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Assolto il siriano accusato di terrorismo. Ora è nel Cie per essere espulso… in Siria

Morad Al Ghazawi arrestato per foto e video che hanno indotto il Pm ad accusarlo

È stato assolto dopo un anno e due mesi di carcere con l’accusa di terrorismo, ma ora il 22enne siriano rischia di essere rimpatriato nel suo Paese di origine dov’è scappato dal regime di Assad. Si tratta di Morad Al Ghazawi ed era finito sulle pagine dei giornali come “l’uomo con il passaporto dell’Isis in tasca”.

Nel dicembre del 2015 sbarcò a Pozzallo su una nave con 534 migranti e l’accoglienza non è stata come l’avrebbe immaginata: fu arrestato con l’accusa di terrorismo e in particolar modo ritenuto di essere legato a una formazione jihadista vicina a Daesh. Le prove? Un documento in arabo ritenuto un “passaporto dello Stato Islamico” – poi rivelatosi una bufala – rinvenuto nel suo telefono e approssimative traduzioni di messaggi in arabo.

Eppure, nonostante la precarietà delle prove, persino il procuratore nazionale dell’antimafia Franco Roberti aveva dedicato una pagina sul suo libro “Il contrario della paura” a questo caso di arresto per associazione con finalità di terrorismo internazionale: «Insomma, quest’uomo era quasi certamente un terrorista», così riassumeva soffermandosi sul passaporto.

Il documento in questione, grazie ai giornalisti di Meridionews, in realtà si è scoperto che si trattava di una beffarda parodia on line che girava già dal 2014.

Il giovane siriano sarebbe stato incastrato anche da un’altra presunta prova: la frase «Allah è grande, ma l’Isis di più», trovata anch’essa su un cellulare che aveva con sé. Ma, come hanno spiegato gli investigatori a Meridionews, «a pronunciarla non sarebbe stato l’arrestato».

Altri errori si sono aggiunti a questa incresciosa vicenda. Murad Al Ghazawi, infatti, per la giustizia italiana è stato registrato come Mourad El Ghazzaoui, a causa di trascrizioni contrastanti realizzate dagli interpreti durante le procedure di identificazione al centro d’accoglienza di Pozzallo: il risultato è che per quasi un anno la famiglia che risiede in Germania non gli ha potuto fare visita in carcere, nonostante l’autorizzazione del giudice, a causa delle differenze tra il nome di Al Ghazawi e quello dei suoi familiari.

Nonostante le prove che facevano acqua da tutte le parti, l’accusa dei pm era rimasta intatta fino alla fine. «L’imputato è inserito in un’organizzazione di matrice terroristica. Lo dicono i suoi contatti Facebook, gli scambi di messaggi con Abu Nader dei Martiri di Daraa che mostrano un’ispirazione consona a quella dell’Isis, le foto con le invocazioni ad Allah che, sebbene non terroristiche di per sé, rispondono a una certa ideologia».

Il ragazzo, collegato in video conferenza dal carcere di Sassari, aveva provato a spiegare: «Sono foto dei nostri parenti e amici torturati e uccisi dal regime. Qualunque siriano le tiene sul cellulare per fare vedere al mondo cosa succede nella nostra terra».

Un conflitto a cui ha preso parte anche Mofid Abu Nader, «un amico di famiglia, una persona normale fino a quando non ha dovuto imbracciare le armi per difendere la sua città dai militari di Assad». Intanto in aula venivano mostrati alcuni video custoditi dalla Digos di Ragusa e dalla polizia postale di Catania, tra i quali uno dove veniva mostrato un uomo travestito da terrorista, con una barba chiaramente finta, che tiene in mano due pugnali e un fucile, forse giocattolo, il quale dice in arabo qualcosa dal tono minaccioso. Fino a quando non esce di scena, sculettando in favore di telecamera.

Una chiara parodia insomma. Tutte queste “prove” hanno portato il giudice ad assolvere il siriano. Però, come scrive Meridionews, il travaglio di Morad Al Ghazawi non finisce qui. Il giudice del tribunale di Caltanissetta, Giancarlo Cascino, pronuncia la sentenza di assoluzione per Morad Al Ghazawi e dispone la scarcerazione immediata e il rilascio del nulla osta per il decreto di espulsione. A quel punto viene accompagnato alla questura di Sassari per ricevere il documento di espulsione. Lì però qualcosa si inceppa e viene trattenuto per una giornata intera e ci passa anche la notte. Alla fine l’hanno trasferito nel Cie di Caltanissetta per essere identificato e poi espulso. Il timore è che possa essere rimpatriato in Siria dove è ricercato dal regime visto la sua reticenza alla leva e il fatto che i suoi familiari sono vicini all’esercito libero che si oppone ad Assad. «Al Ghazawi potrebbe chiedere l’accesso alla procedura di asilo con richiesta di rilocazione in un altro Paese europeo dove si trovano i familiari», spiega a Meridionews Fulvio Vassallo Paleologo, docente di Diritto d’asilo all’università di Palermo. Un adempimento che potrebbe essere disposto anche all’interno del Cie, trattandosi di un cittadino siriano in fuga dalla guerra.

Dopo le stragi terroristiche, le normative in materia di attività di proselitismo, istigazione e apologia del terrorismo attraverso il web hanno subìto una stretta. Stando alle disposizioni del decreto antiterrorismo varato dall’allora ministro dell’interno Alfano, chi mantiene una condotta apologetica potrebbe dover rispondere di un reato con pene aumentate fino a due terzi nel caso in cui i reati di terrorismo siano compiuti attraverso strumenti informatici o telematici.

Le manifestazioni di apprezzamento, o di adesione, attraverso l’apposizione del mi piace o del condividi ( laddove si tratti di Facebook), ovvero della stellina o del retweet ( laddove si tratti di Twitter) – secondo le direttive poste dalla Procura di Genova – possono costituire uno spunto investigativo suscettibile di approfondimento ( attraverso accertamenti preliminari da adottare di iniziativa) sulla base di intese precostituite tra Polizia Postale e Digos. Insomma, scatta una indagine.

Allo stato attuale non è chiarito se il coinvolgimento a pagine Facebook di gruppi terroristici sia effettivamente apologia o istigazione alla criminalità. Basta però un “mi piace” per costituire un viatico che conduce a step successivi di indagine: intercettazioni, perquisizioni, interrogatori. I più colpiti sono ovviamente gli extracomunitari. Casi del genere sono all’ordine del giorno. Problemi che però alcuni giudici cominciano a sollevare. Ad esempio, tre mesi fa, la corte d’Assise di Pisa, nell’assolvere un 26enne marocchino accusato di istigazione su Facebook, aveva ravvisato come «l’accresciuto coefficiente di angoscia collettiva», determinato da «concomitanti episodi delittuosi di tale matrice», avesse «pesantemente condizionato l’attività di indagine». Un condizionamento «probabilmente inconscio» che, per i giudici, avrebbe fatto interpretare i post sul web «fuori dal contesto, e alla luce di elementi di sospetto elevati al rango di verità indiscutibili» .

Damiano Aliprandi da il dubbio

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