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Torna il fascismo, il capitalismo non può farne a meno

Sul ritorno del fascismo: ecco perché il rancore delle classi medie non è rivoluzionario ma è funzionale al mantenimento dello status quo

Negli ultimi tempi si sono moltiplicati gli allarmi per un ritorno del fascismo, dovuti all’attività di gruppi dichiaratamente nostalgici del ventennio impegnati in azioni dimostrative, intimidazioni varie e violenze fisiche. I più si spiegano il fenomeno richiamando quanto recentemente certificato dal Censis: che la crisi economica e finanziaria ha reso gli italiani rabbiosi e rancorosi. E del resto, sebbene si dica che la crisi è oramai finita, non si vedono significativi effetti positivi sull’occupazione e sulla redistribuzione della ricchezza: una crescente maggioranza di italiani è sempre più povera e sfruttata, mentre una minoranza sempre più risicata accumula ricchezze immani.

Peccato, però, che siano una rabbia e un rancore funzionali al mantenimento di questo stato di cose, giacché in massima parte sono indirizzati contro chi sta in fondo alla piramide sociale: per dar vita alla tradizionale guerra tra poveri. E ciò impedisce di riconoscere le ragioni della povertà e dello sfruttamento, le quali c’entrano davvero con il fascismo, tuttavia non solo con quello della violenza politica, né tanto meno con quello a cui assistiamo negli ultimi tempi.

Storicamente il fascismo è stato indubbiamente violenza politica, soppressione delle libertà politiche, così come del resto si evidenzia nella sua iconografia o comunque nelle immagini utilizzate per evocarlo: l’olio di ricino, il manganello, la spedizione punitiva contro l’avversario o il diverso. E tuttavia quella violenza non è stata fine a se stessa, bensì funzionale a riformare, dunque non a reprimere, le libertà economiche. Il fascismo è cioè intervenuto per salvare il capitalismo dai fallimenti del mercato e dal conflitto sociale provocato dal funzionamento della concorrenza, che non ha mai messo significativamente in discussione. È vero che ha fornito prestazioni sociali attraverso un primo embrione di Stato sociale, ma lo ha fatto fuori dalla logica dei diritti: come contropartita per la rinuncia alla lotta politica, e più in generale al godimento dei diritti politici, il tutto per favorire la collaborazione tra capitale e lavoro.

Se così stanno le cose, assistiamo effettivamente a un ritorno del fascismo, che tuttavia non si esaurisce nella violenza politica dei gruppi che ultimamente rubano la scena mediatica. È fascismo anche la compressione degli spazi di democrazia realizzata per ottenere riforme del mercato che non potrebbero altrimenti essere approvate: come esemplarmente avvenuto nei Paesi europei visitati dalla Troika, che ha esautorato il parlamento per imporre tagli alla spesa sociale, privatizzazioni, liberalizzazioni e la precarizzazione del lavoro.

Forse è allarmistico accostare al fascismo l’attuale fase di sviluppo dell’Unione europea, per la quale altri scomodano espressioni apparentemente più tranquillizzanti: come postdemocrazia o postpolitica. Non lo è però attirare l’attenzione sul rischio che il comportamento dei tecnocrati di Bruxelles possa prima o poi portare al fascismo. In fondo, proprio il fascismo è stata la risposta alla crisi economica seguita alla Grande depressione provocata dal crollo di Wall Street sul finire del 1929: la crisi più volte evocata per sottolineare la gravità di quella scoppiata nel 2007 in seguito allo scoppio della bolla immobiliare statunitense. E se l’Unione europea non è direttamente una costruzione ostile alla democrazia, è se non altro indifferente alle sue sorti: di qui il rischio di un ritorno della storia, sotto spoglie ben più dolorose di quelle vestite da chi ora attira l’attenzione dei media.

Alessandro Somma

professore universitario e giornalista. Insegna all’università di Ferrara e all’università San Marcos di Lima. Collabora con MicroMega e con alcuni quotidiani locali del Gruppo Espresso. Il suo ultimo libro è Europa a due velocità. Postpolitica dell’Unione europea (Imprimatur 2017). Popoff s’è occupato anche del suo L’altra faccia della Germania. Sinistra e democrazia economica nelle maglie del neoliberismo (DeriveApprodi, 2015)

da popoff

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