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Stupro di Torino: attiviste indagate per la scritta contro la giudice

Torino diamante-minucci

Torino, perquisizioni a casa di 4 attiviste. La giudice Minucci non riconobbe l’accusa di stupro a carico di un dirigente della Croce Rossa. La donna “non aveva gridato abbastanza”

Perquisizioni e sequestro di pc e telefonini questa notte a Torino a carico di 4 compagne indagate per una scritta apparsa lo scorso marzo sui muri del tribunale torinese contro Diamante Minucci, la giudice che ha assolto un 46enne – ex commissario dei volontari della Croce rossa – dall’accusa di aver stuprato, nel 2011, una sua collega.

La colpa della donna violata, secondo la Minucci, sta nel fatto che “ha detto basta ma non ha urlato abbastanza”. Forse la giudice è una devota di santa Maria Goretti che preferì farsi uccidere piuttosto che farsi stuprare e quindi il fatto che la donna in questione, già vittima di abusi intrafamiliari, abbia dichiarato al processo che “con le persone troppo forti io non… io mi blocco” l’ha trasformata in una vittima non credibile e dopo l’assoluzione dell’uomo ora la donna dovrà anche rispondere, per disposizione della stessa giudice, di calunnie. Al processo il Pm aveva chiesto per l’uomo una condanna a 10 anni di reclusione per lo stupro, per l’utilizzo della posizione di forza che aveva nei confronti della donna e perché aveva più volte minacciato di mandarla a lavorare in luoghi scomodi. Ma per la giudice Minucci non è stato sufficiente. Qualche giorno dopo la sentenza sul muro del Tribunale di Torino è apparsa la scritta, immediatamente cancellata “ Giudice Minucci protegge chi stupra”. Un’altra analoga davanti la sede della Croce Rossa Italiana di Torino.

Da qui torniamo alla notte scorsa, quando agenti della Digos si sono presentati nelle abitazioni di 4 attivisti e attiviste torinesi con un mandato di perquisizione firmato dal pm Rinaudo, già noto per la sua persecuzione nei confronti dei NoTav, degli anarchici e degli squatter.

Oggetto della perquisizione una indagine relativa alle scritte sui muri adiacenti al tribunale di Torino e alla sede della Croce Rossa Italiana nel capoluogo piemontese.

Una vicenda a cui la rete NonUnadiMeno ha prestato molta attenzione e protestato energicamente contro l’assoluzione del dirigente CRI accusato di stupro, così come sta seguendo il caso dello stupro di gruppo su una sedicenne di cui si è venuti a conoscenza lo scorso marzo. A Torino sono stati organizzati cortei e presidi davanti al tribunale e, già in quell’occasione, denuncia una compagna a Radio Onda Rossa, “la Questura aveva tentato di bloccare le iniziative arrivando ad intimidire due compagne intervenute su Radio Black Out per dare voce a chi voce non ne aveva avuta nelle aule di tribunale”.

Non è la prima volta che una donna che ha subito violenza al momento del giudizio nel confronti dello stupratore si ritrova giudicata. In questo caso perché non ha urlato abbastanza, non aveva lividi particolari, non si è fatta massacrare, in altri perché indossava una mise che, secondo i giudici, invitava allo stupro, o ancora perché lo stile di vita della donna era considerato “dissoluto” come nel caso di Firenze, per citarne uno.

Sentenze che assolvono gli stupratori con tali motivazioni non soltanto violano la donna una seconda volta ma spaventano le donne in generale, portandole a pensare che denunciare non serve a nulla anzi, che la domanda di giustizia potrebbe rivoltarsi contro di loro. Ieri come oggi così si esprime la violenza del patriarcato. Nonostante si sia cancellata quell’infamia di considerare lo stupro un reato contro la morale e non contro la donna, alla fine alla sbarra finiscono con l’esserci sempre e solo le donne con le loro vite.

L’unica risposta, secondo NonUnadiMeno, è la solidarietà e la presenza costante accanto alle donne, sia all’interno che fuori dai tribunali.

presidio-torino- contro sentenza stupro marzo 2017

Marina Zenobio

da Popoff

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