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Con Rojava sotto attacco, tre ex combattenti italiani rischiano la sorveglianza speciale

Mercoledi 16 ottobre nuova udienza per Eddi, Jacopo e Paolo. I volontari Ypg/Ypj al manifesto: «Provano a fermare l’attivismo italiano ma sono in imbarazzo». E al mondo politico chiedono di bloccare la vendita di armi alla Turchia e di lavorare allo no-fly zone: «Senza i caccia, Erdogan non può vincere»

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Palazzo di Giustizia di Torino, presidio in solidarietà con i cinque italiani ex combattenti delle Ypg © LaPresse

Il giudizio per Eddi, Paolo e Jacopo era stato sospeso il 21 giugno, tutto rinviato a domani 15 ottobre. Al Tribunale di Torino va in scena una nuova udienza sulla richiesta di sorveglianza speciale mossa dalla Procura contro Paolo Andolina, Maria Edgarda Marcucci e Jacopo Bindi volontari a Rojava tra le fila, rispettivamente, delle unità di difesa curde Ypg e Ypj e del Tev/Dem.

Tre mesi e mezzo fa lo stesso Tribunale aveva rigettato la richiesta per altri due ex combattenti, Davide Grasso e Fabrizio Maniero, pressoché in contemporanea con il Tribunale di Cagliari che aveva fatto lo stesso con Luisi Caria. Ma per gli altri tre la corte torinese aveva chiesto più tempo per verificare le convinzioni della pm Manuela Pedrotta e della Digos. Ovvero che si tratti di soggetti socialmente pericolosi perché politicamente attivi in Italia e capaci di usare le armi, vista l’esperienza nel nord della Siria. Dunque “meritevoli” – questa è la tesi – di essere sottoposti a sorveglianza speciale, misura restrittiva della libertà di epoca fascista.

«Il Tribunale ha voluto approfondire due episodi per cui, secondo la Procura, potrebbe sussistere la pericolosità sociale – ci spiega Davide Grasso – Nello specifico una festa musicale a Capodanno del 2018 di fronte al carcere torinese Le Vallette a cui ha preso parte Paolo. È stato accusato di aver sparato un fuoco di artificio, normale a Capodanno, che non ha colpito nessuno né danneggiato qualcosa. Per la Procura è segno di una competenza militare. Jacopo ed Eddi sono invece accusati di aver partecipato a un altro presidio musicale fuori da un locale nel quartiere Vanchiglia per chiedere al proprietario di pagare lo stipendio al cuoco dopo quattro mesi senza salario. Un presidio totalmente pacifico senza neanche l’intervento delle forze dell’ordine. Applicare la sorveglianza speciale è una follia come pensare che la musica sia sintomo di capacità militari».

Fuori dal Tribunale, domani come alle precedenti udienze, si terrà un presidio di solidarietà con i tre ragazzi e con Rojava, in questi giorni sotto attacco turco e islamista. Con mezzo mondo che dichiara solidarietà alle unità di difesa Ypg e Ypj, la Procura insiste per collegare la lotta armata curda con la pericolosità sociale.

«La Procura è in grande imbarazzo – aggiunge Paolo – Come già accaduto in passato quando la sorveglianza speciale è stata utilizzata per colpire l’attivismo politico italiano, anche stavolta ha provato a fermare così degli attivisti, ma è stato un boomerang. L’ultimo rinvio aveva lo stesso obiettivo ma questa udienza arriva in pieno attacco turco, un’aggressione che ha riacceso l’attenzione sulla questione».

Presente nel codice Rocco, la sorveglianza speciale permette la grave limitazione della libertà personale di un individuo in assenza di un reato. Consentirebbe, tra l’altro, il ritiro di patente e passaporto e il divieto di dimora, assemblea e partecipazione a eventi pubblici. Nel caso degli ex combattenti torinesi, da anni impegnati nelle lotte locali per la casa, il diritto allo studio e nel movimento No Tav, c’è una chiara volontà di punirne le posizioni politiche.

«Rivoluzionari pericolosi», li avevi definiti la pm Pedrotta, giunta ad affermare che quella curda contro l’Isis non è stata lotta al terrorismo. Fortunatamente, almeno in questo, smentita dal Tribunale che il 21 giugno scorso ha negato un collegamento tra l’appartenenza alle Ypg/Ypj e l’apprendimento all’uso delle armi con la pericolosità sociale, nel caso di Davide e Fabrizio.

La battaglia è più attuale che mai: con Rojava sotto le bombe turche e le aberrazioni delle milizie islamiste alleate di Ankara, la questione è dirimente. Ed entra di prepotenza nel dibattito politico: «La prima cosa che la politica dovrebbe fare è bloccare la vendita di armi, qualcosa di concreto – spiega Jacopo – Ma va ricordato che per anni la Turchia è stato partner speciale italiano sia per la vendita di armi che per i rapporti politici di chi oggi la critica».

«La cosa più concreta da fare è la chiusura dello spazio aereo, la no fly zone – conclude Davide – Senza aerei la Turchia non è in grado di vincere a Rojava, come si è visto nel cantone di Afrin: sono riusciti ad occuparlo solo perché hanno usato i caccia. Oggi i soldati turchi sono nelle retrovie, avanti mandano bande di islamisti in grado solo di attaccare e uccidere civili. Senza aerei i curdi possono fermare l’aggressione turca, per questo serve bloccare l’aviazione».

Chiara Cruciati

da il manifesto

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