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Per ridurre il danno. Disinvestire sulla polizia

Sulla scia delle proteste di Black Lives Matter di quest’estate seguite all’uccisione di George Floyd, negli Stati Uniti ha preso piede un dibattito per noi molto interessante al suono dello slogan “Defund the police”, disinvestire sulla polizia. Offriamo la traduzione di un bel post di Ian Loader pubblicato in estate nel sito TLS (ripreso poi anche da The Guardian), che introduce con chiarezza ai termini del dibattito, le diverse posizioni che attraversano il campo e la portata della scommessa.

L’esperienza del controllo di polizia per i neri americani è un lungo, tetro susseguirsi di omicidi, proteste, tentativi di riforma e ancora omicidi. La prospettiva di un nuovo modo di fare polizia comparso all’orizzonte insieme alle proteste globali e nazionali che son seguite alla morte di George Floyd a Minneapolis il 25 maggio potrebbero essere solo un altro punto in questo circolo. Gli eventi potrebbero prendere una piega repressiva. Chi protestava è andato incontro a lacrimogeni, sostanze urticanti, e forze di polizia equipaggiate con gli scarti dell’esercito. Il Presidente Trump ha chiesto ai governatori “deboli” di “dominare” le strade e sembra che stia pianificando di rispolverare il copione di Nixon: alimentare la paura dei Bianchi per ottenere la ri-elezione a novembre. Ma nello stesso periodo, idee che una volta erano racchiuse nel recinto della politica nera radicale stanno ora attirando l’attenzione globale. Gli slogan si stanno trasformando in programmi e piani d’azione. Ridurre la polizia. Disinvestire sulla polizia. Sciogliere la polizia.

A partire dal 2013, Black Lives Matter è diventato un vibrante movimento sociale – negli Stati Uniti e molto oltre. Si focalizza su mobilitazione e organizzazione, tattiche e strategie. Il suo orientamento è volto alla denuncia, alla diffusione pubblica e alla critica. Ma, come sostiene Christopher Lebron in The Making of Black Lives Matter (2017), è anche un’idea, un movimento che attinge da idee e che è generativo di idee. La speranza che Black Lives Matter ispira promana dalla sua visione radicale, dalla capacità di immaginare un futuro migliore. Nel Regno Unito, il leader del Laburisti Sir Keir Starmer recentemente ha deriso gli appelli a disinvestire sulla polizia squalificandoli come “schiocchezze”. Aveva ragione?

Il punto di partenza della campagna sul taglio dei fondi della polizia negli stati Uniti è un interessante rivendicazione dal punto di vista storico e sociologico: il fatto che la polizia americana non sia orientata alla prevenzione della criminalità e alla sicurezza pubblica, ma al controllo razializzato, al fine di mantenere i neri disciplinati e al (loro) posto. Nei quartieri neri poveri, la polizia è la maniera in cui si fa esperienza del governo. La criminalità, nella vita americana, è stata a lungo utilizzata come un sostitutivo del razzismo, un mezzo codificato per esprimere il sentimento suprematista. La brutalità di polizia e le uccisioni sono parte dell’esperienza nera americana. Così come l’impunità di fronte alla legge, e la negazione o approvazione da parte dei Bianchi, che assistono a e facilitano queste uccisioni. È davvero raro che un agente di polizia venga perseguito, ancor meno condannato, per aver violato corpi neri.

Una dimensione sorprendente delle risposte all’ultima brutalità è un’evidente insofferenza per il programma di riforme liberali che di solito viene presentato quando un omicidio per mano della polizia fa notizia (la maggior parte non la fa).

Il repertorio di riforme – formazione sui pregiudizi impliciti, giustizia procedurale, telecamere indossabili, più poliziotti neri, comandanti di polizia progressisti – promette costantemente di migliorare la polizia e puntualmente fallisce. All’indomani della morte di George Floyd, la riforma è diventata il nemico. “Perché mai”, chiede l’attivista di BLM Mariame Kaba sul New York Times, “dovemmo pensare che queste stesse riforme adesso funzionerebbero?” Esse falliscono, questo l’argomento, perché non colgono appieno il ruolo che la polizia gioca nel sostenere l’ordine razziale americano. Nelle parole di Ta-Nehisi Coates:

“Magari avete sentito parlare di diversità, formazione alla sensibilità e telecamere indossate dagli agenti (body cameras). Sono tutte cose valide e applicabili, ma sottovalutano il problema e consentono ai cittadini di questo paese di fingere che i propri atteggiamenti siano realmente e concretamente distanti dagli atteggiamenti di coloro che hanno il compito di proteggerli. La verità è che la polizia riflette l’America in tutta la sua volontà e paura.”

Black Lives Matter fa tre tipi di richieste nei confronti della polizia. La prima nasce da un liberalismo radicale. Parlo deliberatamente di liberalismo qui. Non è un liberalismo che vede lo stato come un arbitro neutrale, né che condivide quella fede liberale nella polizia come forza imparziale che protegge i cittadini rispettosi delle leggi dai cattivi. Piuttosto, Black Lives Matter prende in prestito e radicalizza la paura liberale dello stato e la convinzione che quest’ultimo abbia bisogno di un controllo costante. Quindi vengono proposte delle misure – da gruppi come Campaign Zero – per ridurre nell’immediato i danni che la polizia produce; misure per limitare il potere della polizia di molestare, fermare e perquisire, mutilare e uccidere quasi impunemente i neri. Tali misure includono il divieto di tecniche di compressione e di irruzione senza mandato, l’obbligo per gli ufficiali di intervenire quando i colleghi infrangono la legge, e mettere fine all’immunità speciale di cui i poliziotti godono. Queste misure includono anche la non-risposta strategica, tramite cui si incoraggia la polizia a non rispondere alle chiamate che i bianchi fanno alla polizia per placare la loro paura dei neri – di recente, e tristemente, da Amy Cooper a Central Park. In ogni caso, la visione di fondo è l’uguaglianza, al fine che la polizia tratti i neri americani con dignità.

Un secondo gruppo di rivendicazioni affonda le proprie radici nelle idee della democrazia radicale. Anche questa inizia con un atto di rifiuto – il rifiuto di venir sedotti dall’incorporazione nei luoghi esistenti di consultazione della polizia. Le alternative proposte implicano lo sviluppo e la sperimentazione di forme più democratiche di controllo di quartiere sui dipartimenti di polizia, con l’ambizione di mettere quei dipartimenti in sintonia con l’esperienza del danno e il desiderio di sicurezza che si riscontrano nei quartieri neri. Oppure comportano la creazione di un bilancio partecipativo – il bilancio popolare – che consenta ai cittadini non semplicemente di decidere le priorità della polizia, ma di prendere parte alle decisioni riguardanti il tipo e la varietà di investimenti e interventi necessari per risolvere i conflitti e produrre ordine nelle comunità nere strutturalmente svantaggiate. In entrambi i casi, è una richiesta di partecipazione democratica.

La terza richiesta di Black Lives Matter ha attirato particolare attenzione – e notorietà – nelle settimane successive all’omicidio di George Floyd. Si tratta della proposta di disinvestire su, o sciogliere, la polizia. Il taglio dei fondi è, in primo luogo, un appello per arginare il crescente flusso di denaro destinato ai dipartimenti di polizia americani. Dappertutto negli Stati Uniti, i finanziamenti alla polizia sono aumentati vertiginosamente negli ultimi decenni, in un momento in cui altre voci di spesa pubblica si sono arrestate o ridotte. Questo è il risultato della mobilitazione politica sulla paura della criminalità e del potere dei sindacati di polizia (il Fraternal Order of Police sostiene e finanzia regolarmente i candidati favoriti alle elezioni per procuratori, sindaci, senatori, governatori e presidente). Quindi il primo passo è controllare la violenza della polizia ridimensionando la polizia stessa e la sua grande influenza sulla vita americana, specialmente nelle scuole. Al momento sono in corso iniziative per rimuovere gli ufficiali dalle scuole di Minneapolis, Seattle, Portland e Denver. Ma tagliare i fondi alla polizia significa investire quei fondi altrove. Significa pensare e agire su questioni di sicurezza, povertà, istruzione, dipendenza da sostanze, questione abitativa e salute mentale in maniera da evitare che sia poi la polizia a gestire (fallendo) tali questioni – con tutto ciò che questo ha comportato per i neri americani. I leader politici neri sin dagli anni Settanta hanno chiesto investimenti – anche un nuovo Piano Marshall – per affrontare la violenza criminale e gli svantaggi multipli che affliggono i quartieri neri; ma quello che hanno ottenuto è più polizia. L’ambizione di Black Lives Matter è reinvestire queste risorse altrove – nell’istruzione, negli alloggi, nel lavoro sociale, nella consulenza, nella mediazione di comunità, in personale civile qualificato per rispondere alle emergenze psichiatriche.

Le proteste dei mesi scorsi hanno anche visto una rinnovata applicazione alle forze dell’ordine di un’idea più tipicamente associata ad alternative radicali al carcere: l’abolizione. Tale richiesta può essere riformista o trasformativa. Nel primo caso, mira a sciogliere i dipartimenti di polizia e ricostruirli da zero. Come ha sostenuto Tracey Meares, docente di diritto a Yale: “la polizia come la conosciamo deve essere abolita prima di poter essere trasformata”. La contea di Minneapolis City ha recentemente votato e approvato questo passo. Nel 2012, una cosa simile è accaduta a Camden, NJ, una delle città più povere e violente d’America. Quella storia è confusa e controversa. La polizia di Camden City è stata sciolta e ricostituita sotto il controllo della contea, contro le richieste e i desideri dei residenti neri. La nuova polizia era più giovane, più bianca e meno costosa. L’obiettivo dichiarato della riforma era più polizia. L’entusiasmo del nuovo dipartimento di polizia per una repressione del disordine secondo il modello delle “finestre rotte” ha portato a conflitti con la comunità, che ha fatto pressione sulla polizia affinché adottasse politiche di de-escalation e di uso della forza (intesa come ultima risorsa) che ora sono considerate un modello. La criminalità violenta a Camden è diminuita del 23% tra il 2012 e il 2018, sebbene questo rispecchi le tendenze nazionali e potrebbe anche essere il risultato della gentrificazione. Per molti liberali, Camden è un esempio di cosa si può fare. Secondo i critici, offre false speranze. Questi ultimi evidenziano come la città sia stata posta sotto una intensa sorveglianza elettronica. Notano la persistenza di una vecchia formula tale per cui la criminalità-richiede-polizia. Vedono una riaffermazione del problema mascherata da soluzione.

La variante trasformativa prevede un mondo senza – o oltre – la polizia. Bisogna fare attenzione a comprendere attentamente ciò che qui viene rivendicato. Questo non è un appello ad abolire la polizia domani. Non si tratta nemmeno di negare la realtà sociale del danno, o di invocare con nonchalance una situazione di caos. È di questo che hanno paura coloro che, come dice Kaba, “immaginano una società violenta come quella attuale, ma semplicemente senza forze dell’ordine”. Piuttosto, l’abolizione funge da obiettivo utopico verso cui tendere per reinventare la vita urbana e il suo governo, la prevenzione dei danni e la sicurezza pubblica, senza ricorrere alla polizia. L’idea – e il relativo compito – è di allentare la morsa fantasiosa del feticismo di polizia, per rompere l’associazione apparentemente “naturale” tra ordine e polizia. Da questo punto di vista, l’abolizione è semplicemente la versione più completa dell’idea che unisce i vari appelli per disinvestire sulla polizia: il fatto che danno e sicurezza vadano radicalmente socializzati. È un segno dei tempi il fatto che questa idea – una volta confinata ai movimenti sociali marginali e alle aule dei seminari universitari – stia attualmente ricevendo una seria diffusione nel discorso pubblico americano.

Quanto possono viaggiare bene queste idee? Disinvestire sulla polizia è un ideale radicato nell’esperienza dell’ingiustizia razziale americana, con scarsa presa altrove? Keir Starmer aveva ragione a liquidarlo? A dire il vero, non esiste una lettura facile della polizia tra l’America e la Gran Bretagna. Gli Stati Uniti hanno circa 18.000 forze di polizia e un sistema politico decentralizzato. Questo apre molti percorsi verso la riforma e molteplici opportunità per porre il veto su di essa. I sindacati di polizia americani rappresentano un potente ostacolo al cambiamento; lo stesso non si può più dire della Police Federation del Regno Unito. Né l’obiettivo del disinvestimento si traduce facilmente attraverso l’Atlantico. Sin dal 2010 i governi conservatori uno dopo l’altro hanno tolto risorse alla polizia, non per investire altrove i soldi risparmiati, ma come parte di un programma di austerità da cui nessun servizio pubblico, a parte il NHS, è stato risparmiato.

Eppure l’idea di polizia conserva un fascino affettivo e nostalgico all’interno della società inglese (bianca). Lo stesso vale per l’idea che esista una soluzione di polizia al problema dell’ordine. L’impulso a promettere una polizia più visibile nel territorio rimane forte. Negli ultimi decenni la polizia ha perseguito una concezione più ampia e propositiva del proprio ruolo, cercando di intervenire “a monte”, in collaborazione con i partner, per identificare e affrontare le cause della criminalità e dei problemi ad essa correlati. Questo potrebbe avere dei vantaggi. Ma ha anche dei rischi. La preoccupazione è che una mentalità di polizia (con un orientamento addestrato all’ordine e al controllo, sostenuta da una capacità unica di esercitare la forza) si intrometta e rimodelli aree della vita pubblica e della politica – alloggio, istruzione, dipendenza da sostanze, salute mentale – che non sono sfere dell’attività legittima di polizia. Se è così, le lezioni di Black Lives Matter risuonano qui, anche se forse con uno slogan riadattato: non finanziamo ulteriormente la polizia! O almeno, pensiamo a lungo e molto intensamente prima di decidere che il modo migliore per proteggere le persone vulnerabili e promuovere l’ordine nelle comunità sia spendere risorse già scarse in più polizia.

In società strutturalmente divise, la polizia fa due cose: aiuta a fornire un senso generale di ordine da cui tutti traggono beneficio e aiuta a sostenere una struttura sociale che avvantaggia alcuni gruppi più di altri. La polizia è orientata sia alla protezione che al controllo, e più ci si colloca in basso nella gerarchia di razza e classe, più l’equilibrio tra protezione e controllo cambia. Gli Stati Uniti sono vicini all’essere un caso limite – in una società democratica – della distribuzione ineguale di questi elementi: la polizia protegge gli interessi dell’America bianca e ne placa le paure, mentre le comunità nere svantaggiate sperimentano un controllo coercitivo. Anche altre caratteristiche contraddistinguono il caso americano. Gli americani sono esposti a tassi molto più alti di omicidi, rapine a mano armata e uccisioni da parte della polizia rispetto ai cittadini di altre democrazie moderne. Anche i livelli di povertà infantile, mortalità infantile, malattie mentali e tossicodipendenza sono più elevati. Tutti questi sono concentrati nelle comunità povere e segregate delle minoranze. Quindi i neri americani poveri sono sproporzionatamente vittime della violenza interpersonale e della polizia, sebbene i tassi di crimini violenti denunciati siano diminuiti a livello nazionale del 51% tra il 1993 e il 2018. La presenza capillare delle armi dà alla violenza criminale e di polizia una letalità che raramente si trova altrove. La polizia americana è fortemente militarizzata. Le storie e i lasciti del coinvolgimento della polizia nella dominazione coloniale sono diverse nel caso americano e inglese.

Queste differenze contano. Tuttavia, chi ha a che fare con la polizia inglese – come soggetto coinvolto o semplice osservatore – sbaglierebbe a trattare la brutalità della polizia americana con distaccata preoccupazione o compiaciuta superiorità, come se questi fossero problemi unicamente “loro”. La polizia inglese ha rapporti storicamente travagliati con le comunità nere e delle minoranze etniche, nonché propri eccessi scandalosi e fallimenti. Sono trascorsi più di due decenni dal rapporto “spartiacque” Macpherson sull’omicidio a sfondo razzista di Stephen Lawrence. La maggior parte delle settanta raccomandazioni contenute in quel Rapporto sono state attuate, almeno in una qualche misura. Eppure le prove suggeriscono che lo stop-and-search, determinato non da come si comportano le persone ma da chi sono, discrimina ancora i neri e le minoranze etniche. Come nel 2017 ha rilevato l’analisi guidata dal parlamentare David Lammy, la polizia continua a incanalare le persone in un sistema della giustizia penale che denuncia, processa e punisce in modo sproporzionato le persone delle minoranze. I neri corrono un rischio maggiore di morire durante la custodia di polizia. Si impara raramente da quelle morti e su questo le raccomandazioni della Analisi di Lammy non sono state attuate. È raro infatti che in questi casi un agente di polizia venga perseguito, ancor meno condannato.

La miglior risposta all’uccisione di George Floyd non è quella di distinguere con soddisfazione l’esperienza americana da quella inglese, ma di riconoscere le due lezioni che le proteste scaturite dall’omicidio ci offrono. La prima è la lezione liberale radicale. Black Lives Matter ci ricorda la vitale importanza di mantenere un’attenzione alta e scettica. Attesta il valore duraturo nelle democrazie liberali di conservare un controllo costante sul potere di polizia e un occhio attento su come viene utilizzato il potere coercitivo, a quali condizioni e contro chi. Una seconda lezione è quella della democrazia radicale. In una democrazia, la polizia non è mai semplicemente una risposta alla domanda “quanto sono al sicuro?”. La polizia, entro certi limiti ma andando anche in profondità, aiuta le persone a sentirsi sicure rispondendo anche alle domande “A chi appartengo?” e “Chi si preoccupa per me?”. Quando si tratta di neri e minoranze etniche, la polizia troppo spesso risponde a queste domande in maniera negativa: tali gruppi fanno esperienza della polizia in quanto oggetti del controllo, non come fulcro di rispetto e cura. Le forze dell’ordine agiscono come potenti mediatori dell’esclusione, artefici dell’insicurezza.

Può essere altrimenti. La polizia può contribuire a garantire l’appartenenza. Ma ciò richiede un servizio di polizia che sia un’agenzia di interventi necessari e di investigazione reattiva e rispettosa dei diritti. Questo significa una polizia che risponde alle priorità che sono state negoziate democraticamente da tutte le comunità coinvolte. Questo, a sua volta, richiede l’estensione e la sperimentazione di istituzioni deliberative che diano ai neri e alle minoranze etniche una voce uguale nel determinare cosa siano la sicurezza e la giustizia e i mezzi legittimi con cui fornirle.

Ian LoaderProfessore di Criminologia presso l’Università di Oxford e Professorial Fellow dell’All Souls College

Questo contributo è stato pubblicato originariamente in inglese il 14 agosto 2020 nel sito di TLS, al seguente link

La traduzione è a cura di Giulia Fabini e Rossella Selmini.

tratto da Studi sulla questione criminale online

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