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#12a, «Ora so com’è violenta la polizia!» Parlano Deborah e Andrea, i due ragazzi pestati a Piazza Barberini mentre erano già a terra.

I due ragazzi bloccati e pestati per terra a Piazza Barberini durante la manifestazione del 12 aprile a Roma. Fotografia di Checchino Antonini

«No, non ci interessa denunciare, non vogliamo infilarci in un processo che non porterebbe a nulla, ci sono cose più importanti». Per i due ragazzi pestati a Piazza Barberini il 12 aprile, la sfiducia nella magistratura è seconda solo a quella nei confronti della polizia. Il braccio dolorante di lei e i nove punti tra la nuca e la fronte di lui stanno lì a ricordarglielo. 48 ore dopo essere stati pestati dalla polizia i due ragazzi hanno deciso comunque di parlare. Sono versiliesi, Deborah e Andrea, 22 e 19 anni, attivi nella Brigata antisfratto di Viareggio. Per Deborah, che studia Scienze per la pace, era la prima manifestazione. Ma non sarà l’ultima. Popoff riesce a contattarli durante un’assemblea che stilerà un bilancio politico dell’esperienza del 12 aprile.

«Non ero consapevole della violenza della polizia. Era la mia prima manifestazione e dopo sabato ho dovuto aprire gli occhi», ci racconta Deborah, che ora sta meglio, anche se con un braccio ancora gonfio e dolorante. «Non credevo che la polizia potesse caricare gente… cioè, non ho fatto niente, non stavamo facendo niente», continua il suo racconto la studentessa di 22 anni, che per uno strano caso della vita studia Scienze della pace all’Università di Pisa.

Più che la narrazione di un pestaggio, il suo è uno scorato bilancio sullo stato di salute della nostra democrazia. È ancora allibita da quanto le è accaduto, le sembra incredibile che dei poliziotti possano arrivare ad infierire su persone inermi, che fino a qualche minuto prima hanno manifestato in modo pacifico. «A me non piace la violenza, io sono contro la violenza», spiega ancora Deborah.

La ragazza è ancora scossa. Parla velocemente, la voce eccitata dalle emozioni segue il racconto veloce e lucido di quanto le è accaduto. «Ero in mezzo alla folla con la mia amica. La polizia ha cominciato a caricare e ci siamo riparate dietro ai giornalisti. A un certo punto ho visto Andrea sanguinante. Ero spaventata, l’ho rincorso cercando di tamponargli la ferita alla testa. Poi ci siamo sentiti prendere da dietro, ci hanno buttati per terra e hanno cominciato a picchiarci».

I ricordi di Deborah sono precisi, non ha dubbi sulla dinamica dell’aggressione. «Un poliziotto mi ha ferito col manganello sul braccio e sulla schiena. Poi, quando ero bloccata a terra mi è salito addosso e mi ha preso a calci sullo stomaco, sul fianco, sul petto – ho ancora le costole doloranti -, mentre Andrea cercava di proteggermi». Ma se è possibile, quello che l’ha ferita di più sono stati i momenti successivi ai calci.

«Quando finalmente ci siamo rialzati e abbiamo chiesto “Ma cosa fate? Perché?”, i poliziotti intorno hanno cominciato a insultarci: “Siete delle persone di merda”, ci dicevano. “Siete degli schifosi, persone del cazzo”. Questo mi ha colpito molto. Non riuscivo a capire perché ci dicessero quelle cose. Eravamo stati appena picchiati senza che avessimo fatto niente. Non respiravo più dalla paura». Poi la corsa in ospedale – o meglio il tentativo – per farsi medicare. «Abbiamo fermato un taxi per andare in pronto soccorso. Ma il taxista non ha voluto caricare Andrea perché sennò, ha detto gli avremmo sporcato i sedili. Incredibile».

La speranza di Deborah, ora, è che questa triste esperienza non si trasformi in un circo mediatico, «che serve solo a fare immagine e vendere qualche copia in più. Vorrei che la nostra vicenda sia davvero utile a far conoscere la realtà».

Andrea racconta di essersi trovato a Via Veneto quando sono iniziate le cariche. Era a volto scoperto, senza casco, una felpa che avrebbe dovuto servire solo a ripararsi dai gas dei lacrimogeni, armi vietate in guerra ma permesse nella repressione delle lotte sociali. «In fondo a Via Veneto mi hanno preso mentre provavo a indietreggiare tranquillamente. Sono andato verso la piazza, Debora m’ha visto sanguinare dalla testa e m’è venuta incontro ma la polizia e i carabinieri hanno ricominciato a caricare da tutte le vie. C’era solo un’unica via di fuga e la calca era allucinante. Eravamo tra gli ultimi e io mi sono ritrovato a terra. Non ci ho capito più nulla».

Da qui in poi Andrea non ricorda altro se non che ha tentato di proteggere Deborah finché l’arrivo dei fotografi non ha convinto a desistere chi li ha aggrediti. Dei calci ai fianchi della ragazza s’è accorto solo la mattina dopo dai siti internet. E forse è meglio così. Poi la corsa a farsi medicare, la solidarietà dei compagni che li hanno aiutati: «Una roba da guerra, abbiamo dovuto fare tutto in segreto. L’ufficio stampa della questura fa sapere che l’agente, immortalato mentre infierisce su persone già immobili e inermi, sarebbe già stato identificato mentre sono già in corso le indagini della scientifica e della postale sui video e i social network a caccia di manifestanti da mettere in croce.

Checchino Antonini e Massimo Lauria da popoff

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