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Spinetoli (Ap): Incendio doloso nel centro per migranti

A Spinetoli, provincia di Ascoli Piceno, anche il sindaco Pd era sceso in piazza contro la struttura che doveva accogliere 37 ragazzi

«Diamo sicurezza ai nostri figli». C’è scritto questo su uno striscione, davanti al palazzo destinato ad ospitare trentasette migranti a Spinetoli, cittadina di settemila abitanti in provincia di Ascoli Piceno. Poco dopo le tre di notte dell’ultimo dell’anno qualcuno ha appiccato un incendio lì, in via Tevere, e i tre piani del condominio adesso sono inservibili.

Nessun dubbio sulla natura dolosa del gesto. Stando ai primi rilievi fatti dai carabinieri, sopra ai letti sono state trovate tracce di ’diavolina’, la sostanza che si usa per accendere barbecue e camini. I venti della nottata, tra l’altro, non hanno aiutato i vigili del fuoco a domare l’incendio, e i danni sono ingenti: muri anneriti, solai danneggiati, mobili ridotti in cenere. Alcuni testimoni raccontano di due ragazzi visti scappare mentre l’edificio andava in fiamme. Gli investigatori stanno cercando immagini dalle telecamere di sorveglianza dei negozi del paese, alla ricerca di riscontri e di figure riconoscibili.

Intorno al palazzo bruciato, i resti della dura protesta andata in scena a Spinetoli lo scorso novembre, quando parte del paese (spinta dalla propaganda di alcuni partiti e gruppi di destra) salì sulle barricate per opporsi all’arrivo di trentasette richiedenti asilo. Striscioni e scritte ovunque: «No immigrazione di massa», «Stop business accoglienza» e altre amenità del genere. C’erano già da prima, ed è impossibile adesso non collegare le due cose. Nei bar c’è chi prova a dire che «magari si è trattato di un incidente», ma non ci crede nessuno. Su Facebook, poi, i commenti si fanno addirittura entusiasti, con post e commenti di esultanza: «Chi brucia a Capodanno…», «La misura è colma», «Questo succede quando si portano le persone all’esasperazione». Purtroppo, il clima che si respira è questo e quando sarà passato lo shock per un evento comunque difficile da digerire, resterà soltanto l’immagine di una comunità spaventata più dal paventato arrivo di un gruppetto di migranti che da chi dà fuoco ai palazzi nella notte.

Silenzio imbarazzato da parte del sindaco Alessandro Luciani (Pd), finito già al centro della polemica per aver partecipato alla manifestazione indetta contro l’arrivo dei migranti, poche settimane fa. Non una posizione facilissima la sua: sconfessato pubblicamente dal suo stesso partito – intervenuto sulla vicenda con qualche giorno di ritardo di troppo, a onor del vero –, Luciani ha provato comunque a mantenere i piedi in due staffe. Da una parte cercando di mostrarsi tollerante e aperto verso chi cerca rifugio nel paese che amministra, dall’altra planando sopra gli istinti peggiori dei suoi concittadini, nel tentativo di sfruttarne le pulsioni razziste per mere questioni di consenso. Un pastrocchio da cui pensava di essere uscito dopo qualche non entusiasmante partecipazione a programmi televisivi, ma nel quale ripiomba adesso, con un rogo che segna senza dubbio un salto di qualità della protesta anti-immigrati.

Non è la prima volta, tra l’altro, che nel Piceno accadono fatti del genere: nel 2007, ad Appignano del Tronto, pochi chilometri a ovest di Spinetoli, fu incendiato un campo rom, al culmine della tensione che seguì la morte di quattro ragazzi, travolti dal furgone guidato dall’allora 22enne Marco Ahmetovic. In quella occasione, soltanto l’eccezionale lavoro della sindaca Nazzarena Agostini (ora esponente di Sinistra Italiana) evitò che la situazione degenerasse ulteriormente.

Il confronto con Luciani è imbarazzante: a furia di cavalcare l’onda ’gentista’ e pararazzista, adesso il rischio per lui è di essere travolto dalla marea dell’indignazione.
Nel pomeriggio di ieri, intanto, il fronte antirazzista ha provato a compattarsi, e si è riunito in presidio davanti alla prefettura di Ascoli per chiedere che venga fatta giustizia. Anche il comitato «Cittadini di Spinetoli», che a novembre promosse l’agitazione contro i migranti, ha condannato l’episodio: «È una cosa gravissima. Non sappiamo chi si sia potuto macchiare di tale gesto, ma di certo è grave». Troppo poco, troppo tardi.

Mario Di Vito

da il manifesto

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