Appello: chi controlla il controllore? Sulla sorveglianza delle opposizioni politiche in Italia
- luglio 06, 2025
- in appello, lotte sociali
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Un appello pubblico rilancia le gravi preoccupazioni emerse dall’inchiesta di Fanpage sull’infiltrazione, senza mandato giudiziario, di agenti dell’antiterrorismo in organizzazioni politiche di opposizione come Potere al Popolo. L’operazione, condotta in diverse città italiane, solleva interrogativi allarmanti sul rispetto delle libertà costituzionali e sull’uso politico degli apparati di sicurezza. I firmatari chiedono risposte istituzionali, trasparenza e garanzie contro ogni forma di sorveglianza del dissenso.
Oltre un mese fa, e nuovamente nei giorni scorsi, l’inchiesta giornalistica pubblicata da Fanpage ha portato alla luce fatti di estrema gravità per la tenuta democratica del nostro Paese. Secondo documenti interni e testimonianze, almeno cinque agenti della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione – cioè l’antiterrorismo del Ministero dell’Interno – si sarebbero infiltrati, sotto copertura, all’interno del movimento politico Potere al Popolo e delle sue organizzazioni giovanili, il Collettivo Autorganizzato Universitario di Napoli e Cambiare Rotta. L’operazione, protrattasi per diversi mesi tra l’autunno del 2024 e la primavera del 2025, avrebbe coinvolto più città italiane, tra cui Napoli, Milano, Bologna e Roma.
Stando a quanto emerso, gli agenti avrebbero partecipato a riunioni interne, assemblee pubbliche, discussioni e iniziative politiche locali, senza che risultino a oggi mandati giudiziari o indagini specifiche a carico degli attivisti coinvolti. L’assenza di una cornice giudiziaria, e la natura prolungata e sistematica di queste attività, disegna un profilo allarmante: non si tratterebbe di operazioni a scopo investigativo, ma di sorveglianza politica preventiva, cioè di un controllo generalizzato e pretestuoso su organizzazioni che esercitano legittimamente il diritto costituzionale alla partecipazione politica.
Tale condotta – se confermata – rappresenterebbe una violazione evidente dei principi fondamentali dello Stato di diritto. In una democrazia, il dissenso politico non è materia per i servizi di sicurezza. Nessuna forza dell’ordine dovrebbe infiltrarsi in un partito politico senza un preciso fondamento giuridico. Nessun governo dovrebbe permettere o tollerare che lo Stato impieghi i suoi strumenti di sorveglianza per monitorare chi partecipa attivamente alla vita pubblica.
La libertà di associazione, di riunione, di partecipazione politica e il diritto alla riservatezza – sanciti dalla Costituzione agli articoli 17, 18 e 49 e dalla Convenzione europea per i diritti umani agli articoli 8 e 11 – non sono privilegi concessi, ma diritti inalienabili. Il fatto che tutto questo stia avvenendo nel silenzio delle autorità competenti – a più di un mese dalla notizia né il Presidente del Consiglio né il Ministro degli Interni hanno rilasciato dichiarazioni – è inaccettabile e pericoloso.
Non è un caso isolato.Un’altra inchiesta ha documentato l’attività della multinazionale Paragon, incaricata da governi e agenzie europee, che ha schedato centinaia di attivisti, operatori umanitari e giornalisti. Anche in quel caso, nessuna risposta istituzionale. Si sta profilando, sotto gli occhi di tutti, una normalizzazione della sorveglianza del dissenso, della criminalizzazione della solidarietà, dell’uso strumentale dell’apparato repressivo.
Per questo, come cittadine e cittadini impegnati nella vita culturale, politica, accademica e sociale del Paese, sentiamo il dovere di prendere parola pubblicamente e chiediamo con urgenza:
- Che il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi si esprimano pubblicamente su quanto accaduto, in Parlamento e davanti all’opinione pubblica;
- Che siano chiariti i contorni dell’operazione: chi l’ha autorizzata, con quali obiettivi, attraverso quali catene di comando, e sulla base di quali elementi;
- Che si apra un confronto trasparente sul ruolo delle forze di polizia di prevenzione, e sui limiti costituzionali delle attività di intelligence interna rivolte verso soggetti politici;
- Che siano riaffermate in modo chiaro, nelle istituzioni e nel dibattito pubblico, le garanzie democratiche contro ogni forma di controllo politico e poliziesco del dissenso.
La fiducia nei principi democratici si misura anche nella capacità delle istituzioni di rispondere con trasparenza, rigore e rispetto alle accuse più gravi.
Tutelare il dissenso, in un Paese libero, non è un rischio da contenere: è un dovere da esercitare.
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