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1° luglio 1977: Lo Stato applica la pena di morte. Ucciso Antonio Lo Muscio

Il quotidiano Lotta Continua fu l’unico ad  avere il coraggio di chiamare per nome l’esecuzione sommaria di Antonio Lo Muscio: pena di morte

1 Luglio 1977 a Roma, scalinata di San Pietro in vincoli, vengono riconosciute e arrestate dai carabinieri Franca Salerno e Maria Pia Vianale, evase il 22 gennaio dal carcere femminile di Pozzuoli, mentre è in corso il processo di Napoli ai NAP (Nuclei Armati Proletari), e, dopo un breve inseguimento, il brigadiere Fortunato Massitti spara e uccide Antonio Lo Muscio.

Da una testimonianza raccolta da un giornalista del Corriere della Sera e pubblicata il 2 luglio si legge che: “Prima è passato di corsa quel giovane, Lo Muscio, inseguito da un carabiniere che sparava raffiche di mitra. E’ caduto proprio a pochi metri dall’ingresso della facoltà, cercando di sostenersi con le braccia e urlando per il dolore. E’ a questo punto che il carabiniere, fatti pochi passi, ha lasciato partire un’altra raffica e Lo Muscio è stato fulminato. Gli ultimi colpi sono stati sparati dal carabiniere con una pistola”. Nato a Trinitapoli (FG) il 28 marzo 1950, Lo Muscio si era trasferito con la famiglia nell’hinterland milanese dove aveva lavorato per un periodo come operaio alla Fargas di Novate prima di essere condannato e incarcerato nel 1974 per renitenza alla leva. Nel 1975 nel carcere di Perugia fonda, insieme ad altri compagni, il collettivo Pantere Rosse ispirato alle Black Panthers americane e quando esce entra a fare parte dei NAP.

Qualche mese prima di quel fatale 1 luglio, Il 23 marzo, e sempre a Roma, quando ormai quasi tutti i militanti dei NAP erano stati arrestati, aveva ucciso su un autobus l’agente di polizia Claudio Graziosi che aveva riconosciuto Maria Pia Vianale ed intimato al guidatore di andare presso la prima caserma per procedere al di lei arresto. Sul sito “polvere da sparo”  si legge una “lettera ad un amico” da lui spedita dal carcere di Procida il 5 marzo 1974 dove scriveva: “Caro compagno spero tanto che tu stia sempre bene. Quando uscirò oltre a lavorare normalmente, cercherò di svolgere anche un certo lavoro politico coinvolgendo se sarà possibile gli stessi elementi che ieri come me vivevano al di fuori della realtà. In un mondo diverso da quello reale dove si vede nel denaro la sola via d’uscita, così come ci ha insegnato la borghesia, che con i soldi fa e disfa a suo piacimento. Bisogna far capire loro come ho capito io che chi ha il potere di fare e disfare a suo piacimento è uno solo, il popolo. E’ questa la vera forza che fa cambiare il mondo, e non il denaro. Tutte le soddisfazioni ce le potremo prendere una volta abbattuti gli sporchi capitalisti e tutte le forze reazionarie esistenti. Solo quando questo sarà attuabile tutti gli uomini si potranno ritenere uomini, oggi siamo sulla via di transizione, cioè uomini lo stiamo diventando solo ora.” Silvana Innocenzi, che l’ha conosciuto e frequentato, di lui scrive “Un ragazzo intelligente, timido e sensibile. Un sorriso spontaneo, carico di tenerezza e di entusiasmo per la vita. Così la mia mente ricorda il primo incontro con Antonio. Mi colpì la disponibilità e la generosità che aveva nei confronti degli altri, la sua capacità di ascoltare”.

Nel libro “Vorrei che il futuro fosse oggi” Valerio Lucarelli scrive “”Non sono passati nemmeno tre anni dal megafonaggio davanti alle carceri di San Vittore, Poggioreale e Rebibbia e sembra trascorso un secolo.Una lunga scia di lutti ha sporcato di sangue la loro rivolta.Gli arresti in serie hanno decapitato gran parte dell’organizzazione.Lo Muscio è l’ultimo baluardo prima della disfatta.E si fa carico di tutto.Di quanto resta dell’esperienza nappista e non solo.Da una vita assaggia l’onta delle vessazioni,il dolore degli emarginati,la sofferenza degli ultimi.Forse non ha una chiara prospettiva rivoluzionaria.Non si lancia in analisi politiche a lungo termine.La sua è una primitiva sete di giustizia…”.

Valerio Morucci che ai tempi l’ha conosciuto ha scritto: ““Uomo del sud, di chissà quale Sud. Terra secca e improvvido cemento. Cemento, miseria e sogni malcilenti. La galera seconda casa, e prima scuola. Unica scuola dell’obbligo, cui era iscritto dalla nascita. Dove imparare la violenza sulla carne. E quello che era riuscito a vedere della Giustizia. La spada per quelli come lui e la benda sugli occhi per quelli che lo tenevano dalla parte della lama. La bilancia a pesare il prezzo dell’impunita”. (Davide Steccanella)

L’editoriale di Lotta Continua

Non è stato un conflitto a fuoco quello in cui venerdì sera è stato ucciso Antonio Lo Muscio. E’ stata l’attuazione della pena di morte, eseguita con il massimo di barbarie ostentata di cui si poteva fare sfoggio. Lo Stato ha dato spettacolo della sua forza; allo stesso modo in cui la mafia uccide i suoi nemici e li sfregia mettendo loro sassi in bocca. Falciato da più raffiche di mitra, finito a terra a pistolettate quando era già morto; Maria Pia Vianale e Franca Salerno prese a pedate e a pugni, colpite con i calci delle armi. Ma con più strumenti della mafia: in tutte le case si è potuto vedere il cronista che parlava, al telegiornale, sul luogo del fatto, quasi con un piede sul corpo di Lo Muscio, souvenir di un safari. E i fotografi all’ospedale San Giovanni venivano fatti gentilmente entrare a fotografare i volti tumefatti di Maria Pia Vianale e Franca Salerno, un tempo li avrebbero tenuti nascosti, ieri se ne gloriavano. Non importano le contraddizioni della ricostruzione dei fatti. Anzi, vengono quasi ammesse per fare entrare bene nella testa di tutti che lo Stato ha adottato questi metodi e li rivendica. E’ stata un’operazione compiuta dopo un lungo periodo di costruzione di «mostri», dopo che Lo Muscio era stato nominato dal Ministero degli Interni «il capo» dei NAP e Vianale e Salerno erano state investite da tutta la stampa del titolo di terribili primule rosse. Stavano sulla gradinata di San Pietro in Vincoli? Era per attentare al  rettore.  Mangiavano pesche? Non è detto che fossero pesche, i noccioli potevano essere proiettili di P38.

LEGGI IL RESTO DELL’EDITORIALE

L’INTERVISTA A GILDA VIANALE  

LA RICOSTRUZIONE DEI FATTI

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