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Il 41bis è sempre più duro. Ma a Report non basta

Report  sul 41 bis utilizza il solito metodo dietrologico. Alla lettura della trasmissione di Ranucci si contrappone l’analisi scientifica del Garante dei detenuti. Che sottolinea come il regime differenziato sia lontano dal suo scopo originale

di Damiano Aliprandi

Da una parte c’è il programma in prima serata Report che sul 41 bis utilizza il solito metodo dietrologico, dall’altra il Garante nazionale delle persone private della libertà che attraverso le visite in tutte le sezioni e una lettura scientifica dei fatti, ci riporta alla cruda e nuda realtà di un regime differenziato che è sempre più duro e lontano anni luce dal suo scopo originario. Ma il giornalismo attuale, soprattutto televisivo, è diventato puro intrattenimento. In generale, siamo passati dalla radicalità di un pensiero che andava alla ricerca della radice delle cose a una concezione indiziaria, una visione poliziesca che ha fatto del “sospetto” la chiave di lettura della realtà.

L’inchiesta di Report

Partiamo da Report. Si è accorto solo ora che i detenuti al 41 bis hanno la possibilità di poter studiare e conseguire una laurea. Un diritto ribadito recentemente sia dalla Cassazione che dalla Corte Europea di Strasburgo. Eppure, come rivela il Garante, scopriremo che non è sempre una passeggiata poter studiare in questo carcere differenziato. Ma come mai fa scandalo secondo la lettura del programma di Rai3? Tale possibilità garantita dalla Costituzione italiana in primis, sarebbe un espediente per “rompere” l’isolamento. Quest’ultimo è una condizione finalizzata esclusivamente per evitare contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza. Oppure dobbiamo immaginare che la scuola sia un covo di mafiosi dove si possono veicolare messaggi? Si fa una trasmissione che parla anche in maniera strumentale di “ombre nere” riferendosi ai neofascisti ex detenuti e non, ma il succo dell’argomentazione è profondamente reazionaria: ogni “diritto” garantito dai principi costituzionali, diventa un espediente.

Tutto diventa ancora più sfalsato se si aggiunge una lettura cospirazionista dei diritti acquisiti. Se le scelte politiche, le sentenze delle Corti, le battaglie progressiste e liberali, si vedono sistematicamente ridotti a eventi delittuosi e a trame occulte, tutto ciò porta inevitabilmente a uscire fuori dalla realtà e non garantire un approccio scientifico dei fatti. Si ritirano fuori ad esempio le intercettazioni tra Giuseppe Graviano e il suo ex compagno di socialità Umberto Adinolfi. Il solito discorso che il boss di Brancaccio avrebbe avuto la possibilità di fare sesso con sua moglie al 41 bis e quindi concepire un figlio. Anche suo fratello avrebbe avuto la stessa possibilità. In realtà, all’epoca dei fatti, quando appunto nacquero i figli, si vagliò la questione. Si appurò che i figli di entrambi i fratelli Graviano, nacquero nel ’97 con la tecnica dell’inseminazione artificiale al Saint- Georges di Nizza, un’esclusiva clinica specializzata in queste pratiche di maternità. Infatti è ancora meta di tanti connazionali che praticano la fecondazione assistita visto che in Italia la legge è molto restrittiva.

Avrebbero in realtà fatto passare la provetta di sperma all’esterno del carcere tramite complici. Molto più facile rispetto a far entrare le mogli in cella e concepire i figli al 41 bis davanti alle telecamere di videosorveglianza h 24. Anche perché, per fare tutto ciò, non solo dovevano essere complici gli agenti penitenziari, non solo gli addetti alla video sorveglianza e anche i reclusi al 41 bis astanti, ma anche la direttrice dell’Ucciardone. E all’epoca, a dirigere il carcere duro, c’era Armida Miserere. Soprannominata “il colonnello”, era una donna di ferro che in quegli anni aveva fama di aver trasformato la fortezza borbonica di Palermo in un efficiente supercarcere. La sua, una storia travagliata finita in tragedia.

Il Report del Garante nazionale

Ma ora ritorniamo alla realtà, così come dovrebbe essere compito del giornalismo: informare tramite fonti qualificate. Il Garante nazionale ha visitato nel corso del suo mandato, a più riprese, tutte le sezioni del 41 bis e ne ha esaminato l’applicazione alla luce del perimetro delineato dalla Corte costituzionale. Il presidente Mauro Palma, in conferenza stampa, ha illustrato il report appena reso pubblico e ne è uscito fuori un quadro disarmante. Schermature alle finestre delle stanze detentive che impediscono un sufficiente passaggio di luce e aria naturali, l’assenza di qualsiasi elemento di stimolo visivo, la miseria di molti cortili, la presenza ossessiva di grate a totale copertura degli stessi, l’angustia delle cosiddette sale di socialità. Il Garante parla di una vera e propria “pena corporale”.

Senza contare la permanenza di una serie di restrizioni, previste dalla Circolare del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del 2017, tuttora vigente, che incidono significativamente sulla qualità della vita delle persone ristrette. Restrizioni che non appaiono allineate alla finalità del regime: il diametro massimo di pentole e pentolini, la disponibilità oraria, con consegna al mattino e ritiro alla sera, di oggetti per l’igiene personale, il numero di matite o colori ad acquarello detenibili nella sala pittura (non oltre 12), il numero di libri (4), le dimensioni e il numero delle fotografie che si possono tenere nella camera, il divieto di affissione alle pareti e alle altre superfici di fogli e fotografie, salvo «una singola fotografia di un familiare», l’esclusione dell’acquisto di alcuni quotidiani a diffusione nazionale.

A questo si aggiunge un altro dato significativo. Al momento della redazione del rapporto, le persone sottoposte al 41 bis risultano 740, tra cui 12 donne, distribuite in 60 reparti all’interno di 12 Istituti. Delle 740 persone sottoposte al 41-bis, 35 sono detenute nelle 11 “Aree riservate”, circuiti speciali con ancora maggiori restrizioni. Le Aree riservate non sono previste da alcuna norma di legge, ma giustificate in base a una specifica interpretazione dell’articolo 32 del Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento penitenziario che prevede sezioni a cui sono assegnati «I detenuti e gli internati, che abbiano un comportamento che richiede particolari cautele». Queste aree sarebbero un 41 bis ulteriormente inasprito.

Dal suo studio analitico il Garante ha espresso la necessità di una riflessione integrale sulla legge. Ritiene che il numero delle persone attualmente recluso al 41 bis sia suscettibile di una profonda revisione. «Tale obiettivo, che renderebbe anche equilibrio e verosimiglianza all’immagine complessiva del fenomeno della criminalità organizzata nel Paese, altrimenti rappresentata dalla presenza in carcere di oltre 700 soggetti apicali potenzialmente pericolosi per l’ordine e la sicurezza pubblica, può essere perseguito senza pregiudicare le permanenti esigenze di particolare sicurezza attraverso una migliore configurazione delle sezioni del circuito dell’Alta sicurezza 1, che assicuri la separazione dagli altri circuiti detentivi».

Così come emerge che a distanza di vent’anni, diversi detenuti si ritrovano rinnovato il 41 bis. «Se il rischio del mantenimento dei collegamenti con la criminalità organizzata di provenienza viene ritenuto sussistente anche a distanza di oltre 20 anni dalla prima applicazione, quando non dall’inizio della detenzione, il dubbio sull’efficacia del sistema preventivo risulta legittimo», sottolinea il Garante, spiegando che il dubbio si estende conseguentemente all’effettiva finalità perseguita con la reiterazione del regime detentivo differenziato: «Se non è fondata sull’effettiva permanenza dei rischi di mantenimento dei collegamenti con l’associazione criminale, risulta diretta esclusivamente a imporre una forma afflittiva di detenzione».

Il Garante raccomanda nuovamente di non definire mai il regime detentivo speciale quale “carcere duro”, perché questo concetto implica in se la possibilità che alla privazione della libertà – che e di per se il contenuto della pena detentiva – possa essere aggiunto qualcos’altro a fini maggiormente punitivi o di deterrenza o di implicito incoraggiamento alla collaborazione. «Fini che porrebbero l’istituto certamente al di fuori del perimetro costituzionale», conclude il Garante.

da il dubbio

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