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A proposito dell’articolo di Repubblica sulle 5 brigatiste irriducibili .

Come faccio ormai da qualche anno a fine dicembre spedisco delle lettere di augurio per un anno migliore a compagne e compagni che si trovano in carcere. Quest’anno ho spedito otto lettere, sei a compagne recluse nel carcere di Latina, una a un compagno recluso a Teramo e l’ultima ad una compagna reclusa con il 41 bis nel carcere di L’Aquila .

Quindi per uno come me sensibile a queste tematiche mi ha molto infastidito l’articolo apparso su La Repubblica

Troppo facile giocare col sarcasmo sprezzante, troppo comodo schernire chi non può rispondere, né dire la propria. È il solito gioco sporco di quei giornalisti che deridono vite umane perché non si sono adeguate agli schemi meschini su cui i tanti imbrattacarte hanno ritagliato la propria misera esistenza servile alle volontà del potere.

Sul numero di Repubblica del 31 gennaio, due giornalisti, vogliosi di avviarsi in una carriera di arrampicatori, Massimo Lugli e Clemente Pistilli ci raccontano di 5 donne, brigatiste irriducibili, le definiscono, rinchiuse in una sezione di alta sicurezza nel carcere di Latina da oltre 30 anni. Inoltre nominano senza nessun motivo valido anche altre due detenute Anna Beniamino e Valentina Speziale, provenienti dalle file del terrorismo anarchico che sono nella stessa sezione di alta sicurezza

Ci sarebbero tante riflessioni da fare, sul perché della prigione, sulla logica punitiva che guida le azioni, per lo più vendicative, dello Stato di questo paese. Ci sarebbe da riflettere che lo fa in nome di tutti noi, infliggendo punizioni di una violenza inaudita come la sottrazione della libertà, nonostante la carta costitutiva della attuale repubblica imponga un obbligo: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità” (art. 27 della Costituzione). E nel trattamento di queste donne si potrebbe discutere molto quanto sia disumano il modo in cui vengono trattate.

Non solo vengono derise queste donne, senza cercare di conoscere né capire il loro portato ideale, ma l’insulto va oltre: «nonostante la stragrande maggioranza dei loro ex compagni, quelli che avevano imbracciato le armi come tanti altri di una generazione perduta, siano ormai liberi, tra pentiti, dissociati, graziati, collaboratori di giustizia».  Potrebbero informarsi, i signori giornalisti, leggere qualche libro, per sapere le attività, gli obiettivi e gli ideali di quella che definiscono “generazione perduta” che da tempo ha raccontato e analizzato i propri percorsi per far conoscere cosa voleva raggiungere e per cosa si batteva.

È vero, la gran parte dei quelle e quelli che attraversarono quei miseri luoghi senza vita né tempo che sono le galere, oggi sono liberi. Ma non perché siano pentiti o dissociati, o graziati o collaboratori di giustizia, questo è un falso. La gran parte ne è uscita con la schiena dritta e a testa alta, senza rinnegare il proprio percorso collettivo, senza dar nulla in cambio, da compagne e compagni, utilizzando le leggi esistenti. Certo, sono usciti dopo 30 anni, o giù di lì, trascorsi in quei luoghi disumani e hanno ripreso il loro posto nella conflittualità sociale che caratterizza la realtà attuale. Queste cinque compagne ritengono di non avvalersi di quelle leggi, hanno le loro ragioni. Se da giornalisti volete affrontare questi argomenti, bene, chiedete che sia data parola a queste prigioniere, a Susanna Berardi, a Maria Cappello, a Barbara Fabrizi, a Rossella Lupo e a Vincenza Vaccaro. I dirigenti delle carceri vi diranno che non è possibile che la parola è a loro negata, bene, allora dovete battervi per ottenere che sia data a queste cinque compagne la parola perché siano loro a raccontare le loro scelte, non voi per loro. Se non siete capaci di far questo, continuate a crogiolarvi nella vostra ignoranza, ma fatelo in silenzio.

Le compagne oramai sono in carcere da oltre 30 anni e devo dire con molto rammarico che anche il nostro silenzio è stato assordante. Ci sono compagne e compagne che in questi anni si stanno di nuovo mobilitando, hanno raccolto contributi per le compagne e i compagni in carcere (prigionieri politici) che hanno mandato a Latina, Terni (dove tra l’altro i compagni hanno comprato una stampante), a Nadia Lioce a L’Aquila (il vaglia è rimasto bloccato oltre un anno dal giudice di sorveglianza ma finalmente è arrivato),a Siano (ora i compagni di Siano sono tutti a Alessandria).

Ricordiamo anche che dei prigionieri tre sono in regime speciale di 41 bis. Nadia Lioce, Marco Mezzasalma e Roberto Morandi, con limitazioni, divieti… e ci sono alcune campagne a cui invito a partecipare come Pagine contro la tortura.

Alle compagne e ai compagni ricordo le cinque compagne citate dall’articolo di Repubblica :

Susanna Berardi in carcere dal  1982;

Maria Cappello  in carcere dal 1988;

Barbara Fabrizi  in carcere dal 1983;

Rossella Lupo  in carcere dal 1988 ;

Vincenza Vaccaro in carcere dal 1988 .

Potete scrivere alle compagne al seguente indirizzo: Casa Circondariale via Aspromonte 100 – 04100 Latina (LT)

07/02/2017      Antonello Tiddia

Comments ( 2 )

  • Gianfranco Colombo

    rispetto totale per il loro sacrificio.

  • pinojosi

    La colpa è di Ruffilli.

  • Luca

    Mi spiegate cosa c’è di eroico in tutto questo?

    I fatti
    Intorno alle 8:45 di sabato 14 febbraio, un portavalori scortato da un’Alfa Giulietta della polizia italiana, subì un assalto vicino all’ufficio postale di Via Prati di Papa: i 9 terroristi delle Brigate Rosse (Guerriglia metropolitana per il comunismo) erano a bordo di 2 automobili, tra cui un’altra Alfa Giulietta con finto lampeggiante.[3] Depositato il denaro (destinato al pagamento giornaliero) all’ufficio postale, il furgone e la scorta si diressero verso la fine della via (quasi all’incrocio con Via Borghesano Lucchese): nei pressi di una strettoia, i brigatisti aprirono il fuoco.[4] L’unità di polizia, composta di soli 3 agenti, rispose alla sparatoria: Rolando Lanari e Giuseppe Scraviglieri (di 26 e 23 anni, rispettivamente) morirono nel conflitto a fuoco, mentre Pasquale Parente (29 anni) rimase ferito. I brigatisti rubarono 1.000.000.000 e 150.000.000 di lire, sparando anche contro le abitazioni adiacenti per impaurire gli abitanti.[5]

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