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Carcere: L’incubo di Ismail, picchiato prima a Velletri poi a San Vittore

Undici persone, tra ispettori e agenti di polizia penitenziaria del carcere milanese di San Vittore, sono stati rinviati a giudizio dal gup di Milano Alessandra Cecchelli per presunte intimidazioni e pestaggi, tra il 2016 e il 2017, ai danni di un tunisino di 50 anni, Ismail Ltaief, detenuto per tentato omicidio.

Il processo avrà inizio per tutti il prossimo 12 febbraio davanti alla quinta sezione penale. Le accuse verso gli agenti ( non più in servizio nel carcere del capoluogo lombardo, ma in altri istituti) sono, a vario titolo, intralcio alla giustizia, lesioni, falso e sequestro di persona. Reato quest’ultimo contestato solo ad alcuni imputati, in quanto in uno dei due pestaggi, datati 27 marzo e 12 aprile 2017, come si legge nel capo di imputazione, il 50enne, privato ‘ della libertà’ sarebbe stato ammanettato e trasferito in una stanza in uso ad uno degli agenti sotto inchiesta per poi essere picchiato.

Oltre a Ltaief, parte offesa nel procedimento è anche un suo compagno di cella, un sudamericano di 30 anni, il quale chiamato a rendere testimonianza ai magistrati milanesi sarebbe stato intimidito da uno degli imputati che per questo venne anche arrestato. Le aggressioni contro il recluso sarebbero state inflitte con l’obiettivo di ‘ punire’ l’uomo che nel 2011, quando era in cella a Velletri ( Roma), aveva denunciato altri agenti per furti in mensa e percosse. Ismail Ltaief all’epoca dei fatti lavorava nelle cucine del carcere laziale. Quando si accorse che alcuni agenti di polizia penitenziaria sottraevano regolarmente cibo destinato ai detenuti per portarlo fuori dal carcere, li ha denunciati. Da quel momento per lui iniziò un incubo, fino al brutale pestaggio. E violenza chiama violenza perché i pestaggi che avrebbe subito a San Vittore sarebbero avvenuti anche lo scopo di impedirgli di testimoniare in aula in quell’altro processo. Invece Ismail, seguito a Roma dall’avvocato Alessandro Gerardi, in aula a testimoniare ci era andato e due agenti di polizia penitenziaria sono stati condannati

in primo grado a tre anni di reclusione per averlo pestato a sangue. Ora si è in attesa dell’appello.

Il caso era stato sollevato dal Partito Radicale in una conferenza stampa tenuta alla Camera da Marco Pannella e Rita Bernardini. Adesso come ci spiega il legale che segue Ismail a Milano, l’avvocato Matilde Sansalone «si apre un processo complicato ma abbiamo già superato delle fasi difficili: primo passo è stato quello di superare la soglia del farsi credere e di far fare le indagini, il secondo di andare a giudizio. Non è facile essere creduti perché c’è sempre il sospetto che si adottino certi comportamenti per avere dei benefici. Ma nel nostro caso addirittura il pubblico ministero ha mandato un medico esterno al carcere. Ha refertato che Ismail presentava delle lesioni compatibili con il suo racconto soprattutto quando Ismail gli aveva detto di essere stato picchiato con un tirapugni. E da lì le indagini sono state più pressanti. E poi ci sono state anche le dichiarazioni di due testimoni oculari e di una volontaria di San Vittore. Il pm si è convinto della veridicità della sua denuncia. L’aspetto interessante è che Ismail ha scritto le lettere di denuncia dei pestaggi al giudice che aveva in mano il fascicolo in cui era imputato per tentato omicidio. E lo stesso pm che lo stava accusando ha preso in mano le redini del procedimento in cui ora è parte civile. Questa è la cosa giusta perché giudice e pm sono andati oltre, ad esempio ai numerosi precedenti di Ismail, e hanno ritenuto credibili le affermazioni del mio assistito. Hanno deciso di indagare».

Quello che l’avvocato tiene a precisare è che «non bisogna criminalizzare tutta la categoria degli agenti di polizia penitenziaria. Tra l’altro Ismail è il primo che dice “non sono tutti così”».

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Ismail al giudice: “Mi picchiano e mi dicono di non testimoniare”

Undici agenti di polizia penitenziaria rinviati a giudizio per aver picchiato un detenuto nel carcere milanese di San Vittore. Ismail Ltaief sarebbe stato punito per aver denunciato altri agenti della penitenziaria per furti nelle cucine del carcere laziale di Velletri e per essere stato da loro malmenato. Il caso era stato sollevato dal Partito Radicale in una conferenza stampa tenuta alla Camera da Marco Pannella e Rita Bernardini. Per l’avvocato Alessandro Gerardi che segue il procedimento a Velletri la vicenda di Ismail Ltaief, con la sua appendice milanese, «presenta caratteristiche peggiori rispetto a quella di Stefano Cucchi, l’unica differenza è che Ismail per fortuna è ancora vivo e può raccontarla. La domanda che dovremmo porci di fronte a episodi del genere è semplice: come si possono rieducare i ‘ delinquenti’ se si usano metodi molto simili a quelli usati da chi in carcere sta dall’altra parte delle sbarre?».

Quando Ismail seppe che i due agenti erano stati condannati in primo grado a tre anni di reclusione scrisse una lettera all’avvocato Gerardi: “Finalmente un senso di giustizia che sembrava non arrivarmi. Sono così felice soprattutto perché ho la netta sensazione che almeno quei due non picchieranno più detenuti».

Ecco, in esclusiva, alcuni stralci delle lettere che Ismail ha scritto al gip Laura Marchiondelli del Tribunale di Milano, che loemise il mandato di arresto per il tentato omicidio passato in giudicato, per denunciare i presunti pestaggi a San Vittore: “alle 21: 10 un ispettore e guardie carcerarie entrano in cella, mi saltano addosso, picchiano con arti marziali dicendo che se vado a testimoniare a Velletri ucciderebbero ( vi riportiamo fedelmente quanto scritto, ndr) mia moglie visto che, secondo loro, non mi importa della mia vita. Mentre mi pestavano hanno nominato il nome e cognome di mia moglie e la via dove abitiamo. Ho male in tutto il corpo e ho paura di avere delle rotture. La prego giudice aiuto!”.

In una seconda lettera Ismail scriveva: “questa notte mi hanno fatto uscire nuovamente di cella. Hanno picchiato di nuovo, uno di loro ha tirato di tasca un aggeggio che si infila nella mano, anelli di ferro. Ho vomitato sangue, se riesco ad arrivare dal medico le dirò sono ’ caduto’ nelle scale altrimenti saranno ancora più gravi le botte seguenti”.

Se tutto ciò sia vero sarà il processo a stabilirlo. Infatti secondo l’avvocato Michele D’Agostino che assiste quattro agenti «ci sono parecchie incongruenze nel racconto del detenuto, ci sono tante cose non dimostrate, noi riteniamo di avere le prove della falsità delle sue dichiarazioni, alcune persone non erano neppure presenti al momento dei fatti denunciati, e l’uomo si è reso protagonista anche di atti di autolesionismo».

Intanto adesso, come ci racconta l’avvocato Matilde Sansalone, Ismail è diventato “un vero talento” nel laboratorio musicale destinato ai detenuti del carcere di Opera, finanziato dall’associazione Xmito e condotto dai maestri Stefania Mormone e Alberto Serrapiglio del Conservatorio “G. Verdi” di Milano. «La vicenda di Ismail – conclude Sansalone ci richiama all’ideale che sorregge l’attività di tutti coloro che si occupano di giustizia: il rispetto della dignità e dei diritti dell’essere umano, che sia innocente o colpevole, libero o detenuto, dinanzi agli accusatori e ai giudici. Così come lo è Ismail che anche in carcere quando suona si sente un uomo libero».

Valentina Stella

da il dubbio

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