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Violenze e torture alla caserma Bolzaneto La politica non può tacere.

Schiaffi, botte, minacce di sodomizzazione, piercing levati da parti intime, teste sbattute nei gabinetti, inni a Mussolini e altri canti fascisti. Nel processo in corso a Genova il Pm Vittorio Ranieri Miniati ha ripercoro nella sua lunga requisitoria gli innumerevoli abusi compiuti fra il 20 e il 22 luglio 2001 nella caserma di Bolzaneto, alla periferia di Genova. Erano i giorni del G8 e la caserma veniva usata come ufficio matricola: vi passavano i fermati prima di essere trasferiti nelle carceri del Nord Italia. Gli imputati sono 47: sedici agenti penitenziari, quattordici poliziotti, dodici carabinieri e cinque medici. I capi d’accusa sono numerosi e gravi: abuso d’ufficio, lesioni, percosse, ingiurie, violenza privata, abuso di autorità, minacce, falso, omissione di referto, favoreggiamento personale, con l’aggiunta della violazione della convenzione internazionale per la salvaguardia dei diritti dell’uomo.
In quella caserma, per tre giorni, fu sospeso lo stato di diritto. Vi si praticò la tortura. La nostra democrazia ebbe una caduta verticale. La discesa in quell’abisso di arbitrio e violenze ha fatto capire a noi cittadini quanto siano vulnerabili le garanzie costituzionali. E’ accaduto, e niente ci garantisce che non possa riaccadere.
Gli apparati dello Stato non hanno fatto nulla per tentare di individuare singole responsabilità, né hanno mai ipotizzato di avviare un’inchiesta interna per infliggere sanzioni ai violenti. Lo stesso fatto che i poliziotti abbiano agito a volto coperto come volgari banditi è passato del tutto inosservato, senza che nessuno condannasse una simile condotta, che accomuna gli agenti più a dei fuorilegge che a dei tutori dell’ordine.
Più in generale la polizia italiana dimostra quanto sia carente sotto il profilo della trasparenza, della verifica del proprio operato, della disponibilità a sottoporsi a un giudizio indipendente, tutte caratteristiche che dovrebbero essere proprie di forze dell’ordine autenticamente democratiche. La tradizione di opacità e chiusura verso il mondo esterno, evidentemente, pesa ancora moltissimo. I fatti di Genova non hanno fatto che accentuare i forti limiti democratici delle nostre forze dell’ordine. La “gestione” delle inchieste, da questo punto di vista, con il rifiuto dei vertici degli apparati di fare chiarezza, collaborare coi magistrati, e ammettere le proprie numerose mancanze (e anche il clamoroso fallimento nella gestione del G8 2001), ha allontanato ancora le nostre forze dell’ordine dalla via maestra della crescita democratica. In questo modo i diritti sono stati calpestati due volte.
Viviamo tempi difficili. La tortura, nel mondo, viene praticata da paesi che siamo abituati a considerare democratici. Noi italiani non abbiamo avuto la nostra Abu Ghraib, ma quanto accadde nella caserma di Bolzaneto fa vergognare chiunque abbia un minimo di simpatia per lo stato di diritto.
In questi giorni di campagna elettorale, i fatti di Genova sono sepolti nella memoria, riemergono solo nelle requisitorie dei Pm.
La sinistra, non può tacere. Ha il dovere di continuare a chiedere una commissione d’inchiesta parlamentare sui fatti di Genova e Napoli, impegnarsi a proporre una legge sul reato di tortura e l’introduzione dei codici identificativi per le forze di polizia in servizio di ordine pubblico, chiedere l’abolizione dei gas CS dai lacrimogeni usati nelle piazze e negli stadi.
Ogni cedimento sul piano dei diritti civili è la premessa per nuove restrizioni delle libertà e delle garanzie: ce lo insegnano tutte le organizzazioni di tutela dei diritti umani.

Italo Di Sabatoresponsabile Osservatorio sulla Repressione PRC/SE

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