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Un decreto sicurezza che piace alle mafie, ai trafficanti di uomini e ai mercanti d’armi

Un pacchetto che mescola leggi razziali, inasprimenti del codice Rocco e, probabilmente, concessioni alle mafie. L’emergenza permanente è una condizione chiave per garantire la continuazione della compressione dei salari e dei diritti sociali in una società sgretolata e impoverita.

Certo, sarà forse più difficile noleggiare un furgone – come hanno fatto gli attentatori di Nizza, Londra, Münster o Barcellona – ma, prima del dl sicurezza o immigrazione, Salvini ha rispettato i suoi obblighi verso la lobby delle armi, per cui ora è un gioco da ragazzi comprarsi un kalashnikov. Il governo “del cambiamento” ha scelto il tipo di stragi da promuovere, quelle tipiche degli Usa dove i supermarket traboccano di armi. Non solo, ha promulgato un pacchetto che mescola leggi razziali, inasprimenti del codice Rocco e, probabilmente, concessioni alle mafie. L’emergenza permanente è una condizione chiave per garantire la continuazione della compressione dei salari e dei diritti sociali in una società sgretolata e impoverita.

Una delle parole chiave nell’analisi del dl sicurezza è unanimità: il consiglio dei ministri ha votato come un sol uomo il pacchetto di norme facendo registrare l’egemonia del socio di minoranza, Salvini (che ha preso la metà dei voti grillini), in una compagine che non trova affatto disdicevole caratterizzarsi sul razzismo e l’autoritarismo. Chi fa il palo ha la stessa responsabilità di chi ruba. Nella fattispecie, ruba diritti. Secondo la suddivisione dei ministeri, Di Maio e Salvini dovevano essere, rispettivamente, il poliziotto buono (per le misure sociali) e il poliziotto cattivo (per le politiche sicuritarie). Ma quella caratterizzazione è saltata da tempo. Ammesso e non concesso che il vertice M5s fosse davvero più progressista dei suoi omologhi leghisti, adesso è in affanno nella rincorsa della Lega in continua ascesa nei sondaggi. Anche annunciando il sussidio che viene pomposamente declamato come “reddito di cittadinanza” il ministro Di Maio ha voluto sottolineare la propria adesione alla linea del “primato nazionale”. In questa gara a chi è più razzista prende corpo un decreto legge spacciato come misura necessaria «per rafforzare i dispositivi a garanzia della sicurezza pubblica, con particolare riferimento alla minaccia del terrorismo e della criminalità organizzata di tipo mafioso, al miglioramento del circuito informativo tra le forze di polizia e l’Autorità giudiziaria e alla prevenzione e al contrasto delle infiltrazioni criminali negli enti locali».

In realtà è una misura per fare pressioni sulla popolazione migrante, fabbricare ulteriore marginalità e clandestinità, per criminalizzare pratiche di conflitto, per “restituire” a prestanome delle mafie i beni confiscati. Uno stato d’emergenza fondato su una miscela di emarginazione e repressione. Vediamo come.
La restrizione del sistema di accoglienza è sicuramente l’aspetto più evidente delle nuove misure: i richiedenti asilo verranno esclusi dal sistema Sprar che sarà limitato solo a chi è già titolare di protezione internazionale o ai minori stranieri non accompagnati. Si ridimensiona un sistema che ha provato, pur dentro mille contraddizioni, percorsi virtuosi di accoglienza e integrazione puntando su centri di accoglienza emergenziali (i Cas) con servizi inadeguati e spesso gestioni opache. Fuori dall’accoglienza Sprar tutte le categorie vulnerabili di richiedenti asilo come ad esempio le vittime di tratta o di tortura o le persone con problemi di salute mentale.

Una norma incostituzionale, per i giuristi del Coordinamento per la difesa della Costituzione, quella che prevede la sospensione della procedura d’asilo ed il rimpatrio del richiedente asilo che abbia subito una condanna in primo grado «perché palesemente contraria alla presunzione di non colpevolezza (art. 27 Cost.) ed al principio che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 Cost.)».
Il sostanziale smantellamento del sistema di protezione su base comunale (Sprar) rende più problematica la convivenza. Secondo i dati raccolti su migliaia di migranti da Medu, medici per i diritti umani negli ultimi quattro anni (si veda la webmap Esodi) il 90% di coloro che sbarcano in Italia dalle coste del Nord Africa è sopravvissuto a traumi estremi nel Paese di origine e lungo la rotta migratoria (in particolare in Libia): torture, lavori forzati e abusi gravissimi. Nei centri emergenziali sarà sempre più difficile una tempestiva individuazione di persone con problemi fisici e psichici, con ricadute negative dal punto di vista della salute individuale e pubblica, della spesa sanitaria e dell’integrazione.

L’articolo 13 del dl prevede che i richiedenti asilo non si possano iscrivere all’anagrafe e non possano quindi accedere alla residenza. Un ulteriore provvedimento punitivo che sembra avere un’esclusiva matrice ideologica da dare in pasto a un’opinione publica intossicata. Scompaiono i “motivi umanitari” sostituiti dalla concessione del permesso di soggiorno per alcuni “casi speciali” come ad esempio “condizioni di salute di eccezionale gravità” o “situazione di contingente o eccezionale calamità del Paese dove lo straniero dovrebbe fare ritorno”. «La nuova disciplina dell’immigrazione e della cittadinanza presenta aspetti allarmanti di incostituzionalità – denunciano in un documento congiunto i giuristi del Cdc (Massimo Villone, Alfiero Grandi, Silvia Manderino, Mauro Beschi, Domenico Gallo) – l’abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari è mirata specificamente a sgonfiare il volume dei permessi di soggiorno, creando una serie di drammi personali e aprendo la strada ad un’esplosione del contenzioso».

L’effetto sarà il medesimo di qualunque proibizionismo: alimentare le mafie con la dilatazione dell’area della clandestinità, di una popolazione di senza diritti, facile preda della criminalità e del lavoro schiavistico. Tutto ciò inciderà sulla sicurezza e renderà più spietata la competizione tra nativi e migranti nei settori più opachi del mercato del lavoro. Anche il raddoppio del trattenimento degli stranieri all’interno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), ex Cie, da 90 giorni a 180 giorni, non serve allo scopo dichiarato ma è solo un provvedimento punitivo. Quando fu dilatato addirittura a 18 mesi, dal 2011 al 2014 (si veda il rapporto Arcipelago Cie di Medu) non ha prodotto alcun miglioramento significativo della percentuale dei rimpatri né ha garantito per le persone internate il livello di dei loro diritti fondamentali. Anche se consentito dalla Direttiva europea sui rimpatri 2008/115/CE, il raddoppio della permanenza «presenta marcati aspetti di irragionevolezza – dicono al Cdc – perché si risolve in una pena senza delitto data l’impossibilità di procedere al rimpatrio nella stragrande maggioranza dei casi».

Raddoppierà la popolazione di stranieri in detenzione amministrativa con incremento esponenziale dei costi per i contribuenti. «In questo contesto è inaccettabile la possibilità di trattenere le persone da rimpatriare in strutture idonee e nella disponibilità dell’autorità di pubblica sicurezza. In questo modo viene creato un circuito carcerario (le prigioni del Ministero dell’Interno) al di fuori dell’ordinamento nel quale non sarà possibile monitorare il rispetto dei diritti umani fondamentali», spiegano i quattro giuristi. Caserme, commissariati e carceri, come testimonia il lavoro di denuncia di associazioni come Antigone o Acad, l’associazione contro gli abusi in divisa, sono luoghi in cui si moltiplicano gli abusi in divisa. «I Comuni con popolazione superiore ai centomila abitanti – si legge nel testo del dl – possono dotarsi di armi comuni ad impulso elettrico, quale dotazione di reparto, in via sperimentale, per il periodo di sei mesi, due unità di personale, munito della qualifica di agente di pubblica sicurezza, individuato fra gli appartenenti ai dipendenti Corpi e Servizi di polizia municipale». Dopo sei mesi «possono deliberare di assegnare in dotazione effettiva di reparto l’arma comune ad impulsi elettrici positivamente sperimentata».

L’armamento dei vigili urbani è un passaggio necessario per la trasformazione in problematiche di ordine pubblico di qualsiasi questione legata ai conflitti sociali, anche quelli “orizzontali” (residenti contro studenti nei quartieri della movida, stranieri contro nativi nelle periferie ecc…) e, più in generale, nella fabbricazione della guerra ai poveri. La pistola taser, considerata strumento di tortura, è appena stata fornita alle questure di undici città e ha già debuttato con l’utilizzo a Firenze contro una persona malata di mente rivelandosi in tutta la sua inumanità. Un dossier di Amnesty international fornisce dettagli sulla lunga catena di morti legate all’utilizzo di queste armi “non letali”.

Anche l’estensione del Daspo «a coloro che, operanti in gruppi o isolatamente, pongano in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato» serve solo a “nutrire la bestia”, alimentando lo stato di emergenza perenne: non è fissando cartelli con scritto “vietato l’ingresso ai terroristi” alle porte di un palazzetto dello sport che si intimoriscono “fascisti barbuti” dell’Isis.
Si dilata il Daspo urbano, stavolta in nome del “decoro”, estendosi «ai presidi sanitari e alle aree destinate allo svolgimento di fiere, mercati e pubblici spettacoli nell’elenco dei luoghi che possono essere individuati dai regolamenti di polizia urbana». Pura guerra ai poveri, o tradotto in “salvinese”, guerra «ai soggetti che pongono in essere condotte che impediscono l’accessibilità e la fruizione dei suddetti presidi dei citati eventi».

Anche il potenziamento del reato di blocco stradale (articolo 25), esteso contro chiunque ostruisce o ingombra una strada ordinaria o ferrata, e l’inasprimento di pene contro chiunque invade «arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto» non hanno alcuna giustificazione se non quella di criminalizzare le pratiche di conflitto sociale, vero obiettivo di ogni governo antipopolare. Promemoria per i “progressisti” scandalizzati: queste norme sono la prosecuzione dei decreti Minniti-Orlando e del decreto Lupi prima di quelli.

Chi occupa sarà punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da 103 a 1032 euro. Pena che si raddoppia «nei confronti dei promotori e organizzatori dell’invasione, nonché di coloro che hanno compiuto il fatto armati». «Problematiche e di scarsa utilità, oltre ad essere prive di ogni requisito d’urgenza sono le norme in materia di sicurezza – commentano i giuristi – la sperimentazione delle c.d. armi ad impulsi elettrici da parte delle polizie municipali, crea una situazione pericolosa per la pubblica incolumità, trattandosi di dispositivi che possono avere effetti letali. Raddoppiare le pene previste dal codice Rocco per le occupazioni abusive è scelta palesemente irragionevole in quanto l’emergenza non è rappresentata dalle occupazioni di edifici abbandonati da parte dei senza casa, ma dall’esistenza di fasce di popolazione prive del diritto all’abitazione, così come non c’è nessuna necessità di mettere in vendita i patrimoni sequestrati alle mafie, aprendo alla possibilità che la criminalità organizzata riprenda possesso dei beni che le sono stati sottratti».

L’articolo 38, infatti, prevede l’«ampliamento della platea dei possibili acquirenti, ora circoscritti a determinati enti pubblici, associazioni di categoria e fondazioni bancarie. Viene invece prevista la possibilità di aggiudicazione, semplicemente, al miglior offerente, con il bilanciamento di rigorose preclusioni e dei conseguenti controlli, allo scopo di assicurare che comunque il bene non torni, all’esito dell’asta, nella disponibilità di ambienti mafiosi, anche attraverso prestanome. A tal fine viene anche previsto il rilascio dell’informazione antimafia».

Checchino Antonini

da Left

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