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41 bis, non solo mafiosi: 10mila disgraziati in condizioni disumane

In Italia ci sono un po’ più di 60 mila detenuti. Diecimila più di quelli che il sistema carcerario è in grado di ospitare. Quindi l’indice di sovraffollamento è molto alto. Sta crescendo. Sebbene negli ultimi anni è crollato il numero dei reati. Non è crollato solo il numero dei reati: è diminuito anche il numero degli ingressi in carcere, nonostante una legislazione sempre più severa, spinta dal vento torrido del giustizialismo politico.

Come è possibile che meno persone entrino in carcere e però il sovraffollamento aumenti? Succede che dal carcere è sempre più difficile uscire. Le cifre sono impressionanti. Le ha fornite ieri alla stampa il Garante nazionale dei diritti dei detenuti, Mauro Palma. Il dato forse più clamoroso è questo: ci sono circa 23mila persone che devono scontare pene inferiori ai tre anni, o perché hanno ricevuto una condanna leggera, per reati molto piccoli, o perché hanno già scontato grande parte della pena. Queste persone, a norma di legge, potrebbero uscire e subìre le famose misure alternative. E invece restano in prigione. O perché i giudici non danno il benestare o, molto più spesso, perché non esistono strutture esterne al carcere in grado di realizzare le misure alternative. Poi ci sono altri 10 mila detenuti in attesa di giudizio (e le statistiche dicono che più della metà di loro sarà assolto, nei tre gradi di giudizio, o sarà condannato a pene molto contenute) e la stragrande maggioranza di loro non è in carcere perché costituisce un pericolo per la società, ma per ragioni relative al funzionamento delle indagini, cioè alla necessità di esercitare su di loro pressioni psicologiche perché confessino, visto che altrimenti mancano le prove per condannarli.  Di solito queste persone sono in cella in violazione della legge che prevede che  il carcere preventivo possa essere deciso solo per ragioni straordinarie e per tempi brevi. Diciamo che di questi 10 mila detenuti che la Costituzione considera innocenti, almeno 7000 non dovrebbero stare in cella. Poi sommiamo questi 7000 ai 23.000 con breve periodo residuo di pena e arriviamo a 30 mila detenuti che potrebbero essere scarcerati senza violare le leggi – anzi rispettandole pienamente – e senza mettere in discussione la sicurezza. 30.000 vuol dire la metà. Cioè potremmo dimezzare il numero dei detenuti senza compiere nessuna rivoluzione.

Non vi sembrano cifre e considerazioni sconvolgenti? Perché non succede, cioè non succede che si svuotino le carceri e si ristabilisca un discreto livello di civiltà?

Un po’ per la pigrizia della burocrazia e per il poco coraggio di alcuni magistrati. Un po’ perché l’impeto del senso comune giustizialista rende difficilissima una ragionevole politica carceraria. E su questo c’entrano molto la politica e soprattutto i giornalisti. La nostra categoria professionale, forse, è la più pericolosa: vive nella ricerca di chi si può mettere in prigione, nella speranza che più gente possibile sia ingabbiata, e nella corsa spasmodica a trovare casi clamorosi da raccontare sui giornali, di persone che avrebbero potuto stare in carcere e invece -maledizione – non ci stavano. Pensate allo scandalo sollevato nei giorni scorsi per un permesso premio concesso dopo un quarto di secolo a quelli della “Uno Bianca”.

Poi c’è un secondo dato molto inquietante. Quello del 41 bis. Sapete che il 41 bis è un regime carcerario speciale, che anche i magistrati chiamano “carcere duro”. Siamo nel 2020, non siamo nel Settecento. Eppure in Italia esiste ancora il carcere duro, dove le condizioni di vita violano ogni principio costituzionale e si fanno beffe della dichiarazione dei diritti universali dell’uomo. Beh, ci sono più di diecimila persone che vivono al carcere duro. 10 mila, evidentemente, vuol dire che non sono solo boss mafiosi o terroristi. Ci sono tra loro, inevitabilmente, anche condannati (o sospettati) per reati minori. Manovalanza. Probabilmente anche una discreta percentuale di innocenti.

Perché li hanno messi al carcere duro? Per puro sadismo? Forse in parte è così. In parte invece il motivo è un altro: farli parlare, confessare, accusare i complici. Non tutti sono in grado di reggere il 41 bis. E non tutti, tra quelli che parlano, dicono la verità. E comunque, è legittimo, in un paese democratico davvero, usare il carcere duro come strumento di indagine? Non è un metodo molto, molto vicino al metodo della tortura?

La relazione del Garante è interessante anche per molti altri aspetti. Tra i quali l’analisi della provenienza geografica dei detenuti. Pensate che un quarto dei detenuti sono campani e un terzo calabresi. Sommando le due cifre si scopre che più della metà dei detenuti viene da queste due regioni del Sud. Che, insieme, hanno una popolazione che rappresenta circa il 15 per cento della popolazione italiana. Poi c’è la presenza degli stranieri, che è altissima: più del 30 per cento, mentre gli stranieri in Italia sono circa l’8 per cento della popolazione. È altissima, ma in proporzione è poco inferiore alla presenza dei campani ed è più meno uguale alla presenza dei calabresi. Forse non è vero che esiste un rapporto diretto tra immigrato e reato, piuttosto il filo diretto è tra “povero” o “disagiato” e reato. Però questo è inutile dirlo, tanto non trovi mai nessuno che abbia voglia di starti a sentire.

Infine questo dato sorprendente (legato al ragionamento iniziale sulle possibile scarcerazioni). Le persone che sono in prigione pur avendo ricevuto una condanna a meno di un anno di prigione sono 1572. Possiamo anche dire che sono, almeno loro, perseguitati: 1572 persone sicuramente perseguitate. Poi ce ne sono altre 8705 che hanno subito pene maggiori, ma devono scontare solo un anno. E altre 3000 che sono in cella e sono stati condannati a meno di due anni.

da il riformista

Comments ( 1 )

  • Kami

    Scusate ragazzi, ma un quarto è meno di un terzo. Quindi come fanno gli stranieri a essere meno dei campani e quanto i calabresi?
    K

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