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Turchia: La giustizia secondo Erdogan, in carcere gli avvocati

Il caso dell’Associazione degli avvocati progressisti: 18 legali condannati a pene pesantissime con l’accusa di favoreggiamento al terrorismo. A difenderli ora c’è una missione internazionale, a cui prendono parte anche avvocati italiani

La guerra che la Turchia ha scatenato contro la Siria del nord ha da anni ormai un suo versante interno. Rilanciata nel 2015 contro il sud-est a maggioranza curda, ha ripreso vigore l’anno successivo, dopo il fallito golpe del luglio 2016: è la guerra del governo di Ankara contro ogni forma reale o presunta di opposizione.

In stato di emergenza permanente, da oltre tre anni è impossibile in Turchia svolgere il proprio lavoro se questo è considerato minaccia alla politica di potenza del presidente Erdogan. La campagna di epurazioni, che ha investito il paese, gettando in mezzo alla strada o in prigione decine di migliaia di persone, ha colpito anche gli avvocati. Quelli che dovrebbero difendere giornalisti, attivisti, oppositori, scrittori dalla prigione. In cella ci finiscono anche loro, con le stesse accuse.

«Sono circa 600 gli avvocati detenuti in Turchia, a fronte di un’identificazione del legale con il protetto – ci spiega Roberto Giovene Di Girasole del Consiglio nazionale forense (Cnf), autore del libro appena pubblicato La difesa dei diritti umani, scritto con Barbara Spinelli per Nuova Editrice Universitaria – Un meccanismo chiaro: accusano di terrorismo curdi, oppositori, giornalisti e poi di conseguenza i legali, come compartecipi dell’ipotetico reato».

Tra quei 600 avvocati ci sono i legali di Chd (Çagdas Hukukçular Dernegi), l’Associazione avvocati progressisti. In 18 sono stati condannati lo scorso marzo a pene da tre anni e mezzo a 18 anni e nove mesi di carcere. Lunedì 14 ottobre hanno ricevuto la notifica della sentenza d’appello: pena confermata, senza motivazione né dibattimento pubblico.

«Chd è un’associazione di sinistra di avvocati turchi, sparsa in tutto il paese ma particolarmente forte a Istanbul e Ankara. Da anni si occupa di difendere oppositori al governo», ci racconta Fausto Giannelli di Giuristi democratici, insieme a Giovene parte di una missione di 15 avvocati europei che sta seguendo il caso.

Nel 2013 contro Chd si apre un primo processo: gli avvocati vengono accusati di favoreggiamento e collusione, ovvero di portare messaggi dentro e fuori dal carcere a favore degli imputati, spesso in isolamento. «Per quel processo la sentenza non è ancora arrivata, ci sono stati rinvii continui e i giudici stessi sono cambiati: due di loro sono stati arrestati nell’ambito della campagna di epurazione post-golpe – continua Giannelli – Intanto però 18 avvocati, di cui alcuni degli imputati di quel processo, hanno visto partire un secondo procedimento, stavolta davanti alla famigerata 37° sessione della Corte d’Assise di Istanbul, quella che ha condannato tra gli altri il co-leader dell’Hdp Demirtas e lo scrittore Ahmet Altan». Tutti arrestati e portati nel carcere di massima sicurezza di Silivri.

«Questo secondo processo è velocissimo: il 20 marzo 2019 arriva la sentenza di primo grado con pene pesantissime, fino a 18 anni e nove mesi». Tra i condannati anche il presidente di Chd, Selçuk Kozagacli, prende 11 anni.

Un processo farsa con testimoni sentiti in videoconferenza con volto coperto e voce distorta, divieto per la difesa di controinterrogare e rifiuto del tribunale di sentire i teste della difesa. Il 14, mentre la missione europea sta incontrando gli avvocati condannati in prigione, arriva la sentenza di appello che conferma le pene. Ora si attende quella di terzo grado.

Solo allora la missione internazionale potrà rivolgersi alla Corte europea dei diritti dell’uomo: «Il Chd ci ha nominati difensori. Per questo abbiamo potuto incontrare i legali detenuti a Silivri – aggiunge Giovene – Un enorme compound, caseggiati bassi, un carcere di massima sicurezza. Sono detenuti in isolamento in piccole celle da tre persone, non possono avere contatti con altri detenuti. Le celle hanno un soppalco con i letti e sotto un piccolo bagno e un fornello. Non hanno contatti con i familiari se non sporadicamente». «Il nostro obiettivo è difendere lo Stato di diritto: dopo il tentato golpe, la Turchia ha dichiarato lo stato di emergenza e sospeso la Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Dopo la campagna di epurazioni la magistratura non è più indipendente».

«La situazione è grave – conclude Giannelli – Un arresto di massa di avvocati, un’intera associazione decapitata, condanne abnormi, violazioni processuali tra cui la cacciata della difesa durante le ultime udienze. Continueremo a seguire il caso nell’ambito del progetto “Endangered lawyers”, proteggere gli avvocati nel mondo, sostenuto anche dal Cnf e dall’Unione Camere penali».

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Arrestato il sindaco di Diyarbakir

Era stato sospeso due mesi fa, ora è stato arrestato: il co-sindaco di Diyarbakir, Adnan Selçuk Mızraklı, è stato portato via dalla polizia turca ieri alle prime ore del giorno con l’accusa di legami con un’organizzazione considerata terroristica, il Pkk. Eletto lo scorso marzo con l’Hdp, il partito di sinistra pro-curdo, non è stato il solo a finire in manette ieri: arrestati all’alba anche i co-sindaci (tutti Hdp) di Kayapınar, Kezban Yılmaz, e di Bismil, Orhan Ayaz.

I mandati di arresto, fanno sapere gli avvocati di Mızraklı, dicono poco: «inchiesta in corso», nulla di più, ma si immagina siano legati alle stesse accuse per cui il 19 agosto era stato sostituito da un commissario del governo turco, insieme ai co-sindaci delle città di Van e Mardin.

Chiara Cruciati

da il manifesto

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