Un risarcimento danni da 420 milioni di euro, ovvero il montepremi stabilito per le partecipanti ai Mondiali in Qatar. La richiesta arriva da Amnesty International e da altre associazioni umanitarie alla Fifa, accusata di tardare nella tutela dei migranti sui cantieri delle infrastrutture per la Coppa del Mondo, in programma tra novembre e dicembre. In una lettera alla Fifa, Amnesty ha chiesto anche al presidente Gianni Infantino di lavorare assieme alle autorità qatariote per la definizione di un piano di risarcimenti.

È SOLO L’ULTIMO ATTO di una vicenda partita nel 2010, con l’assegnazione della Coppa del Mondo al paese arabo (e prima ancora alla Russia per l’edizione 2018), fortemente voluto dall’allora sovrano del calcio, Joseph Blatter, poi condannato per corruzione. Nel corso degli anni si sono moltiplicati gli appelli per le condizioni di lavoro disumane inflitte a decine di migliaia di migranti, soprattutto indiani sui cantieri qatarioti. Tre anni fa il governo di Doha, investito dalle critiche, si è impegnato per il miglioramento delle condizioni di lavoro dei migranti, fermando i lavori tra le 11.30 e le 15 per il caldo torrido. Ma gli abusi persistono, le regole non sono ancora rispettate. Secondo un rapporto del Guardian di un paio di anni fa, dal 2010 in Qatar sono morti oltre 6.500 lavoratori stranieri (da India, Pakistan, Sri Lanka, Nepal, Bangladesh), una quarantina mentre lavoravano sui cantieri per i Mondiali. Sfruttati, senza l’osservanza di alcuna norma di sicurezza. E la stima sui migranti sfruttati è in difetto: le statistiche non hanno tenuto conto dei lavoratori in arrivo da altri paesi come Filippine e Kenya, così come i decessi avvenuti nell’ultima parte del 2020 non sono stati conteggiati. Nel 2019 sempre sulle colonne del Guardian è stato pubblicato un altro rapporto sulle condizioni di lavoro impossibili cui erano costretti i migranti, non solo per la realizzazione degli stadi, ma anche per aeroporti e hotel a cinque stelle costruiti per il Mondiale qatariota. Condizioni di lavoro disumane, orari infiniti e paghe irrisorie, questo era lo scenario.

SEMPRE SECONDO la ricostruzione, nell’indifferenza generale si nasconderebbero ancora adesso storie di famiglie di migranti devastate dal lutto, che cercano di ottenere un risarcimento danni, lasciate anche senza notizie sulle misteriose circostanze che hanno portato alla morte dei lavoratori sui cantieri. E solo il lavoro di diverse ong, non solo di Amnesty International, ha tenuto un minimo di luce accesa sulle condizioni di lavoro nel paese del Golfo Persico, a pochi mesi dal via alla competizione. Come l’inglese Fair Square, che ha sostenuto la causa di Malcom Bidali, operaio-blogger keniano arrestato in Qatar per aver diffuso informazioni sulle condizioni dei migranti, documentando la sua vita sul portale di un’altra ong, Migrant Workers.

ORA DUNQUE il passo in avanti di Amnesty, la richiesta di un risarcimento e l’invito al numero uno della Fifa Infantino di sollecitare e rinvigorire l’istanza al governo del Qatar affinché incrementi tutele per i lavoratori-migranti. Un appello che segue però la recente e discutibile uscita pubblica di Infantino a inizio maggio, proprio sul risarcimento danni ai migranti sfruttati e morti sui cantieri, che tentava di gettare acqua sul fuoco: «Quando dai lavoro a qualcuno, anche in condizioni difficili, gli dai dignità e orgoglio», ha detto Infantino alimentando un vespaio di polemiche, decisamente in ritardo, perché la questione esiste da ormai più di un decennio e difficilmente sarà affrontata in pochi mesi.