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Santiago Maldonado fatto sparire e ucciso per “educare” al silenzio

Nuove rivelazioni sul caso di Santiago Maldonado, il giovane attivista argentino solidale con la comunità mapuche di Cushamen, fatto sparire il 1° agosto 2017 e ritrovato 78 giorni dopo morto nel rio Chubut, pochi metri a monte del luogo della scomparsa.

Il portale informativo Pagina 12 [1] ha pubblicato martedì un video girato poco prima dell’azione contro il blocco stradale della comunità mapuche di Cushamen e che ha portato alla sparizione di Santiago, in cui i gendarmi si scambiano delle battute dal significato inequivocabile: «Tutte le case devono essere bruciate», dice uno dei gendarmi. «Dobbiamo prenderli tutti a calci, la missione è questa», risponde un altro dei gendarmi in uniforme.

Questo nuovo filmato ha un significato importante, in quanto dimostra che il reale obiettivo dell’operazione era appunto quello di attaccare con premeditazione non solo il presidio sulla strada statale ma anche il Pu Lof stesso, dato che la gendarmeria è poi entrata illegalmente (senza mandato) e sparando in territorio mapuche. Inoltre smentisce categoricamente il capo di stato maggiore del Ministero della Sicurezza, Pablo Noceti, che per giustificare l’attacco aveva parlato di “flagranza di reato”.

Fin dalla scomparsa è apparso chiaro che il giovane attivista è rimasto vittima della violenta e illegale repressione della gendarmeria argentina, per volere del ministro della Sicurezza Patricia Bullrich e in generale di tutto il governo Macri, attento a difendere ad ogni costo gli interessi privati ed economici dei grandi imperi commerciali, tra i quali ovviamente spicca quello dell’italiano Benetton, usurpatore delle terre mapuche. Da parte sua, il governo argentino ha cercato di nascondere in ogni modo il proprio coinvolgimento e la propria responsabilità nell’omicidio di Santiago e nella repressione verso le comunità mapuche in resistenza. È stata la grande mobilitazione nazionale ed internazionale ad “obbligare” a far ritrovare il corpo dopo 78 giorni, per sciacquare via l’immagine di un governo che utilizza le sparizioni forzate come strumento di controllo sociale e repressione.

Un nuovo attacco alla famiglia Maldonado è arrivato mercoledì dal portale informativo Infobae, il quale ha pubblicato una nota in cui accusa la famiglia di aver ricevuto un milionario rimborso economico dal governo. La famiglia Maldonado ha respinto le accuse con un comunicato [2]: «Neghiamo che lo stato abbia pagato gli onorari della dottoressa Verónica Heredia. Ricordiamo inoltre che questo “aiuto” è l’adempimento di un obbligo dello stato assunto nei trattati internazionali incorporati nella nostra Costituzione». La criminalizzazione delle vittime e la diffamazione dei familiari è spesso usata nei casi di sparizione forzata per ostacolare la giustizia e negare il coinvolgimento degli apparati statali nel crimine.

La solidarietà nazionale e internazionale purtroppo non ha potuto fino ad ora evitare lo stallo nelle indagini ufficiali, con i giudici del caso supini al volere del ministro Bullrich, il cui obiettivo è chiaramente quello di ostacolare la giustizia. Sempre martedì, il portale Nuestras Voces [3], ha pubblicato una serie di documenti ufficiali in cui è chiarito quanto affermato sopra: il caso Maldonado è stato derubricato a “indagini sul delitto” quando è ancora ufficialmente classificato come “indagini sulla sparizione forzata”. Per Verónica Heredia, avvocato della famiglia Maldonado «stanno cercando di cambiare la catalogazione dell’indagine in maniera unilaterale e in assoluta impunità».

Maldonado

Nell’incontro avvenuto domenica 15 aprile al centro sociale Rivolta, Nora Cortiñas, fondatrice delle Madri di Plaza de Mayo Linea Fundadora, ha parlato anche della sparizione forzata seguita a morte di Santiago Maldonado come di una strategia voluta dal governo argentino per “educare” i giovani a non essere solidali e a non lottare per i diritti. Chi contravviene a questo ordine non scritto è punito con la violenta repressione statale, in questo caso con la sparizione forzata, altrimenti con la prigione. È quanto accade infatti a moltissimi giovani argentini che in questi mesi hanno ripreso con forza le manifestazioni di protesta contro il governo estrattivista di Mauricio Macri, che finiscono in carcere con accuse pesanti e spesso infondate.

La premeditazione dell’attacco al Pu Lof Cushamen da parte della Gendarmeria è evidente: gli oltre 100 gendarmi intervenuti per sgomberare il blocco stradale attuato da solo 8 attivisti mapuche (tra cui Santiago) per chiedere la liberazione di Facundo Jones Huala, avevano ordini precisi: reprimere con la forza e impartire una lezione pesante ai manifestanti. “Educare” al silenzio e all’oblio.

Christian Peverieri

da GlobalProject

Note:

[1] https://www.pagina12.com.ar/108596-imagenes-que-comprometen-a-gendarmeria

[2] http://www.santiagomaldonado.com/comunicado-la-familia-18-04/

https://www.nuestrasvoces.com.ar/investigaciones/gendarmeria-cambio-de-facto-la-caratula-de-la-causa-maldonado/

[3] https://www.nuestrasvoces.com.ar/investigaciones/gendarmeria-cambio-de-facto-la-caratula-de-la-causa-maldonado/

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