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Salvini in Libia, un fallimento oltre lo Stato di diritto

Altro che «centri d’avanguardia». Nessuna autorità statale, politica, militare o giudiziaria può garantire i diritti umani delle persone in quel paese ancora nel caos

I risultati della missione lampo del ministro degli Interni Matteo Salvini in Libia sono assolutamente fallimentari, e solo un totale capovolgimento di senso del discorso consentirà al leader leghista di contrabbandare, di fronte all’opinione pubblica italiana, l’ennesimo «successo». Ma in tutti i paesi del mondo la sconfitta della diplomazia italiana, con il rifiuto da parte di Tripoli della proposta di aprire centri di detenzione (hotspot) ai confini meridionali della Libia, appare evidente ed avrà ripercussioni nei rapporti di accesa concorrenza sul mercato libico delle risorse energetiche e delle forniture militari. Ancora una volta l’Italia, come già fatto in precedenza da Renzi, Gentiloni e da Minniti, ha cercato di trattare con una parte sola della Libia.

Mossa esclusivamente dall’esigenza di dimostrare fermezza contro i trafficanti di esseri umani, e di bloccare nei centri di detenzione di quel paese la maggior parte dei migranti, compresi quelli intercettati in mare dalla sedicente Guardia costiera libica.

NELLA STESSA giornata in cui Salvini è andato a Tripoli, dopo la conclusione, con un nulla di fatto, del Summit europeo d’emergenza sulla migrazione, la nave Lifeline e un cargo danese restano bloccati in mare da giorni, senza alcuna indicazione di un porto di sbarco da parte della Guardia costiera italiana e del ministero dell’interno. Secondo le linee guida dell’Oim sul trattamento delle persone soccorse in mare, gli assistiti devono essere portati in un luogo sicuro «senza ritardo o difficoltà». Ancora una volta la partita politica sull’immigrazione si gioca sulla pelle delle persone soccorse in mare, in una situazione di acuta vulnerabilità.

Il quadro attuale evidenzia l’altissimo costo umano della politica europea di contenimento dell’immigrazione e respingimento per procura, affidato ai libici, sullo sfondo della mancata assunzione di responsabilità degli stati membri. Nessuna proposta di esternalizzazione del diritto di asilo, con l’apertura di centri di trattenimento e selezione dei migranti in Niger o in Tripolitania, potrà garantire la tutela dei diritti e dei corpi delle persone intrappolate in Libia. Nessuna autorità statale, politica, militare o giudiziaria può garantire i diritti umani delle persone in quel paese ancora nel caos, libici compresi. Diventa sempre più drammatica la condizione dei migranti riportati nei centri di detenzione dai quali erano riusciti a fuggire. E che ora Salvini ha la sfacciataggine di definire «centri d’avanguardia».

LE TESTIMONIANZE, che continuano ad accumularsi, raccolte anche da Amnesty International, confermano che in tutti i centri di detenzione in Libia le persone migranti, uomini, donne, minori «sono esposti ad abusi e ad estorsioni continue».

NONOSTANTE il calo degli arrivi (oltre il 70%), il tasso di mortalità è in proporzione in costante aumento. L’Unhcr (Missione Libia) ha riferito che dall’inizio della scorsa settimana almeno 220 persone sono morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo Centrale. Sono confermati inoltre 76 dispersi in seguito al naufragio del 12 giugno che ha visto coinvolta la nave militare statunitense Trenton, i cui 41 sopravvissuti sono stati sbarcati ben 9 giorni dopo il soccorso, mentre 1 cadaveri sono stati abbandonati in mare. Solo nella giornata di domenica 25 giugno la sedicente Guardia costiera libica, che ha intercettato in acque internazionali oltre 1000 migranti, mentre le navi umanitarie presenti venivano bloccate dagli ordini della Guardia costiera italiana, ha recuperato dieci cadaveri. Come al solito nessuna notizia sul numero dei dispersi. Questo dato ha indotto le Nazioni Unite a chiedere il potenziamento della presenza di navi dedicate al soccorso, ribadendo che la Libia non offre «porti sicuri di sbarco» (Pos), come già riconosciuto dal Tribunale di Ragusa e dalla Procura di Palermo che ha chiesto l’archiviazione delle indagini contro le Ong Sea Watch ed Open Arms.

SAREBBE TEMPO che una vera sinistra mettesse da parte tutti quei rappresentanti che hanno anticipato le politiche di sbarramento e di contrasto delle Ong rilanciate da questo governo e progetti una iniziativa politica forte ed aggregante sulla questione dei diritti e del lavoro, oltre che del riconoscimento della dignità umana per tutti. Non ci sono questioni che riguardano soltanto i migranti, oggi è in discussione lo stato di diritto e la tenuta democratica del nostro paese.

Fulvio Vassallo Paleologo  Docente di diritto di asilo presso l’Università di Palermo

da il manifesto

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