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7 Novembre 1977: la polizia chiude i Comitati autonomi operai di Roma e Torino

A Roma, la questura decide la chiusura delle due sedi in base all’articolo 3 della legge 533 dell’8 agosto 1977 sull’ordine pubblico, nella quale si afferma che si può procedere al sequestro di immobili “quando vi vengano trovati armi o esplosivi, o quando si prospettino a carico delle persone che li frequentano le ipotesi di reato previste dagli articoli 241, 285, 286 e 306 del codice penale”, oppure “quando l’immobile sia pertinente al reato”.

Alcuni degli articoli contestati comprendono addirittura la legge del 20 agosto 1952, relativa alla ricostituzione del partito fascista. Questo insieme di leggi speciali, emanate inizialmente per contrastare l’associazione di tipo terroristico, creano un reato di tipo permanente per cui la flagranza esiste sempre (anche senza prove) ed è sufficiente a configurare l’ipotesi di costituzione di banda armata.

Il teorema della questura riguarda fatti che risalgono fino al ’74 e che comprendono l’uccisione dell’agente Settimio Passamonti, alcuni espropri proletari, sparatorie avvenute durante manifestazioni e il ferimento di altri agenti di ps, saccheggi di negozi e lanci di molotov.

Nell’assemblea organizzata nella facoltà di Giurisprudenza per il pomeriggio, i militanti di via dei Volsci rispondono alla trappola repressiva indicendo una mobilitazione per il giorno successivo “in tutte le scuole e luoghi di lavoro e nell’Università di Roma” e affermano: “Si inventa il mostro da prima pagina per far dimenticare i furti democristiani e per trovare un capro espiatorio alle trame nere, all’assassinio di molti giovani militanti della sinistra. I Comitati autonomi operai rispondono alla volontà di respingerli nella clandestinità: non siamo dei criminali; siamo dei militanti del movimento operaio”.

A Torino invece, le indagini riguardano il famoso circolo giovanile del quartiere Santa Rita occupato da pochi mesi; già alcuni giorni prima la polizia aveva perquisito il locale in cerca di esplosivi e armi da fuoco, ma aveva trovato soltanto manifesti e volantini.

Il 7 novembre, la chiusura del “Cangaceiros” è accompagnata da 27 denunce per altrettanti giovani del centro sociale, accusati di essere “esponenti dell’Autonomia Operaia” torinese e di “preparare le violenze messe in atto durante i cortei”, tra cui alcune molotov esplose durante un corteo il primo ottobre precedente.

I giovani del circolo dichiarano: “Credevamo di essere un centro di aggregazione nel quartiere. Adesso, invece, abbiamo scoperto di essere un covo.” Il circolo viene presidiato per tutta la giornata da un reparto di polizia in assetto antisommossa, mentre decine di ragazzi e ragazze sostano sull’altro lato del corso raccogliendo firme per la riapertura della sede e spiegando ai passanti i motivi della protesta: “(…)In questo circolo facciamo attività culturali e teatrali, insegniamo musica, cerchiamo momenti di aggregazione. L’ingresso è libero a tutti i ragazzi del quartiere e l’opera di controinformazione si manifesta con la lotta alla droga o al lavoro nero, con picchettaggi alla Fiat”. (da InfoAut)

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