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Roma: Violente cariche della polizia sul corteo contro Erdogan

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Violente cariche della polizia al corteo che si stava muovendo verso Piazza San Pietro per contestare la presenza del presidente turco Erdogan, che è stato ricevuto dal Papa. Diversi feriti e due fermati

Vietato manifestare in centro città, ma non solo. Alcune centinaia di compagne e compagni, infatti, hanno manifestato ai giardini di Castel S. Giovanni. Qui, quando hanno provato a muoversi in corteo, sono stati manganellati dalla celere e almeno un compagno curdo è stato fermato e portato in Questura.

Dopo la carica, agenti in antisommossa di tutti i corpi delle forze dell’ordine (Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza) hanno chiuso la piazza su tutti i lati, e stanno impedendo a chiunque di entrare ma anche di uscire. Vogliono identificare tutti i presenti.

I partecipanti sono stati forzatamente tenuti chiusi nella piazza fino alle 18 circa (quando Erdogan si era ormai allontanato dal centro di Roma) senza poter andare in bagno né mangiare. Secondo alcuni esponenti di Giuristi Democratici, questo fatto rasenta il sequestro di persona. Nel frattempo alcune decine di persone fuori dalla piazza esprimevano la loro solidarietà lanciando bottiglie d’acqua e buste di pizza oltre i cordoni di polizia per far rifocillare i manifestanti ancora bloccati lì dall’intera giornata.

Nuovo aggiornamento dalla piazza, alle 17.40 circa, con Alessio Arconzo, Rete Kurdistan Roma. Ascolta o scarica.

Ore 15.30 Un presidio solidale si sta formando fuori dal Tribunale di Roma per la liberazione dei fermati e di chi è ancora di fatto sequestrato dalla polizia in piazza.

La corrispondenza delle 14.50 con Vincenzo Miliucci, di Rete Kurdistan RomaAscolta o scarica.

La corrispondenza delle 12.15 circa con Alessio Arconzo, Rete Kurdistan Roma. Ascolta o scarica.

da Radio Onda d’Urto

 

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Comments ( 1 )

  • Gianni Sartori

    VICENZA SI SOLLEVA…ANCHE PER IL POPOLO CURDO
    (Gianni Sartori)

    Anche se sostanzialmente fu una sconfitta, la lotta del popolo vicentino contro la realizzazione dell’ennesima base statunitense, il movimento “NO Dal Molin”, non è stato invano.
    Oltre a un degno passaggio di testimone con le lotte degli anni sessanta (vedi 19 aprile 1968 a Valdagno) e degli anni settanta (vedi la “breve estate” dell’Autonomia che ha incendiato le praterie dell’Alto Vicentino) ha rappresentato la prosecuzione, con altri mezzi, di quella Resistenza antifascista per cui la “Città del Palladio” è stata insignita di medaglia d’oro. L’altra medaglia, la prima, era per l’insurrezione del 1848.
    Nelle manifestazioni contro il Dal Molin (legittimo definirle “oceaniche”, talvolta) si riversarono le energie e le esperienze sia dei soggetti e dei collettivi legati ai centri sociali (Ya Basta!), sia di alcune formazioni “classiche” (per quanto ridotte ai minimi storici) come Rifondazione (erede a Vicenza sia del PCI che di DP) o il PDAC (Quarta Internazionale) i cui militanti costituirono il Comitato di Vicenza Est. Oltre, naturalmente, ai pacifisti, ai Cristiani per la Pace, alle Donne, agli ambientalisti…ai cani sciolti.
    Anche recentemente, 26 gennaio 2018, abbiamo potuto toccare con mano che la lotta continua. Continua nonostante decenni di Democrazia cristiana (Rumor e suoi eredi) e poi anni di fascioleghismo (v. Hulwek), nonostante la presenza di una rampante (leggi: aggressiva, impietosa) Confindustria ai primi posti nella classifica nazionale (la seconda in Italia, credo, sia per profitti che per devastazioni ambientali).

    Un passo indietro.
    E’ ormai arcinoto che da decenni il Veneto in generale e Vicenza in particolare forniscono lo scenario ottimale per esercitazioni militari e repressive: un grande laboratorio a cielo aperto.
    Già in passato, anni novanta, si ipotizzava sulla presenza di soldati turchi (in particolare piloti), magari proprio in coincidenza con fasi di recrudescenza repressiva nei confronti dell’opposizione popolare e di quella curda in particolare.
    Agli occhi attenti e vigili dei Centri Sociali del Nord Est non era quindi passata inosservata la presenza di militari turchi ai tre giorni di “addestramento sui flussi migratori” presso la sede della Gendarmeria europea. Ufficialmente in qualità di “osservatori”. Un segnale preoccupante, quantomeno, nei giorni in cui l’esercito e l’aviazione di Ankara stavano (e stanno) massacrando civili inermi nel cantone curdo di Afrin nel nord della Siria. Così come due anni fa avevano fatto terra bruciata delle città curde del Bakur (la regione curda sottoposta all’amministrazione turca) collezionando una lunga lista di violazioni dei Diritti umani nei confronti della popolazione.

    E i giovani militanti non sono rimasti a guardare.

    Questo il comunicato diffuso la sera stessa del 26 gennaio 2018 in merito alla loro iniziativa:

    “La Jendarma Turca, responsabile di uccisioni indiscriminate, torture e rappresaglie contro i civili nel Kurdistan Bakur è tra gli osservatori internazionali della Gendarmeria Europea (Vicenza, Caserma Chinottto), dove oggi termina una tre giorni di addestramento sui contenimenti dei flussi migratori. Un centinaio di attivisti di dei centri sociali del nord-est e di Ya Basta Edi Bese hanno, questa sera, sanzionato dal basso la sede della Gendarmeria Europea. Nel giorno dell’anniversario della liberazione di Kobane si è voluta manifestare la nostra solidarietà attiva con il Kurdistan che resiste! Defend Afrin! Erdogan Terrorist!”

    Va anche detto che nel vicentino i precedenti non mancavano. Basti ricordare l’inquietante voce che nel gennaio 1997 circolava insistentemente alla caserma Ederle di Vicenza (Nato). Si parlava della tragica morte di un pilota turco autore di qualche piccolo furto all’interno della caserma stessa, poco prima di Natale. Colto sul fatto, era stato immediatamente rispedito in Turchia e qui sarebbe stato addirittura fucilato. Non risulta ci sia mai stata una conferma ufficiale, ma la vicenda comunque forniva un’ulteriore testimonianza sulle violazioni dei diritti umani da parte della Turchia. Ma quella volta c’era anche di più. Indirettamente confermava quanto si sospettava da tempo: nelle basi Nato in territorio italiano – da Ghedi all’aeroporto “Dal Molin” – i piloti turchi prendevano lezioni sull’uso di velivoli, in particolare di elicotteri. Dello stesso tipo (ad esempio gli Apaches) di quelli utilizzati nel Kurdistan “turco” (Bakur) per distruggere villaggi e accampamenti curdi.
    Per analogia va ricordato anche un altro episodio, risalente a una decina di anni prima, anche se in questo caso si trattava di militari iracheni e non turchi.
    Lo spettacolare incidente mortale di Fongara – nell’Alto Vicentino presso Recoaro – portò a conoscenza dell’opinione pubblica il fatto che i piloti iracheni, all’epoca impegnati nella guerra con l’Iran (ma anche costantemente contro i curdi) si addestravano in Italia con il supporto logistico delle basi Nato. L’elicottero in questione finì contro la parete di una montagna a causa della nebbia e l’intero equipaggio, tutti militari iracheni, perì nell’incidente. Allora si disse che erano diretti in qualche fabbrica di elicotteri nel “nord-ovest” per installare nuovi marchingegni elettronici e impratichirsi nell’uso. Erano arrivati dall’Iraq facendo tappa nelle varie basi Nato dislocate lungo il percorso.

    Nel 1997, “grazie” all’incauto pilota e alla severità dell’esercito turco, diventava lecito sospettare che sui velivoli Apache e Shinook (quelli che all’epoca sorvolavano quasi quotidianamente anche il quartiere di San Pio X) si stessero esercitando i piloti che poi avrebbero bombato le popolazioni curde.
    Dalla spettacolare denuncia operata oggi, 26 gennaio, dai militanti dei Centri sociali emerge anche una considerazione: il fatto che la Turchia sia legata da una formale alleanza militare all’Italia e agli altri paesi della Nato non può costituire un alibi per tollerare complicità e connivenza con l’attuale politica repressiva (e nei confronti dei curdi anche genocida) del regime di Erdogan.

    Gianni Sartori

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