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Carceri: Diritti e reiserimento, la Costituzione negata

Izet Sulejmanovic per alcuni mesi è stato costretto a vivere nel carcere romano di Rebibbia in soli 2,7 metri quadri. In uno spazio così piccolo una persona non può muoversi, non può respirare. Per questo motivo la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia ad un risarcimento danni in favore del malcapitato, ritenendo un trattamento inumano e degradante costringere una persona a vivere in meno di tre metri quadri. Nella stessa situazione di Izet Sulejmanovic vi sono molti altri detenuti nelle carceri di Palermo, Brescia, Sassari e tante altre. Per queste ragioni l’Associazione Antigone si è messa a disposizione di quei detenuti che vogliano citare in giudizio lo stato italiano (difensorecivico@associazioneantigone.it) e a partire da oggi anche il nostro partito mette a disposizione i propri avvocati per quanti vogliano ricorrere alla Corte (per info e segnalazioni: giustizia@rifondazione.itosservatorio@rifondazione.it). Così come aderiremo, con i nostri consiglieri regionali e militanti, alla campagna di visite in carcere promossa dai Radicali per il 14, 15 e 16 agosto. Perché il carcere è la cartina di tornasole dello stato di salute di una democrazia e promuovere i diritti di chi è in carcere significa, in ultima istanza, contribuire ad arginare la deriva democratica (e culturale) che dilaga nella nostra società. Perché invocare il rispetto della Costituzione significa invocare il rispetto dei diritti in essa sanciti per tutte le persone, libere o detenute che siano. Perché l’art. 27 della Costituzione sancisce che la pena non può essere contraria al senso di umanità e deve tendere al reinserimento del condannato. La prima finalità della pena è quindi quella di non stridere con il rispetto dei diritti fondamentali della persona e, in seconda battuta, quella di tendere al reinserimento sociale del reo. La prima formulazione della norma prevedeva che la funzione primaria della pena fosse quella della risocializzazione e, in secondo luogo, il rispetto dei diritti minimi della persona. Durante i lavori preparatori della Costituzione fu l’on. Aldo Moro a mettere in guardia i colleghi da una siffatta formulazione, che avrebbe legittimato, diremmo oggi, “cure Ludovico” da Arancia Meccanica, ovvero, la tortura di stato per reintegrare i condannati nella società. Grazie all’accoglimento dell’emendamento Moro, dunque, oggi per la nostra Costituzione la finalità della pena è il pieno rispetto dei diritti fondamentali e il reinserimento sociale può esservi soltanto a patto che la dignità della persona non venga soppressa. Mai come oggi l’insegnamento di Aldo Moro è importante. Le carceri scoppiano e l’attuale maggioranza continua ad emanare leggi riempi carcere piuttosto che pensare a provvedimenti di clemenza e di depenalizzazione di condotte non lesive dei diritti altrui per ricondurre le carceri al rispetto dei diritti minimi della persona. Ma a ben vedere, anche la finalità rieducativa della pena è rimasta inevasa se, stando ai dati del ministero della Giustizia, reitera il reato il 68% degli ex detenuti, mentre cade nella recidiva il 19% di coloro che hanno usufruito di una misura alternativa. Anche in questo caso la maggioranza, piuttosto di pensare ad inserire ulteriori limitazioni all’accesso delle misure alternative al carcere, bene farebbe a prevedere un maggiore ricorso alle stesse in quanto più efficaci sia per il reinserimento del reo che per la sicurezza dei cittadini. Partendo dal dettato costituzionale Aldo Moro, così come Togliatti, Ingrao e Dossetti, proposero, in tempi diversi, l’abolizione del fine pena:mai, perché tale pena contrasta con il principio “personalista” della nostra carta costituzionale, secondo il quale la persona è il fine ultimo del nostro ordinamento e la dignità umana non può essere calpestata: mai.Oggi, in tempi in cui centro-destra e centro-sinistra si rincorrono sul chi è più bravo a fabbricare paure e ricette contro l’insicurezza crediamo che il tema delle pene disumane, della maggiore efficacia delle misure alternative rispetto alla pena carceraria debbano essere ripresi con vigore.Perché la drammatica lettera del detenuto Mario Trudu dimostra che in Italia, aldilà delle menzogne della politica e dei media, vi sono detenuti che scontano l’ergastolo per l’intera vita (almeno la metà degli ergastolani ha le stesse preclusioni di Mario Trudu nell’accedere ai benefici penitenziari). Perché la storia di Carmelo Musumeci, al quale, stando alla lettera pubblicata anch’essa qui accanto, indebitamente viene trattenuta la posta per impedirgli di continuare la sua battaglia per l’abolizione dell’ergastolo, tanto ricorda prassi da regime totalitario che, dentro e fuori dal carcere, tenta di mettere il bavaglio a chi non fila dritto.
Giovanni Russo Spena

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