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L’Italia chiede giustizia per Giulio Regeni ma non approva il reato di tortura

Nonostante una condanna della Corte Europea dei diritti umani l’Italia non si è ancora dotata di una legge sul reato di tortura. Eppure sono molti i cittadini morti per mano dello stato: da Stefano Cucchi a Carlo Giuliani e Federico Aldrovandi.

Giulio Regeni è stato catturato da ignoti lungo una strada del Cairo il 25 gennaio 2016, nel giorno del quinto anniversario delle rivolte di Piazza Tahrir. Il suo corpo è stato trovato nove giorni dopo, ormai senza vita, con addosso i segni di terribili torture. Sono trascorsi oltre due mesi: da allora sono stati molti i depistaggi delle autorità egiziane, che più e più volte hanno sostenuto tesi incredibili al solo scopo di allontanare la famiglia di Regeni da una verità a cui hanno diritto: politici e magistrati hanno detto che il ricercatore italiano era stato investito da un’auto; poi che è stato ucciso dopo una rissa con dei conoscenti al termine di un festino a base di droga. Per finire che il 28enne era stato sequestrato a scopo di estorsione poi assassinato da una banda di criminali comuni dediti ai rapimenti, “casualmente” tutti morti dopo un blitz delle forze di sicurezza. Finora solo balle. Non una di queste versioni corrisponde a verità come successivamente si sono affrettati a riconoscere gli stessi inquirenti egiziani, avallando così sempre di più il sospetto che Giulio Regeni sia morto in mano a polizia o militari del regime.

L’Italia ha più volte chiesto verità e giustizia: dopo il fallimentare incontro a Roma con gli investigatori egiziani il Ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha richiamato l’ambasciatore Maurizio Massari, mentre il Presidente della Commissione Esteri del Senato ha annunciato l’intenzione di inserire l’Egitto tra i paesi non sicuri per i turisti e ricercatori italiani, senza menzionare – almeno al momento – altre forme di “sanzione” ai danni del paese africano.

Il Parlamento approvi la legge sul reato di tortura

E’ presto per dire se le misure che prenderà il governo italiano sortiranno effetti concreti sulle indagini riguardanti il rapimento e la morte di Giulio Regeni. Quello che però è necessario affermare, a più di due mesi dal ritrovamento del corpo, è che il Parlamento italiano ha un’occasione importante, a suo modo storica: quella di ergersi su un piano etico veramente superiore rispetto alle autorità egiziane approvando finalmente una legge sul reato di Tortura. Giulio Regeni, in fondo, potrebbe aver subito un trattamento non molto diverso da quello riservato ad altri italiani da polizie e carabinieri di un paese democratico.

Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Carlo Giuliani sono morti per mano di uomini in divisa mentre erano sotto la custodia dello Stato. A sentenziare che l’Italia ha fatto ricorso alla tortura è stata un anno fa o la Corte europea dei diritti umani che ha condannato il nostro paese non solo per quanto fatto ad uno dei manifestanti del G8 di Genova, ma anche perché non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura. Non solo: alti dirigenti di polizia che organizzarono la repressione del luglio 2001 ebbero successivamente la carriera spianata in alcune delle posizioni pubbliche più prestigiose. E ciò malgrado fossero protagonisti di quella che Amnesty International definì “la più grande sospensione dei diritti umani dopo la seconda guerra mondiale”.

Legge sul reato di tortura, Antigone: “Testo distante dalle indicazioni fornite dall’Onu”

Eppure, malgrado i solleciti dell’Unione Europea, per l’approvazione della legge contro il reato di tortura non sembra mai essere #lavoltabuona. I ddl presentati da Movimento 5 Stelle, Sel e Partito Democratico  sono da quasi un anno in attesa di essere approvati al Senato dopo aver ottenuto il via libera alla Camera. Dopo la sentenza della Corte di Strasburgo Matteo Renzi dichiarò: “Ciò che è accaduto attiene a una pagina nera nella storia del nostro Paese. E se vogliamo affrontare quella pagina nera, la prima cosa da fare è introdurre subito il reato di tortura”. Ciò nonostante l’atteso provvedimento sembra essersi insabbiato a Palazzo Madama, come ricordava alcuni mesi or sono a L’Espresso Patrizio Gonnella, presidente di “Antigone”: “Il testo non solo si è bloccato ma, pur vedendosi pochissime volte, al Senato sono stati capaci di peggiorarlo rispetto a quello che era stato approvato dalla Camera, che già di per sé era frutto di un compromesso al ribasso”. E’ così che la legge sulla tortura di cui potrebbe dotarsi in futuro l’Italia prevederà pene irrisorie rispetto a quelle di altri paesi. Gonnella spiega: “È stato messo il plurale: una sola violenza non basta per configurare una tortura. Senza dimenticare che è stato deciso che quando si produce una sofferenza psichica, questa deve essere verificabile. Il che è ovviamente impossibile, specie se, come accade spesso in Italia, i processi durano anche dieci anni. L’obiettivo è non approvarlo mai, o tramite melina oppure peggiorandolo a tal punto che poi si dica che questo testo così com’è non può essere approvato perché troppo distante dalle indicazioni che aveva dato l’Onu sul reato di tortura”.

In Italia 10.100 presunte violazioni dei diritti umani

Angelino Alfano ebbe a dire che “il caso Diaz è un capitolo chiuso, la polizia è sana” e “non è giusto rievocare spettri del passato ogni volta che accade qualcosa che non va”, fingendo di non sapere che nel frattempo gli abusi di uomini in divisa sono continuati. Quattro agenti di polizia sono stati condannati per omicidio colposo nel processo sulla morte di Federico Aldrovandi. Carabinieri e medici che ebbero in custodia Stefano Cucchi sono invece indagati nel processo bis sulla morte del giovane romano fermato la sera del 15 ottobre 2009. Ma non è tutto: dopo la sentenza della Corte di Strasburgo per i fatti del G8 rischiamo altre condanne, come emerge anche dall’ultima “Relazione sullo stato di esecuzione delle pronunce della Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato italiano”. Il dossier rivela che contro l’Italia sono stati presentati 10.100 ricorsi per presunte violazioni dei diritti umani, alle spalle solo dell’Ucraina (13.650) e davanti a Russia (10.000) e Turchia (9.500).

Tra i casi riportati dal report c’è quello di Saba, in Sardegna: “Nel 2000 – si legge – in occasione di un’operazione di perquisizione generale effettuata nel carcere di Sassari, si registrarono episodi di violenza fisica e morale nei confronti dei reclusi ad opera della polizia penitenziaria. Le indagini che seguirono portarono alla presentazione in tempi brevi della richiesta di rinvio a giudizio per novanta persone per i reati di violenza privata, lesioni personali aggravate ed abuso d’ufficio, commessi nei confronti di oltre cento detenuti. Dei sessantuno imputati che optarono per il rito abbreviato, solo dodici furono condannati a pene, tutte con sospensione, da quattro mesi ad un anno e mezzo di reclusione per i delitti di violenza privata aggravata e abuso di autorità contro arrestati e detenuti. Le condanne divennero definitive soltanto per nove di loro. Quanto ai rimanenti ventinove imputati che non scelsero il rito abbreviato, nove vennero rinviati a giudizio e poi assolti (due) o prosciolti per intervenuta prescrizione (sette), mentre per i restanti venti fu pronunciata sentenza di non luogo a procedere. Ad alcuni dei condannati vennero applicate lievi sanzioni disciplinari”. Cosa sarebbe accaduto a quegli agenti se avessimo avuto un reato di tortura?

Insomma, a 28 anni dalla ratifica da parte dell’Italia della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, l’istituzione di un reato specifico è ancora un miraggio. Chi, indossando una divisa, in Italia si rende protagonista di abusi rischia di farla franca o subire pene irrisorie. Ma cosa differenza un torturatore egiziano da uno italiano?  Se il nostro paese vuole verità su Giulio Regeni si adoperi per garantire giustizia a chi ha subito violazioni in Italia.

Davide Falcioni da Fanpage

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