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15 ottobre: Voci dalla piazza

La giornata romana del 15 ottobre è stata complessa. Diversi scenari si sono sovrapposti, differenti soggetti hanno interagito, si sono scontrati talvolta duramente, hanno provato a delineare la propria tattica o magari hanno sottolineato la mancanza di una visione strategica più ampia.

In questi casi, conviene sempre diffidare di chi fornisce rappresentazioni schematiche, di chi disegna scenari nitidi e propugna visioni manichee: buoni-cattivi, infiltrati-manifestanti, teppisti-indignati. Per questo, per mantenere la lucidità e non affogare nella retorica, non bruciare nel fuoco di paglia dell’entusiasmo o perdersi nel vortice della depressione, abbiamo scelto di raccogliere qui alcune voci dalla e sulla piazza. Una narrazione polifonica e per certi versi contraddittoria. Si tratta infatti di opinioni parziali [di parte], di punti di vista scelti in maniera arbitraria e da fonti eterogenee, tentando di affiancare diversi tasselli di un mosaico ancora in corso d’opera.

Questa pagina verrà di volta in volta aggiornata con altri spunti di riflessione.
«[…] Se togli il futuro a una generazione, non puoi aspettarti che questa se ne stia con le braccia conserte a lasciarti fare.C’è chi ha la lucidità di capire dove e di chi sono le responsabilità di cosa succede [vedi, tra gli altri, i geniali Draghi Ribelli che nei giorni precedenti il 15 hanno occupato via Nazionale riuscendo a far velere senza la violenza e la distruzione i loro contenuti e le loro ragioni] e chi invece riversa in una cieca violenza il proprio modo di reagire all’assenza di prospettive. Non c’è giustificazione per quanto è successo, ma non giustificare non significa non cercare di capire cosa è successo ieri in piazza e perchè. E allora, riprendo qui una parte della lucidissima analisi di Salvo Leonardi: ‘Come mai, quando a fracassare tutto sono i giovani ribelli delle periferie francesi o inglesi non si risparmiano gli attestati di simpatia politica e sociologica – organizzando workshops accademici e nei centri sociali [con tanto di citazioni dai ‘subaltern studies’] – e se poi qui da noi qualcuno li prende sul serio e pensa di emularli o sono teste di cazzo o fascisti infiltrati?’ Fa comodo, alleggerisce le coscienze, pensare che sono teste di cazzo, fascisti e infiltrati[…]».
Emanuele Toscano, ricercatore universitario, dal suo blog
«Ritenevamo quanto accaduto oggi quasi inevitabile, insito nella cornice stessa scelta in Italia per aderire al 15 Ottobre planetario: il Grande Corteo Nazionale anziché l’essere ovunque [‘Occupy Everything’] che i movimenti praticano nel mondo, e che hanno praticato anche oggi [‘962 città in 85 paesi’ significa una media di 11 città per paese, mentre da noi si è scelto di convergere quasi tutti in un solo punto, il solito, con tutte le implicazioni del caso]. E’ una riflessione che abbiamo ripetuto molte volte, fino ad annoiare noi stessi e gli altri. Prima del “#15ott” c’è stato il ’14dic’, e prima ancora il G8 etc. Oggi quelle critiche abbiamo zero voglia di riproporle, perché quando c’è chi rischia la vita in strada la priorità è essere solidali. Il ‘ve l’avevo detto’ è reazionario e anche un po’ infame. ‘Dire’ non serve se non si convince. Oggi si può solo esprimere solidarietà a chi ha subito la repressione, e a chi ha subito la situazione […]».
Wu Ming 1, su Giap!, il blog di Wu Ming che ha offerto il suo spazio prima a un’interessante esperimento di narrazione collettiva – via Twitter – del corteo del 15 ottobre e poi a una densa discussione su quanto è accaduto. Trovate tutto qui.

«Io non faccio la spia, e i conti preferisco regolarli dentro casa. Ma quei ragazzi incappucciati che hanno fatto gli scontri sono i nostri figli e fratelli minori. Sono ragazzi arrabbiati e disperati ai quali non basta la sponda politica che noi cerchiamo di offrire. E se la politica non cambia, se neppure il movimento antagonista riesce a individuare una prospettiva credibile, lo scenario purtroppo è e sarà questo»
Andrea Tarzan Alzetta, consigliere comunale a Roma di Action, al Corriere della Sera del 16 ottobre

«[…] Quanti erano? Il gruppone che ho visto io era composto di cento, al massimo 150 persone, in apparenza tutti maschi, tutti coi caschi e i volti coperti da fazzoletti, alcuni coi bastoni. Non so se ce n’erano altri in giro. Ma quelli che hanno fatto il casino immenso in piazza San Giovanni, lato via Emanuele Filiberto, non erano più di 150: a esagerare. Poi è iniziata la controcarica dei mezzi della polizia e quelli sono scappati […]».
Alessandro Gilioli, giornalista de L’Espresso, sul suo blog ‘Piovono Rane‘

«Tra la devastazione nichilista e il pacifismo di maniera una via alternativa deve esserci. Pratiche nonviolente al di fuori della legalità, io non vedo altre strade. Blocco delle vie di comunicazione e delle merci, disobbedienza civile, autoriduzioni, insolvenza. Nulla di nuovo e nulla di violento».
Marco Arturi, Fiom Torino ed eno-dissidente, dalla sua pagina Facebook

«[…] Quello che è accaduto ieri deve aprirci gli occhi e la mente. Non si può continuare a fare politica con le vecchie ricette. Ci dovranno essere cambiamenti anche nelle lotte sul lavoro e nel sindacato, e nella politica economica. Per concludere, vorrei ricordare che dopo il discorso di Sarteano anche un banchiere come Mario Draghi ha detto di capire le ragioni degli indignati. Forse siamo all’inizio di una nuova epoca».
Valentino Parlato, editoriale su il manifesto del 16 ottobre
«[…] La questione principale è un’altra. E’ la questione delle pratiche. Che devono essere condivise. Non si parassita un corteo che ha altri obiettivi e convocato con altre pratiche, non gli si impone la propria minoritaria presenza. Questa è la violenza peggiore. Imporre agli altri le proprie pratiche. Prendendo la testa in 300 di una manifestazione di 300mila persone e segnando il destino di quella manifestazione. E’ una questione di democrazia. Sommamente significativo che il grosso dei No Tav – i temibili valsusini! – li hanno contestati. In Val di Susa, per dire, nessuno era andato a dire che queste erano la pratiche della giornata […]».
Marco Rovelli, scrittore e musicista, su Nazione Indiana.
«[…] Il sistema non è mai stato tanto debole, indipendentemente da noi […] credo che sia sempre meglio essere sconfitti tentando il nuovo che continuando ad organizzare manifestazioni per i black bloc e i poliziotti, o per salvarci l’anima. Si dice che ieri ci fossero 300.000 persone in piazza. Domando:
– esistono in Italia 30.000 persone disposte a compiere azioni nonviolente di disobbedienza civile, anche illegali [occupazioni, blocchi, sabotaggi…], e disposte quindi, eventualmente, a finire in galera?
– esistono in Italia 300.000 persone disposte a compiere azioni nonviolente di non collaborazione attiva [boicottaggi di aziende e banche, obiezioni fiscali mirate…]?
– esistono in Italia 3.000.000 di persone disposte a sostenere le forme di lotta di cui sopra e a programmare un’astensione pubblica e motivata per le prossime elezioni?
Se non siamo capaci di andare a colpire i veri interessi dei nostri avversari [denaro e consenso-potere], se non siamo disposti a rischiare anche di perdere qualcosa per noi, non siamo all’altezza dello scontro in atto e, giustamente, non siamo credibili. O la nonviolenza è ‘un equivalente morale della guerra’ o, semplicemente, non è. […]».

Enrico Euli, ricercatore di didattica e pedagogia nell’università di Cagliari, da una mail diffusa in rete
«Quel che rimane del #15ott: 5 arrestati a Regina Coeli 2 arrestate a Rebibbia».
Un tweet di un manifestante che porta il nick Zeropregi

«[…] Quale che sia il giudizio politico espresso su queste pratiche, non si capisce perché l’importanza e il significato di una manifestazione di oltre duecentomila persone debbano essere intaccate dall’1 per cento dei suoi partecipanti. In realtà, il senso di questa manifestazione può essere rimesso in discussione solo in quelle menti soggiogate alle immagini dei media dominanti. I manifestanti possono stare tranquilli: è un giogo che tende a scomparire. E la prova sta proprio nella loro presenza nelle strade di Roma. Perché non siamo forse di fronte a quegli stessi media che hanno continuato a ripetere che non c’era altra strada da quella dei diktat dei mercati finanziari? Apparentemente, è la coscienza della propria potenza a mancare di più al movimento in corso. Quando si deciderà a dire ‘ce ne freghiamo dei media dominanti, quello che conta sono i nostri strumenti di comunicazione, sviluppiamoli’, piuttosto che continuare a preoccuparsi della propria ‘buona immagine mediatica’? […]»

Sergio Bianchi e Serge Quadruppani

«[…] si sa, la rete è luogo di esposizione delle differenze, di circolazione delle emozioni e degli umori. Mica la realtà. La realtà è la Piazza. Le grandi manifestazioni di massa. L’attivismo. I corpi. Il mostrarsi. E credo che qui stia il grande fraintendimento che movimento e mezzi di informazione, politica e opinione pubblica stanno osservando. Le masse del Novecento non sono le moltitudini di oggi. Non abbiamo a che fare con il movimento organizzato della classe operaia, con le grandi organizzazioni politiche. Gli indignati sono una moltitudine che racchiude sotto uno stesso termine ombrello una molteplicità di differenze, anche estreme. Non è possibile il principio di rappresentatività interna, non c’è un leader del movimento da intervistare. È cambiato il soggetto che porta in pubblico la sua opinione, ma i modi che utilizziamo per farlo pensiamo debbano essere ancora gli stessi. Le grandi manifestazioni di piazza sono un retaggio del ‘900 […]»
Giovanni Boccia Artieri, docente di sociologia dei new media.

«[…] spaccare la vetrina di una banca pensando di colpire un simbolo del capitalismo è un reato che va punito con equilibrio… Resistere a una carica violenta è un diritto, e anche una pratica rispettabile. Carlo ci ha provato».
Giuliano Giuliani, padre di Carlo, commentando sull’Unità i fatti di Roma

Da Radio Onda Rossa
Insieme all’avvocato Simonetta Crisci abbiamo provato ad elaborare un breve bilancio della giornata di ieri dal punto di vista degli arresti e dei feriti in piazza.

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