa 25 sono donne, quasi tutte concentrate in sezioni di massima sicurezza. La maggior parte dei circa 200 detenuti sottoposti al cosiddetto carcere duro, il regime di cui all’articolo 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario, sono condannati alla pena perpetua. Solo una metà degli ergastolani reclusi nelle nostre carceri, secondo i dati di Liberarsi, ha accesso a qualche misura alternativa alla detenzione. Si argomenta contro l’abolizione dell’ergastolo rispondendo a coloro che ne sostengono l’incostituzionalità – come potrebbe mai tendere alla rieducazione sociale una pena che non prevede affatto un ritorno alla società? – che nella realtà la pena del carcere a vita non esiste. Tanto c’è la liberazione condizionale. Ma Liberarsi racconta invece di un ergastolano al suo trentottesimo anno di detenzione, di un altro al suo quarantaduesimo anno, di un terzo recluso in regime di massima sicurezza all’età di 82 anni. Un argomento già povero in linea di principio lo è dunque anche in linea di fatto. La protesta degli ergastolani va avanti ormai da un anno e mezzo, da quando circa 300 di loro chiesero al Presidente della Repubblica di trasformare la loro pena di morte indiretta in una pena di morte a tutti gli effetti. Un anno fa ci fu il primo sciopero della fame. A Giuliano Capecchi, coordinatore dell’associazione Pantagruel attiva a sostegno della mobilitazione, è stato impedito l’ingresso in tutte le carceri d’Italia. Liberarsi – che continua a sottolineare come la spinta per tutto questo provenga esclusivamente dagli ergastolani stessi – sta oggi pubblicando un libro dal titolo Mai dire mai. Il risveglio dei dannati, nel quale gli stessi ergastolani raccontano e valutano la prima parte della loro lotta. Dopo lo sciopero della fame collettivo del prossimo lunedì – che sarà accompagnato da iniziative di solidarietà esterne alle carceri, in Italia e in altri paesi europei – comincerà uno sciopero della fame a staffetta su base regionale, con inizio in Toscana e conclusione nel Lazio, che durerà fino al 16 marzo 2009. Gli scioperi coinvolgeranno centinaia di ergastolani, oltre a detenuti non ergastolani, familiari e altri cittadini esterni solidali con la mobilitazione. Tante le iniziative in programma fuori dal carcere: dibattiti, concerti e altro. Come si legge nel volantino informativo di Mai dire mai, questa “è una campagna per la dignità e i diritti delle persone detenute. È una campagna sul senso dell’ergastolo. Non ci interessano le storie giudiziarie di ciascun ergastolano, ma la necessità di affermare che del carcere a vita si deve fare a meno. Da subito”.

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