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San Ferdinando, ruspe e militari per lo sgombero-spot

Sgombero senza alcuna alternativa reale. E’ lo scenario alla tendopoli dei migranti, braccianti agricoli, di San Ferdinando (Reggio Calabria).Da domani altre baracche potranno essere erette di nuovo sul sito della favela abitata dai braccianti, trasferiti in centri per profughi. Molti lavoratori trasferiti nelle scorse settimane sono già tornati vicino ai campi

Il circo Barnum della propaganda salviniana era pronto da giorni. Alla fine il gran giorno dello sgombero della baraccopoli di San Ferdinando (in contemporanea con l’avvio del cosiddetto «reddito di cittadinanza», un caso?) è arrivato ieri di buon ora. Anticipato dall’immancabile nota del Viminale con cui si chiariva che «circa 600 uomini sono stati messi in campo, tra forze dell’ordine, vigili del fuoco e servizi sanitari. Sono stati attivati 18 pullman per trasferire in strutture di accoglienza 900 persone. Sul posto ci sono 4 mezzi del genio militare, oltre a operatori della protezione civile e della Caritas». Immediato pure il commento euforico del ministro degli Interni: «Come promesso, dopo anni di chiacchiere degli altri, noi passiamo dalle parole ai fatti».

Ma la realtà supera di gran lunga la propaganda elettorale permanente del capo leghista. Perché lo sgombero mediatico già fra pochi giorni non avrà prodotto soluzioni né credibili né stabili. È solo servito a rinfocolare il mainstream della narrazione xenofoba con centinaia di agenti, ruspe, vigili del fuoco, decine e decine di operatori, fotografi e giornalisti. Ma nonostante la prova muscolare, le procedure di sgombero si sono svolte nella massima tranquillità, senza problemi di ordine pubblico. Una volta terminata la fase del trasferimento ha preso il via quella dell’abbattimento delle baracche.

I migranti che ancora ci vivevano hanno lasciato il campo con i loro beni, diretti ai pullman per essere trasferiti nei Cas e Sprar della Calabria. Un centinaio di migranti che ha assistito alla demolizione della favela ha, invece, rifiutato sia il trasferimento nella tendopoli gestita dal Comune a poche centinaia di metri, sia il trasferimento nei centri della Regione: pretendono prima le paghe arretrate e chissà se mai le vedranno. Tuttavia già tra qualche giorno ogni cosa sarà dimenticata, le baracche potrebbero tornare a sorgere sui resti della vecchia tendopoli o nei dintorni. Mentre i braccianti riprenderanno la loro battaglia quotidiana nell’indifferenza generale, una volta che il circo salviniano si sarà trasferito altrove.

Ad assistere a questo triste spettacolo pochi attivisti e sindacalisti, tenuti a debita distanza dalla “zona ruspa”. «Degli oltre 1600 abitanti che fino a qualche giorno fa vivevano nell’area sono rimasti in pochi secondo le nostre stime non sono più di trecento – dice Peppe Marra di Usb – La maggioranza ha approfittato della notte per disperdersi nelle campagne della Piana. Chi è rimasto non ha intenzione di accettare di entrare nelle tende che la prefettura ha messo in piedi dall’altra parte della strada o di andare nei Cas.

Anzi, molti che erano stati trasferiti nelle scorse settimane sono già tornati. Si organizzeranno autonomamente, con il risultato di creare mille nuovi micro insediamenti». In effetti, a San Ferdinando le uniche soluzioni abitative proposte sono state poche tende o il trasferimento in Sprar e Cas lontani centinaia di chilometri dalle terre di lavoro. E non è stato posto un argine allo sfruttamento dei lavoratori, molti dei quali non se ne vogliono andare perché attendono ancora di esser pagati per una stagione di raccolta passata a spaccarsi la schiena nelle campagne.

È stata, dunque, l’ennesima operazione emergenziale a danno di persone deportate in strutture d’accoglienza come se fossero profughi e non lavoratori. «I braccianti hanno rifiutato di andare nella nuova tendopoli controllata come un carcere perché rifiutano l’assistenzialismo peloso delle istituzioni, rivendicando il loro status di lavoratori – afferma Filippo Sestito dell’Arci – Di questo dovrebbe occuparsi la sinistra oggi e stare accanto a questi raccoglitori. Ora più che mai avremmo bisogno di una sinistra unita che sia in grado di sconfiggere l’odio, il rancore e la xenofobia, per rimettere al centro la dignità delle persone. La democrazia».

Silvio Messinetti

da il manifesto

Le corrispondenze di Radio Onda d’Urto

Dalla Tendopoli la corrispondenza con una compagna della rete Campagne in Lotta, che da anni segue e aiuta i migranti che vivono nella Piana  Ascolta o scarica

Da San Ferdinando la voce di un bracciante, lasciato senza un tetto, e raggiunto dal Comitato Lavoratori delle Campagne. Ascolta o scarica

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Sbaraccopoli, colpe e omissioni della sinistra

Lo spettacolo dell’abbattimento della baraccopoli di San Ferdinando ha fatto aumentare il consenso degli italiani verso il ministro/presidente supermacho. Per chi non conosce la situazione e vede solo le immagini in tv o sui social non può che essere d’accordo con questa operazione che da vent’anni si trascina senza una soluzione. Che poi i migranti siano stati spediti in Sprar o Cas dove difficilmente trovano un lavoro e ritorneranno in massa nella piana di Gioia Tauro-Rosarno è un dato che non interessa a nessuno, perché non si vedrà quando inesorabilmente altre baraccopoli saranno tirate su. La questione di fondo è molto semplice: gli abitanti dell’area non sono disponibili ad affittare le case ai “niri”. Gli enti locali, la Prefettura, hanno trovato nel tempo come soluzione una tendopoli che può ospitare fino a quattro-cinquecento braccianti mentre nei momenti clou si arriva a oltre 2.000.

Dalla fine del secolo scorso, da quando sono state scoperte le truffe alla Ue e i produttori locali sono stati costretti a raccogliere le arance, sono migliaia i braccianti prima comunitari (albanesi, rumeni, bulgari) e poi sempre più extracomunitari (in prevalenza dell’Africa sub-sahariana) che si stabiliscono ogni anno in questa pianura rigogliosa, dove si producono metà delle clementine italiane e quasi un terzo dei kiwi. E ogni anno sono passati leader politici e sindacali che di fronte alle baraccopoli (perché ce n’è più d’una) hanno gridato allo scandalo. Ma, niente è accaduto. Rosarno e San Ferdinando hanno avuto in passato famosi sindaci comunisti, qualche sindacalista coraggioso, ma non si è andati al di là della denuncia. Certo, la soluzione non è facile, la popolazione è diventata ostile, e la sinistra è abituata a discutere, fare analisi, organizzare comitati, mentre la destra trova facilmente le soluzioni immediate e conquista consensi. È la scorciatoia l’arma politica della destra che governa nel nuovo secolo. Per esempio, di fronte agli effetti della globalizzazione, criticata per tanto tempo dalla sinistra radicale senza indicare una alternativa concreta e facilmente raggiungibile, Trump e C. hanno trovato la scorciatoia dei dazi alle importazioni e del blocco dei flussi migratori, e l’operaio nordamericano si è sentito protetto, anche se nel medio periodo ne pagherà le conseguenze. Così, di fronte a una condizione disumana, come quella che si è vissuta per troppo tempo nella baraccopoli di San Ferdinando, usare le ruspe per distruggerla rassicura l’opinione pubblica, dato che l’operazione è stata fatta in nome della legalità e dell’igiene pubblica. Ma, già nel prossimo autunno, in coincidenza con la stagione agrumaria, si formeranno nuove baraccopoli perché le cause di questo fenomeno non sono state intaccate.

Per fortuna, c’è chi lavora nell’ombra per trovare alternative che trasformino le filiere dello sfruttamento nella piana di Gioia-Rosarno, per inserire con dignità queste persone all’interno di una rete di imprese responsabilizzate sul piano ambientale e su quello dei diritti dei lavoratori. È un progetto che si sta realizzando grazie a una nuova alleanza Sud/Nord che ha già dato in passato buoni frutti. Ne riparleremo alla prossima occasione.

Tonino Perna

da il manifesto

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