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Storia di Antonino Speziale e di una persecuzione giudiziaria

Il magistrato di sorveglianza ha respinto la richiesta di scarcerazione anticipata (con invio ai domiciliari) per Antonino Speziale, anni 25, che ha scontato sette anni e mezzo di prigione e deve scontare ancora sei mesi.

Il due febbraio del 2007, a Catania, durante uno scontro violentissimo tra tifosi del Catania e del Palermo, morì un giovane ispettore di polizia, Filippo Raciti. Non era uno sceriffo, era un poliziotto serio, appassionato, dicono che avesse un carattere dolce, viveva ad Acireale, a due passi da Catania. Aveva trent’anni, una moglie giovane come lui e due figlioletti bambini, che ora saranno diventati grandi, e son cresciuti senza il papà. Morì con il fegato spappolato. Fu colpito da qualcosa mentre infuriava la guerriglia. La sua storia commosse tutti, e indignò la furia sciocca delle tifoserie, che dal primo pomeriggio fino a sera si diedero battaglia, e impegnarono addirittura 1200 poliziotti schierati intorno allo stadio per impedire tragedie. La tragedia invece ci fu, e fu la morte di uno di loro.

I giornali, le Tv, l’opinione pubblica, e probabilmente anche la polizia volevano che si facesse luce subito. Subito. Che si indicasse il nome e il volto di un assassino. Voi sapete quant’è difficile trovare un assassino, se c’è stato un assassino, per una morte avvenuta in una situazione così furiosa e confusa. Nessuno aveva visto, nessuna telecamera aveva registrato, allora c’erano molte meno telecamere di oggi. E però l’imperativo era quello ed era davvero categorico: vogliamo il colpevole.

Così, sulla base di qualche filmato e qualche foto, fu individuato un gruppo di ragazzi che avevano partecipato agli scontri. Ultras del Catania. Uno di loro aveva qualcosa in mano, si disse che era un lavandino, trovato chissà dove. Poi si scoprì che non era esattamente un lavandino ma era un copri-lavandino, cioè un coperchio di latta che pesava qualche etto. Fu ritrovato quel coperchio vicino al luogo dove era stato colpito Raciti, e così scattò l’indagine. Fu fermato e arrestato un ragazzino di 17 anni, ultrà, un certo Antonino Speziale. I giornalisti stabilirono che era lui il colpevole. I Pm pensarono che i giornalisti avessero ragione. Il processo mediatico finì in poche ore. Colpevole. Il processo in tribunale fu più complesso. Per tante ragioni.

La ragione principale è che un collega di Raciti – interrogato in questura come persona informata sui fatti – raccontò di aver fatto marcia indietro con la sua jeep e di avere colpito qualcosa, di aver sentito la botta e poi di essersi girato e di avere visto Raciti che si teneva la testa tra le mani. Subito dopo quella retromarcia Raciti fu soccorso e portato in ospedale: lì morì circa due ore più tardi.

Intanto i Pm avevano chiesto una perizia sul sopra-lavello che avevano individuato come arma del delitto. La perizia la svolsero i carabinieri del Ris di Parma – autorità assoluta in questo campo – e decretarono senza ombra di dubbio che quel sopra-lavello non poteva essere stato la causa del ferimento e poi della morte di Raciti. Il Gip, su questa base, scarcerò il ragazzino. I Pm chiesero allora una seconda perizia ad altri esperti, i quali alla fine dissero che in linea di principio non era impossibile che invece fosse stato il foglio di latta a uccidere. E ottennero un nuovo arresto. Il tribunale della Libertà di Catania, come spesso succede, diede ragione ai Pm. Allora la difesa ricorse alla Cassazione e vinse in modo clamoroso. La Cassazione disse che Antonino Speziale doveva essere scarcerato per mancanza di indizi. Annullò l’arresto senza neanche rinvio.

Fine dell’indagine? Così dovrebbe avvenire, a norma di diritto. Ma i Pm trovarono una via d’uscita: derubricare il reato da omicidio volontario a omicidio preterintenzionale. Cioè, oltre le intenzioni. In questo modo l’indagine poté esser riaperta. Da quel momento non si trovò nessun altro indizio. Non c’è una testimonianza, una fotografia, un filmato, il ricordo di qualcuno. Zero. Solo quella foto col sopra-lavello in mano. E su questa base, e sulla base della perizia che smentiva l’autorevolissimo Ris di Parma, Antonino Speziale si è preso 8 anni di prigione. Ne ha fatti sette e mezzo. Non un giorno di sconto. Nemmeno quegli sconti semiautomatici che vengono riconosciuti praticamente a tutti i detenuti. A Speziale no. Speziale è stato condannato dal popolo e dai media, non dalla legge, e quindi risponde al popolo e ai media, e il popolo e i media non ammettono sconti. Ripetono, come una filastrocca: certezza della pena, certezza, certezza.

Ora l’avvocato di Speziale ha chiesto che, visto che mancano solo sei mesi a fine pena, gli siano concessi i domiciliari, anche per via del coronavirus. Ma il giudice, evidentemente, non ha ritenuto di poter decidere liberamente e nel modo più ragionevole. Sempre al popolo e ai media deve rispondere. E vi immaginate cosa possono fare il popolo e i media se scarcerano con sei mesi di anticipo il “boia di Raciti”? Non scherziamo: Crucifige. Vi abbiamo solo raccontato la breve storia di una persecuzione giudiziaria. In questo caso la vittima è un ragazzino. Ha avuto la vita rovinata. Gli hanno tolto via la giovinezza. E lo hanno indicato al Paese intero come il mostro. Qualcuno trova indegna questa storia? Qualcuno forse sì, ma pochi pochi.

Piero Sansonetti

da il riformista

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