La resistenza ucraina non è una lotta santa e senza macchia come quasi tutta la comunità internazionale la dipinge da mesi.

È questo il frutto delle ricerche di Amnesty International a conclusione di una ricerca condotta tra Kharkiv, Mykolayiv e il Donbass tra aprile e luglio. Anzi, in una fase molto complessa del conflitto, con la controffensiva verso Kherson che arranca e l’est martellato costantemente dall’artiglieria di Putin, Amnesty accusa l’esercito ucraino.

«NEL TENTATIVO di respingere l’invasione russa iniziata a febbraio – si legge nel comunicato pubblicato ieri – le forze ucraine hanno messo in pericolo la popolazione civile collocando basi e usando armamenti all’interno di centri abitati, anche in scuole e ospedali».

Una mannaia per la narrativa di Kiev che ha sempre dipinto i generali russi come dei sadici calcolatori che colpivano gli edifici pubblici solo per seminare il panico tra la popolazione civile e mietere più vittime possibile.

«Queste tattiche violano il diritto internazionale umanitario perché trasformano obiettivi civili in obiettivi militari – spiega l’organizzazione – Gli attacchi russi che sono seguiti hanno ucciso civili e distrutto infrastrutture civili».

Sarebbe folle, anche se qualcuno forse si cimenterà nell’impresa, definire Amnesty filo-russa o, come piace dire ai complottisti di varia foggia, «asservita ai poteri forti».

ANCHE PERCHÉ, come si legge nell’incipit del rapporto, «l’organizzazione ha visitato luoghi colpiti dagli attacchi, ha intervistato sopravvissuti, testimoni e familiari di vittime, ha analizzato le armi usate e svolto ulteriori ricerche da remoto». Una commistione di analisi sul campo, raccolta dati e testimonianza e verifiche.

Durissima, come prevedibile, la reazione di Kiev, arrivata attraverso le parole di Mykhailo Podolyak, consigliere del gabinetto di Zelensky. Il funzionario ha accusato Amnesty di partecipare alla campagna di disinformazione e propaganda russa per screditare l’esercito ucraino.

Più articolata la critica di Dmytro Kuleba, ministro degli esteri ucraino, che si è detto «indignato» per un’analisi che reputa «ingiusta». «Smettetela di creare una falsa realtà in cui tutti sono un po’ colpevoli di qualcosa», ha detto Kuleba, accusando direttamente l’organizzazione internazionale di creare «falso equilibrio tra criminale e vittima».

IL FATTO È CHE sostituire alle ragioni pratiche di un conflitto la questione etica è un procedimento inevitabilmente fallace. La Russia ha invaso l’Ucraina, Putin ha la colpa di aver oltrepassato in armi il confine e di aver attentato alla sicurezza di milioni di ucraini, non c’è dubbio. Gli ucraini hanno risposto in modo inatteso e si sono difesi come forse nessuno avrebbe creduto.

Il mondo occidentale si è stretto attorno al governo ucraino e l’ha eletto a baluardo dei propri valori eliminando alla radice ogni possibile critica. Anzi, la critica come processo normale del pensiero, quella che nasce dal dubbio, dall’analisi, dalla voglia di comprendere al di là della contingenza, è stata bandita.

COM’È POSSIBILE che pur essendo stata aggredita e avendo il diritto di difendersi l’Ucraina non abbia commesso errori? E raccontare questi errori vuol dire giustificare l’invasione o sputare sulla memoria dei civili morti a causa dei bombardamenti? No. Anche perché, intanto, i civili continuano a morire.

Ieri mattina un altro ordigno russo è caduto a una fermata dell’autobus a Toretsk, in Donbass, uccidendo almeno otto persone e ferendone altre quattro, tra cui tre bambini. La guerra è questo.

da il manifesto