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Salvini, l’odio calcolato

Vi ricordate di quel tomo, deputato europeo della Lega, che tempo fa ha urlato, nel corso di un talk show, che i Rom sono la «feccia della terra»? Ebbene, quella sera, una buona parte, forse la maggioranza, degli spettatori presenti ha applaudito.

Ma è solo la punta di un iceberg. Un anno fa, il sindaco Pd di un paese della cintura torinese ha proposto di istituire un bus riservato ai Rom. Insomma, gli abitanti del campo non potevano più salire insieme agli italiani…

Ma se un amministratore, e nemmeno della Lega, ripropone nient’altro che la vecchia segregazione, vuol dire che l’ostilità per i Rom è parossistica.

Che una minoranza di esseri umani (tra i 150 e i 180.000, di cui 70.000 italiani e solo poche migliaia nei campi nomadi) possa suscitare un atteggia­mento simile non dipende però solo da micro-dinamiche urbane e sociali, come la paura diffusa in tempo di crisi. Dipende soprattutto dall’odio deliberatamente sparso da una parte del ceto politico e dall’indifferenza o connivenza degli altri. Insomma, da un discorso xenofobo maggioritario.

Prendiamo Salvini, che sceglie proprio l’8 aprile, Giornata internazionale dei Rom e dei Sinti, per proporre la distruzione dei campi. Il leader della Lega persegue evidentemente un piano articolato e deliberato: conquistarsi visibilità su un tema populista e popolare.

Prima va a provocare i Rom nei loro campi e poi approfitta del fatto che se ne parla in una data speciale per rovesciare il significato della ricorrenza. Che, infatti, riguarda la memoria della costituzione della prima associazione dei Rom, a Londra l’8 aprile 1971, ventisei anni dopo il loro sterminio da parte dei nazisti. Quindi, un insulto a vasto raggio: ai Rom di oggi, discriminati in tutti i modi possibili, e a quelli morti nelle camere a gas.

Un odio calcolato per attrarre voti nello sfacelo del centrodestra e basato, come sempre sull’ipocrisia e sulla manipolazione della realtà. Nessuna (o quasi) amministrazione comunale, soprattutto nelle metropoli, ha mai attuato una politica decente per sistemare i Rom non stanziali in abitazioni normali, per educare i bambini e fornire un’adeguata assistenza sanitaria. I dati sulle condizioni sanitarie, le malattie croniche e l’evasione dell’obbligo scolastico tra i Rom sono i peggiori del paese.

Il denaro pubblico, speso anche dalle amministrazioni leghiste, ha sempre finanziato insediamenti inospitali, fatiscenti, con servizi inadeguati o assenti. E quindi gli sgomberi, attuati dalle amministrazioni di destra e centrosinistra con lo stesso zelo, chiudono un cerchio di disprezzo, esclusione e rimozione della realtà.

Che poi una minoranza della minoranza Rom cerchi di sfuggire a questa sorte, quasi sempre invocata dai gruppi di cittadini solerti o invasati, cambiando insediamento, o magari con un atteggiamento speculare a quello della società che li esclude, è del tutto ovvio e comprensibile. Ma la banale verità è che la nostra società iperliberale è incapace di concepire un minimo diritto alla mobilità e alla trasgressione delle frontiere, visibili e invisibili, che si sono moltiplicate al suo interno.

Ed ecco che i Rom, non corrispondendo di certo all’immagine levigata e perbenista che la società italiana vorrebbe di se stessa, diventano i capri espiatori perfetti di tutta la frustrazione che ribolle in una vita quotidiana impoverita e paurosa.

Il discorso pubblico feconda incessantemente questo risentimento verso i più poveri e i più esclusi.

Rapporti internazionali stimano che in Italia le manifestazioni politiche di odio per i Rom abbiano cadenza pressoché quotidiana.

E basta dare un’occhiata ai blog più diffusi per leggere commenti che fanno drizzare i capelli in testa.

Ma sembra che il nostro sistema politico non si preoccupi minimamente dei meccanismi di prevaricazione e violenza che attraversano la società italiana e le sue istituzioni. Un silenzio assordante ha accolto la sentenza della Corte di Strasburgo per i fatti della Diaz. E solo dichiarazioni di maniera sono seguite alla provocazione di Salvini.

Ma tanto la cuccagna che il governo ci promette da un anno è alle porte, ci viene detto, e tutto il mondo verrà a celebrare il genio italiano all’Expo. Mentre i Rom cacciati dalle terre in cui sorgeranno padiglioni, fontane, piazze e mostre dell’opulenza errano da qualche parte.

Alessandro Dal Lago da il manifesto

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