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Quali sono le responsabilità dell’autorità giudiziaria di fronte alla violenza della polizia?

Un incontro fra Vanessa Codaccioni e Raphaël Kempf e due magistrate del Syndicat de la Magistrature. Uno sguardo sulla situazione francese che poi non è diversa da quella italiana.

Quali sono le responsabilità dell’autorità giudiziaria di fronte alla violenza della polizia?

Per approfondire questa questione, Vanessa Codaccioni e Raphaël Kempf, poco sospettabili di compiacenza nei confronti della polizia e delle istituzioni giudiziarie, rivolgono la domanda a Katia Dubreuil e a Sarah Massoud, magistrate e attualmente presidente e segretaria generale del Sindacato dei magistrati.

Katia Dubreuil e Sarah Massoud sono state entrambe, fra altro, vice procuratrice e giudice istruttrice nella regione di Parigi.

Vanessa Codaccioni è una politologa. In particolare è l’autrice di La légitime défense. Homicides sécuritaires, crimes racistes et violences policières (CNRS, 2018), de Répression. L’État face aux contestations politiques (Textuel, 2019) et plus récemment de La société de vigilance. Auto-surveillance, délation et haines sécuritaires (Textuel, 2019). Fa parte del nostro comitato editoriale.

Raphaël Kempf è un avvocato del foro di Parigi e assiste molte persone inquisita o che denunciano la polizia, in particolare nel contesto delle manifestazioni. È l’autore di Ennemis d’État. Les lois scélérates, des anarchistes aux terroristes (La Fabrique, 2019). Non fa parte del nostro comitato editoriale, ma con gentilezza ed entusiasmo ha accettato di fare il pubblico ministero. Lo ringraziamo per questo.

Vanessa Codaccioni (da ora in poi VC): L’idea comunemente accettata, in particolare a seguito delle analisi di Michel Foucault, è che l’impunità giudiziaria degli autori di violenze poliziesche derivi da una stretta collaborazione tra polizia e tribunali. Foucault disse infatti: “I giudici servono fondamentalmente alla polizia per funzionare”2.  Cosa ne pensi ?

Sarah Massoud (SM): Questa citazione di Michel Foucault riecheggia innegabilmente una realtà e diverse verità. La giustizia è in balia di ciò che fa la polizia: è quest’ultima che avvia le indagini, che costruisce l’avvio di un procedimento giudiziario e poi, ancora, se viene approda a un giudice istruttore, che eseguirà le rogatorie. Inoltre, se il magistrato è sulla carta il direttore delle indagini, in realtà sono soprattutto le forze dell’ordine a lasciare il segno.

Poi, a livello istituzionale, va ricordato che le forze dell’ordine non sono collegate alla giustizia; polizia e gendarmi hanno una loro gerarchia, anche se i magistrati hanno il compito di controllare e dirigere il loro lavoro. Quindi allo stesso tempo si lavora con loro, siamo vincolati dal loro lavoro e, paradossalmente, controlliamo la loro indagine, dirigiamo la loro indagine e diamo loro istruzioni. La Procura generale ha anche il compito di valutare gli agenti di polizia giudiziaria3. I magistrati sono quindi sia asserviti che dirigenti.

E poi, infine, al di là di queste verità politiche e istituzionali, ci sono ovviamente delle affinità che si formano tra poliziotti e magistrati. La materia penale crea di per sé una certa prossimità tra i professionisti perché mette in discussione l’umano, l’intimo, le forme di violenza indicibili, personalità straordinarie e affronta situazioni spesso molto dolorose. Quindi, necessariamente, discutere di questi temi crea legami forti, affascinanti e talvolta appassionati. Inoltre, a volte c’è il fatto di lavorare quotidianamente su determinati fascicoli con gli inquirenti e di scambiare con loro intensamente sul merito dei casi – impressioni sentite o strategie da favorire. Questo aiuta a creare forti affinità che possono produrre determinate lealtà. Dati questi stretti legami è quindi più difficile contrastare alcune disfunzioni. A volte, nella mia pratica, ho dovuto assumermi la responsabilità di non approvare determinate pratiche di polizia e di riferirle alla gerarchia di polizia nonostante gli ottimi rapporti che avevo con gli investigatori.

Katia Dubreuil (KD): La vicinanza dei magistrati e operatori di polizia non è la stessa a seconda delle funzioni di magistrato che si ricoprono. All’accusa abbiamo gli investigatori al telefono tutto il giorno; all’istruzione, i collegamenti sono meno vicini ma regolari; nelle udienze “en corretionnelle”, i giudici non hanno alcun contatto diretto con gli investigatori se non la lettura dei loro verbali. Ovviamente nulla è così schematico, dal momento che i magistrati inquirenti possono partecipare a procedimenti correttivi e i magistrati non trascorrono l’intera carriera in un’unica funzione. Ma, quando si tratta un caso, ognuno è al proprio posto istituzionale, e proprio chi alla fine decide non è colui che ha cercato energicamente l’autore del reato, seguendo ogni svolta della vicenda investigativa. Questo è uno dei motivi per cui è problematico conferire sempre più poteri semi-giudiziari ai pubblici ministeri.

Per comprendere questi legami di dipendenza e prossimità tra magistrati e agenti di polizia, è importante ricordare che in Francia la giustizia si trova in un equilibrio politico e istituzionale molto sfavorevole nei confronti della polizia. Per illustrare questo punto, posso attestare una situazione di stallo che ho vissuto quando ero giudice istruttore a Bobigny. Avevo chiesto agli inquirenti di consentire la presenza dell’avvocato nella custodia cautelare di polizia sin dall’inizio del provvedimento, mentre all’epoca il codice di procedura penale ritardava l’esercizio di tale diritto per i casi di traffico di droga. Ho ritenuto opportuno farlo a seguito delle decisioni di condanna emesse dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti di paesi la cui legge applicabile era simile alla nostra. La gerarchia di polizia degli investigatori incaricati di questo fascicolo, che non riteneva legittimo far prevalere la norma europea sul codice di procedura penale, ha bloccato gli arresti, indicando che non avrebbero fatto nulla finché non avessi cambiato idea. Il caso era arrivato ai ministeri degli affari interni e della giustizia, e non c’era stata alcuna reazione istituzionale al rifiuto della polizia di eseguire le istruzioni di un giudice nello svolgimento di un’indagine. A quel tempo, i giudici che avevano adottato questa giurisprudenza erano tutti nella stessa situazione: erano soli di fronte al blocco di un’istituzione di polizia onnipotente.

Per rispondere alla tua domanda iniziale, quindi, direi che il rapporto di prossimità, di dipendenza ma anche di grande debolezza della giustizia nei confronti della polizia, costituisce un forte elemento esplicativo della difficoltà di giudicare i reati commessi dagli agenti di polizia.

Raphaël Kempf (RK): Come spiega che, nei casi di violenza della polizia, l’accusa convalida sistematicamente il resoconto della polizia e, ad esempio, non si oppone mai a un arresto deciso da un ufficiale di polizia giudiziaria?

SM: Credo che si possa parlare apertamente di una “gerarchia della credibilità” per usare una terminologia di Didier Fassin nel suo libro Mort dun voyageur4. È vero che, in un caso di violenza di polizia, la magistratura non dà alla storia di un gendarme o di un agente di polizia lo stesso valore di quella di un denunciante. Anche se è difficile da sistematizzare, questo pregiudizio esiste: la parola di un poliziotto vale più della parola di una vittima o di un testimone. Mentre dovrebbero avere lo stesso valore. Prova di ciò è che un certo numero di colleghi ritiene che non sia necessario condurre uno scontro tra un intervistato e un agente di polizia se ciascuno è stato in grado di essere oggetto di un’udienza! Nella gerarchia di credibilità delle versioni, credo si dia più fede – a torto – a quanto detto da un poliziotto.

KD: Mi sembra importante ricordare che oltre ai rapporti di prossimità citati in precedenza, esiste una vera e propria dipendenza giudiziaria nel trattamento dei reati e dei crimini, per non parlare nello specifico dei casi di violenza della polizia, rispetto agli elementi denunciati dalla polizia. In tutte le fasi del procedimento penale, infatti, i magistrati fondano le proprie decisioni sulla base di verbali redatti dalla polizia o dai gendarmi, che indicano quanto da loro personalmente constatato: se non vi era fiducia a priori dei magistrati nella realtà i fatti raccontati nei verbali d’ufficio – sul luogo del delitto, un tale e quest’oggetto ritrovato in tale luogo, durante il furto di un’auto, l’ufficiale di polizia ha visto fuggire l’autore e l’ha interrogato senza perderlo di vista… – , non ci sarebbe semplicemente, in molti casi, nessuna condanna possibile…

Nell’attività quotidiana dei magistrati, le semplici allegazioni di un imputato contrarie a quanto scritto dall’ufficiale di polizia non avranno forza probatoria se non sono oggettivate da altri elementi5. Il caso tipico, sono questi fascicoli (ad esempio per atti di disprezzo, ribellione o violenza nei confronti di persone detentrici di pubblici poteri -operatori delle polizie) in cui abbiamo un verbale di deferimento e udienze di polizia che vengono copiati e incollati per la stessa narrazione degli eventi. Questi tipi di rapporti dovrebbero essere sufficienti per mettere in dubbio il valore della testimonianza della polizia, eppure questo è troppo raro. Spesso i procedimenti si giudicano in questo stato, senza che i magistrati considerino che ci sia un problema. Questa convalida quasi automatica del discorso della polizia derivante dal forte valore probatorio delle conclusioni degli agenti di polizia per il giudice non dovrebbe, tuttavia, operare allo stesso modo quando l’agente di polizia stesso è coinvolto.

VC.: Concretamente, al di là di queste logiche istituzionali e professionali, quali sono gli ostacoli a una repressione efficace degli agenti di polizia che commettono reati? Cosa spiega perché così pochi vengono giudicati?

S.M .: Ci sono ostacoli a diversi livelli e, per cominciare, a livello di polizia. Ad esempio, le audizioni dei denuncianti che sono insoddisfacenti perché troppo tardive o troppo superficiali. Determinate indagini tecniche che non vengono svolte in modo sufficientemente rigoroso e/o rapido, mentre i periodi di conservazione per determinati dati – come le registrazioni delle telecamere a circuito chiuso o le onde radio della polizia – sono limitati.

Inoltre, la polizia – i testimoni come coinvolti – hanno una forte tendenza a invocare argomenti legali di autodifesa e a “legalizzare” le loro versioni quando è coinvolto uno di loro. Le dichiarazioni di polizia tenderanno quindi ad essere tecniche e standardizzate per costruire una versione al servizio della teoria dell’autodifesa, e quindi – talvolta in modo artificiale – per soddisfare le aspettative giudiziarie. Mi sembra importante ricordare, inoltre, che, a partire dalla riforma legislativa del 2017 che estende le norme di autotutela a vantaggio – e su richiesta – degli agenti di polizia, si è osservato un aumento dell’uso delle armi, riguardanti entrambe le armi letali rispetto alle cosiddette armi a forza intermedia!

Oltre a invocare il quadro giuridico piuttosto a vantaggio dell’istituzione di polizia, la polizia aggiunge altri argomenti alle sue versioni. Quello del “contesto”: richiamare eccessivamente le circostanze globali della commissione del reato consente di minimizzare le precise condizioni del passaggio all’atto: “la manifestazione si è trasformata in sommossa o insurrezione” oppure “il rione ha preso fuoco” o “è sfuggito di mano”. O quello degli “antecedenti” della vittima: in questa logica di discredito del discorso dei denuncianti, il passato giudiziario è quasi sistematicamente proposto dalla polizia, come se il precedente autore di reati non possa essere la vittima di oggi. Anche prima del controllo giurisdizionale, ci sono molti ostacoli. Nell’analizzare i primi elementi dell’indagine, i PM si trovano quindi già di fronte a riscontri faziosi, spesso difficili da superare in seguito.

K.D.: Possiamo aggiungere che i testi, nell’ambito del mantenimento dell’ordine, autorizzano l’uso di tecniche intrinsecamente pericolose, o di armi come LBD (flashball), tecniche e armi descritte da molti osservatori come inappropriate; è quindi molto difficile per la giustizia individuare una colpa individuale di un agente di polizia che avrà seguito la dottrina che gli è richiesta di attuare e che avrà causato gravi danni alle persone. Si tratta di rendere un individuo responsabile di atti che alla fine sono stati ordinati dall’amministrazione, il che è abbastanza complicato perché non si giudica la polizia, si giudica la persona.

R.K.: A sentirla, il pubblico ministero che riceve il fascicolo confezionato dalla polizia sarebbe “ostaggio” della visione poliziesca a cui è sottoposto. Ma è davvero ancora così e non c’è anche una partecipazione attiva a questa narrazione? Ad esempio, nel racconto del fiasco giudiziario Mort d’un voyager di Didier Fassin a cui hai fatto riferimento in precedenza, il pubblico ministero si è affrettato a organizzare una conferenza stampa per convalidare la versione della polizia…

SM: In generale, è molto difficile per un’accusa sconfessare l’istituto di polizia visti i legami istituzionali e le affinità interpersonali di cui ho parlato, soprattutto quando l’indagine è appena iniziata e la fase del contraddittorio non è aperta. I magistrati della Procura possono essere ottimi giuristi e possono ben saper dividere le cose, resta il fatto che la vicinanza politico-istituzionale tra Procura e Polizia ne complica il lavoro. Ad esempio, dobbiamo ricordare che nel bel mezzo di un periodo di repressione giudiziaria dei gilet gialli a Parigi, il pubblico ministero di Parigi, Rémy Heitz, aveva tenuto una conferenza stampa congiunta con il questore di Parigi, nei locali della polizia di Parigi!

Quando la magistratura è investita di casi di violenza poliziesca, dovrebbe invece tenersi maggiormente a distanza dalle autorità di polizia e prefettizie per riaffermare la propria indipendenza e puntare su una forma di serenità. Invece, ora vediamo la procura di Parigi “in linea e a suo agio”6 con il prefetto della polizia di Parigi! E ovunque in Francia, l’accusa ha iniziato a valutare la propria politica penale e il successo di un’operazione delle forze dell’ordine – come una questura – contando il numero di fermi, allontanamenti e condanne nelle comparizioni immediate (direttissime). È assurdo! Come se il “buon” mantenimento dell’ordine dovesse essere valutato nel numero di rinvio a giudizio!

V.C.: Questa “questurizzazione della giustizia” può spiegare il numero molto elevato di classificazioni irrisolte di procedimenti penali che coinvolgono agenti di polizia?

K.D.: Dobbiamo distinguere diversi casi. In primo luogo, ci sono casi di gravi violenze da parte della polizia – commesse o meno in un contesto di forze dell’ordine – in cui le lesioni sono tali da richiedere un’indagine. Ma in questi casi è spesso molto difficile per i tribunali districare le responsabilità individuali per i motivi già citati.

E poi ci sono tutti questi casi di insulti o violenze commessi da agenti di polizia che non lasciano tracce fisiche o tracce spiegate da un certo resoconto di polizia come detto prima; per questo tipo di fatti, in assenza dell’inizio di una prova per oggettivare le dichiarazioni di chi se ne lamenta – spesso nelle carceri del tribunale o durante l’udienza durante un rinvio per oltraggio o ribellione – e anche quando sono oggetto di denuncia, non ci sarà nemmeno un’indagine. Questo è un grosso problema perché la giustizia non è in grado di esercitare il suo ruolo pacificatore nei confronti di intere fasce della popolazione, alimentando così una forma di rifiuto e discredito delle istituzioni.

V.C.: In questa missione di perseguire i reati commessi dalla polizia, cosa pensa delle funzioni giudiziarie dell’IGPN e dell’IGGN7? (NT: Ispettorato della polizia sulla condotta degli operatori)

S.M.: L’IGPN ha il merito di esistere, ma soffre di due problemi strutturali che ne annullano l’opera giudiziaria: un problema istituzionale e un problema di risorse. L’IGPN è ormai completamente asfissiato dalle procedure, sottodimensionato in termini di personale e soggetto a pesi gerarchici invalidanti. Peccato perché la qualità degli investigatori è reale. Ma la pressione gerarchica, la pressione mediatica, la pressione delle parti, giustamente insoddisfatte, e la massa dei casi da trattare, sono tutti ostacoli a un lavoro soddisfacente. In modo che alla fine perdano tutti. In Francia, dovrebbe essere creato un organismo investigativo veramente indipendente, e si dovrebbe considerare uno status e una composizione radicalmente diversi dagli attuali IGPN e IGGN. Questo organismo indipendente dovrebbe essere collegato al Ministero della Giustizia o no? Potrebbe essere composto da ex agenti di polizia o no? Nel Regno Unito, l’Indipendent Office for Police Conduct (IOPC) è un organismo indipendente, composto da investigatori di diversa estrazione – ma necessariamente non di polizia – e che operano in una logica multidisciplinare e molto trasparente. Questa soluzione libererebbe i giudici dal vincolo ombelicale e dagli ostacoli paradossali di cui parlavo prima.

K.D.: Concordo pienamente con quanto appena detto. Ma credo che si debba ricordare che la questione delle indagini giudiziarie sui reati commessi da agenti di polizia non può essere ridotta alla questione dell’indipendenza dell’IGPN o dell’IGGN. È già il grande lusso quando, come pubblico ministero o giudice istruttore, riusciamo a coinvolgerli! Il più delle volte, i servizi di polizia che dovrebbero indagare sui reati commessi da uno o più agenti di polizia non sono specializzati e appartengono alla stessa giurisdizione…

V.C.: Per quali ragioni il trattamento giudiziario dei casi che coinvolgono agenti di polizia è così lungo quando la giustizia può essere molto rapida – anche celere – per processare altri contendenti – come i gilet gialli che sono subito portati in direttissima8?

K.D .: Da un punto di vista strutturale, il sistema giudiziario soffre di una mancanza di mezzi per affrontare un gran numero di cause penali in un periodo di tempo ragionevole, soprattutto quelle più complesse, purtroppo. Ad esempio, un giudice istruttore è responsabile in media di 100 casi nel suo ufficio e viene sempre data priorità ai casi in cui le persone sono poste in custodia cautelare. Tuttavia, la polizia è raramente posta in custodia cautelare. Lo stesso vale per la gestione di casi economici e finanziari complessi: saranno sempre giudicati molto più lentamente di un furto di un cellulare in metropolitana.

Fondamentalmente, questi sono proprio casi complicati perché la legge autorizza l’uso della violenza da parte della polizia. Occorre quindi un lavoro molto importante per caratterizzare la violenza illegittima, sui fatti e quindi sulle qualifiche giuridiche da conservare.

S.M.: Assolutamente. Inoltre, le indagini sono spesso complicate da problemi di identificazione degli autori, legati alle circostanze della commissione dei fatti ma anche, diciamolo, all’omertà della polizia, che si rifiuta in entrambi i casi di dire chi ha fatto cosa ecc. Questo potrebbe spiegare perché questi casi richiedono tempo e molto spesso si traducono in archiviazioni. Nel caso delle manifestazioni, ad esempio, è molto complicato identificare il/i poliziotto/i che hanno commesso violenze sproporzionate, a volte mutilanti. Gli agenti di polizia continuano a nascondere il volto durante le operazioni delle forze dell’ordine, si rifiutano di utilizzare il numero di matricola, non compilano i file TSUA9, indispensabili per la tracciabilità degli spari…

R.K.: Un collega mi ha detto: “Se vuoi vedere una vera giustizia che funzioni, vai a vedere un processo alla polizia”. Infatti, quando ti sentiamo descrivere una giustizia che si prende il suo tempo, che conduce approfondite indagini sull’identificazione dei colpevoli e ampie riflessioni giuridiche sulla responsabilità dei fatti, che evita la custodia cautelare dell’indagato, si ha il diritto di chiedere: tutti i contendenti non dovrebbero avere il diritto di essere trattati giudizialmente come un ufficiale di polizia? Insomma, non abbiamo una giustizia a due livelli che presuppone una disparità di trattamento: quella che giudica i cittadini e quella che giudica la polizia?

K.D.: Di fatto, sì. I vari ostacoli al trattamento giudiziario dei reati commessi dagli agenti di polizia portano a questa situazione di disuguaglianza. Ma la Cancelleria lo presume relativamente bene: nel 2016 ha inviato un dispaccio tracciando un vero e proprio doppio standard, due provvedimenti: sono state date istruzioni di “particolare fermezza” in merito alle violenze commesse contro gli agenti di polizia, mentre il passaggio relativo alle violenze commesse dalle forze dell’ordine , citata modestamente sotto il titolo “denunce contro la polizia”, invitava solo i pubblici ministeri a “considerare le diverse modalità del procedimento giudiziario” 10.

V.C.: Come uscire da questa situazione di disparità che alimenta sia la sfiducia all’interno della popolazione sia un sentimento di impunità all’interno della polizia?

S.M.: Tanto per cominciare, la polizia giudiziaria dovrebbe essere dipendente dal ministero della Giustizia e non più dal ministero dell’Interno per chiarire l’ambivalenza tra controllo e asservimento di cui parlavo prima. Occorrerebbe anche una forza di polizia giudiziaria veramente indipendente, multidisciplinare e trasparente. E poi, certo, occorrerebbe anche destinare ingenti risorse ai servizi di polizia giudiziaria, magistrati ed esperti.

K.D.: Da un punto di vista procedurale, i casi di violenza grave che coinvolgono agenti di polizia dovrebbero essere sistematicamente oggetto di un’indagine giudiziaria rapida perché è il quadro investigativo più indipendente, approfondito e dettagliato, il più contraddittorio.

R.K.: Per porre fine all’impunità della polizia e al sospetto di debolezza della magistratura, la polizia non dovrebbe essere condannata a condanne più dure?

S.M.: Non so se le condanne emesse a carico della polizia siano così clementi. In termini di sanzioni disciplinari, invece, gli studi hanno dimostrato che è così. La sola lettura del rapporto IGPN rivela un calo del numero delle sanzioni disciplinari, circa 600 in meno negli ultimi sei anni, mentre il numero dei rinvii è aumentato11! Ma sul piano giudiziario, credo che ciò meriterebbe un’analisi documentata delle condanne richieste e pronunciate, in particolare dalla decima camera penale di Parigi, specializzata nel trattamento dei reati commessi dalla polizia.

K.D.: La questione delle sanzioni è complicata. Un quantum di pena, di reclusione definitiva è davvero un criterio di soddisfazione? In generale, il Syndicat de la magistrature ritiene che una giustizia ben funzionante non sia quella che pronuncia le pene detentive più pesanti, e questo per tutti i condannati.

Revue Délibérée

pubblicato sul numero 12 di Délibérée, marzo 2021 e col titolo Police partout justice nulle part ? su Médiapart.fr il 17 juin 2021

traduzione a cura di Turi Palidda

Note

1 NdR: il termine “polizia” viene utilizzato durante il colloquio in senso istituzionale per designare qualunque servizio incaricato di missioni di polizia, in particolare qualunque servizio di investigazione giudiziaria, che può quindi riferirsi sia ai gendarmi che agli agenti di polizia.

2 “Michel Foucault: giustizia e polizia”, estratto da “Giustizia: chi sono i tuoi giudici? “, Documentario di Serge Moati, Jack Lang e Jean-Denis Bredin, Antenne2, Archivi INA, 25 aprile 1977. Alla domanda del giornalista “A cosa servono i giudici?”, Foucault risponde: “A cosa servono? Uh… Se sono cattivo… Beh, non lo sono, allora lo dico lo stesso… In fondo sono le forze dell’ordine ad operare […] Giustizia, non fa nulla oltre che a registrare a livello ufficiale, a livello legale, anche a livello rituale, questi controlli che sono essenzialmente controlli di standardizzazione che vengono effettuati dalle forze dell’ordine”.

3 Cfr. articolo 19-1 del codice di procedura penale.

4 Didier Fassin, Mort d’un voyager: une contreenquete, Parigi, Seuil, 2020. Angelo Garand è stato ucciso nel 2016 dai gendarmi del GIGN. Informazioni giudiziarie, confermate dall’indagine, hanno concluso che i gendarmi avevano agito per legittima difesa. Il lavoro di Didier Fassin ci permette di mettere seriamente in discussione questa conclusione.

5 Cfr. Anne-Laure Maduraud, « Sur les PV, l’outrage : les procès-verbaux de police sont-ils parole d’évangile ? », Délibérée, n° 6, février 2019.

6 Nel settembre 2018 il governo ha interrotto il normale svolgimento del processo di nomina del procuratore di Parigi e, nel giro di pochi giorni, ha chiesto la candidatura – finalmente trattenuta – di un magistrato che a quanto pare riteneva più vicino a lui rispetto ai professionisti fino ad allora presagiti. Interrogato nell’ottobre 2018 in merito a questo intervento dell’esecutivo, l’allora primo ministro, Édouard Philippe, ha affermato di “assumere pienamente” di nominare un pubblico ministero “perfettamente in linea”, con il quale sarebbe “perfettamente a suo agio”.

7 Soprannominato “polizia”, l’Ispettorato generale della polizia nazionale è il servizio ispettivo della polizia nazionale francese e della questura di Parigi; l’Ispezione Generale della Gendarmeria Nazionale è il suo equivalente per la Gendarmeria. Questi organismi non indipendenti sono autorizzati a condurre indagini amministrative e giudiziarie sulla condotta delle forze dell’ordine che possono costituire violazioni dell’etica e/o reati.

8 Simon Gouin et Alexandre Léchenet, « Pour quels faits et à quelles peines de prison, des centaines de Gilets jaunes ont-ils été condamnés ? », Bastamag, 3 avril 2019.

9 Istituito con decreto del 26 novembre 2011, il presente fascicolo “Trattamento relativo al monitoraggio dell’uso delle armi” aveva lo scopo di raccogliere e analizzare le informazioni relative alle condizioni e al contesto dell’uso delle armi da parte degli agenti di polizia Polizia di Stato. Concretamente, a volte non è informato e il più delle volte è compilato in modo incompleto e impreciso.

10 Secondo la circolare del 20 settembre 2016 sulla lotta ai reati commessi durante le manifestazioni e altri movimenti collettivi, i reati commessi durante le manifestazioni giustificano “una risposta immediata” e i fatti contro le forze dell’ordine devono essere oggetto di un “particolarmente fermo e sistematica risposta penale”. Per quanto riguarda la “gestione delle denunce contro le forze dell’ordine”, la circolare non richiede rapidità o fermezza, ma un’indagine approfondita e non considera nemmeno l’aspetto immediato, a differenza dei casi che coinvolgono manifestanti.

11 Ismaël Halissat et Fabien Leboucq, « Sanctions dans la police : les chiffres d’une impunité croissante », Libération, 21 janvier 2021.

Intervista svolta a Parigi il 13 gennaio 2021. Pubblicata sul numero 12 di Délibérée, marzo 2021.

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fonte: https://blogs.mediapart.fr/revue-deliberee/blog/140621/police-partout-justice-nulle-part

 

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