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Bussolengo (VR): Rom picchiati dai carabinieri

Un incubo. Giorgio Campos, 18 anni a dicembre, nato a Como, di origine rom e con regolare residenza a Brescia, è ancora sotto shock. Per lui e la sua famiglia quella di venerdì scorso doveva essere una tranquilla gita per «far visita a parenti che vivono nei dintorni di Brescia», racconta. E invece una pausa pranzo a Bussolengo, vicino Verona, si è trasformata in dramma. Erano in roulotte: lui con i genitori, Sonia e Angelo Campos, e i tre fratellini più piccoli. Con loro altre due roulotte: quella del fratello maggiore di Giorgio con moglie e due figli minorenni e quella dello zio Christian Hudorovich con la compagna e tre bambini. Sul posto, già presente, la roulotte del cugino di Giorgio, Denis Rossetto. «Ci siamo fermati in un parcheggio pubblico (piazzale Vittorio Veneto, ndr.) per mangiare qualcosa, abbiamo fatto appena in tempo a mettere fuori un tavolino che sono arrivati i vigili – dice Giorgio – ci hanno chiesto se saremmo andati via dopo il pranzo, gli abbiamo detto di sì, era questa la nostra intenzione, e loro gentilmente si sono allontanati». Ma intorno alle 14 è arrivata una pattuglia dei carabinieri («un maresciallo e un brigadiere», coninua il ragazzo) e, secondo il racconto di Giorgio si è scatenato l’inferno. «Non ci hanno nemmeno chiesto i documenti – sostiene – appena sceso dall’auto, il maresciallo ha detto subito che ci avrebbero portato in caserma per “bastonarci come con gli altri rom presi la settimana scorsa, poi gli diamo il foglio di via”. Proprio così ha detto. Io e mio padre abbiamo opposto resistenza, gridando aiuto. Loro hanno tirato fuori i manganelli e hanno cominciato a picchiarci e insultarci a parolacce… ». Botte da orbi, continua la testimonianza, fino a quando il padre di Giorgio «riesce a divincolarsi e a scappare. Io lo seguo, con le manette ai polsi, me le avevano già messe. Veniamo raggiunti da Denis e saltiamo sulla sua roulotte». Un’altra pattuglia dei carabinieri li ferma a Caselle di Sommacampagna, lì nei dintorni. «Sul posto arrivano in tutto tre pattuglie – prosegue Giorgio – Minacciandoci con la pistola ci fanno salire ognuno su un’auto, dopo averci picchiato di nuovo, e ci portano alla caserma di Bussolengo». Dove si trovano già Sonia Campos, il figlio 15enne Michele, Christian e la compagna. «Hanno deciso di lasciare alla roulotte i miei fratelli più piccoli, Marco e Johnny, ma solo dopo averli picchiati: al primo gli hanno spaccato due denti…». In caserma «l’inferno» raccontato sia da Giorgio che nelle denunce presentate ieri alla magistratura dai suoi parenti, dura fino alle «cinque del pomeriggio». All’arrivo, «ci hanno fatto sdraiare sul pavimento e ci hanno calpestato. Ma il peggio è arrivato dopo, quando ci hanno portato nelle celle del sotterraneo, divisi in tre celle, io ero insieme a mio fratello Michele. Ci hanno picchiato, torturato immergendoci la testa in una bacinella d’acqua. Erano in tre di cui due senza divisa che si dicevano “orgogliosi razzisti”. A turno, sia io che mio fratello, siamo stati portati in bagno dove ci hanno denudato: mentre uno picchiava, l’altro riprendeva la scena con il telefonino. Quindi, si sono abbassati i pantaloni e ridevano…». Poi il trasporto alla caserma di Peschiera del Garda (tranne che per Christian e la compagna che vengono rilasciati) per il prelievo delle impronte digitali. Anche lì «insulti, minacce, percosse, la scena del bagno che si ripete con gli stessi protagonisti che questa volta ci sfottono anche chiedendoci del sesso orale…», dice ancora Giorgio. Poco prima delle 20, lui e il fratello vengono rilasciati. Restano in carcere i genitori e il cugino Denis. Il processo per direttissima si doveva svolgere sabato scorso ma è stato rinviato al 16 settembre. L’accusa: resistenza a pubblico ufficiale e, per Sonia, tentato furto della pistola d’ordinanza. Sì, perchè nel verbale dei carabinieri si sostiene che la mamma di Giorgio abbia tentato di rubare la pistola al «maresciallo Carusone », dopo l’intervento della pattuglia in piazzale Vittorio Veneto a Bussolengo. «La fondina ce l’aveva aperta e la pistola gli è cascata… Ora tentano di accusare mia madre…», è la versione di Giorgio. Ad ogni modo, questa non è l’unica discrepanza tra le denunce delle vittime – che si sono anche fatte refertare al pronto soccorso a Desenzano del Garda – e il verbale dei militari – che insistono molto sull’atteggiamento «di sfida» di Angelo Campos e degli altri «vili aggressori ». Del caso si sta occupando l’associazione bresciana “Nevo Gipen” e l’istituto di cultura sinta “Sucar drom” di Mantova. «Spero che la magistratura faccia luce su un episodio che si configura come uno dei più gravi atti razzisti compiuti in Italia, come confermano le denunce delle vittime – dice Carlo Berini di “Sucar drom” – un episodio paragonabile alle torture della caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova nel 2001…».

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