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Processo d’appello pestaggio Paolo Scaroni

Martedì 30 ottobre riprende a Venezia il processo d’appello per il pestaggio di Paolo Scaroni, potrebbe essere emessa la sentenza. (la fermata del vaporetto per raggiungere il Tribunale è Rialto).
Sono trascorsi 13 anni dai fatti ma Paolo ancora non ha ottenuto giustizia.

I fatti:
Un giovane tifoso del Brescia massacrato a manganellate che finisce in coma. I medici lo danno per spacciato: se ce la farà a sopravvivere, dicono ai genitori, “sarà un vegetale”. Dopo più di un mese di buio, invece, il ragazzo si risveglia. Parla, anche se con molta fatica. E’ ancora intubato quando, alla fine del 2005, comincia a raccontare tutto a una poliziotta, che ha il coraggio di aprire un’inchiesta sui colleghi. La commissaria indaga in solitudine. Scopre verbali truccati. Testimonianze insabbiate. Filmati spariti. Poi altri poliziotti rompono l’omertà e sbugiardano le relazioni ufficiali di un dirigente della questura. Un giudice ordina di procedere. A processo finiscono otto celerini del reparto di Bologna. Una squadraccia, secondo l’accusa, capace non solo di usare “violenza immotivata e insensata su persone inermi”, ma anche di inquinare le prove fino a rovesciare le colpe “La mia storia è simile a quella di Federico Aldovrandi, Gabriele Sandri, Stefano Cucchi, Carlo Giuliani… La differenza è che io sono ancora vivo e posso parlare”. La vita del ragazzo senza memoria è cambiata il 24 settembre 2005. Paolo, allevatore di tori, fisico da atleta, è in trasferta a Verona con 800 tifosi. Il suo gruppo, Brescia 1911, è il più popolare e radicato. Hanno un loro codice: botte sì, ma solo a mani nude. “Niente coltelli, no droga”, scrivono sugli striscioni. In quei giorni si sentono scomodi: tifosi di provincia che protestano contro “i padroni del calcio-tv” e “le schedature”. Dopo la partita, i bresciani vengono scortati in stazione. E qui si scatena l’inferno: tre cariche della celere, violentissime. L’inchiesta ha identificato 32 tifosi feriti, quasi tutti colpiti alla schiena. Foto e video recuperati da “l’Espresso” mostrano, tra gli altri, una ragazza con il seno tumefatto e altri due giovani con trauma cranico e mani fratturate. Paolo ha la testa fracassata: salvato dagli amici, si rialza, vomita, sviene. Alle 19,45 entra in coma. L’ambulanza arriva con più di mezz’ora di ritardo. Secondo la relazione ufficiale firmata da F. M., dirigente della questura di Verona, la colpa è tutta dei tifosi. Il funzionario dichiara che gli ultras bresciani “occupavano il primo binario bloccando la testa del treno”, con la pretesa di “far rilasciare due arrestati”. Appena le divise si avvicinano, giura il pubblico ufficiale, “il fronte dei tifosi assalta i nostri reparti con cinghie, aste di ferro, calci, pugni e scagliando massi presi dai binari”. La celere li carica “solo per prevenire violenze sui viaggiatori”. Paolo non è neppure nominato: una riga nella penultima pagina del rapporto cita solo “un tifoso colto da malore a bordo del treno”. Chi lo ha picchiato? “Scontri con gli ultras veronesi”, è la prima versione, che crolla subito: la stazione era vuota, dentro c’erano solo i bresciani scortati dagli agenti. Quindi un celerino ne racconta un’altra: Paolo sarebbe stato ferito da “uno dei massi lanciati dagli ultras” suoi amici. Da quel giorno, per tre mesi, i tifosi di Brescia 1911 smettono di andare allo stadio: la domenica vanno a Verona in ospedale a tifare per Paolo. Che il 30 ottobre, quando ogni speranza sembra spenta, improvvisamente si risveglia durante un prelievo di sangue. In novembre la poliziotta Margherita T. riesce a interrogarlo. Mozziconi di frasi, che ricostruiscono il pestaggio: “Erano almeno quattro celerini, con i caschi. Mi urlavano: bastardo. Picchiavano con i manganelli impugnati al contrario per farmi più male”. E non volevano solo immobilizzarlo: i referti medici confermano che Paolo è stato colpito “sempre e solo alla testa”. La poliziotta interroga il personale del treno. E scopre che la storia dei binari occupati dagli ultras era una balla. “I tifosi erano assolutamente tranquilli, noi eravamo pronti a partire: non ho visto nessun atto di violenza, provocazione o lancio di oggetti”, dichiarano i macchinisti. Ma chi ha scatenato il caos? Quattro agenti della polizia ferroviaria testimoniano che “i disordini sono cominciati solo quando la celere ha lanciato lacrimogeni dentro uno scompartimento dove c’erano tante donne e bambini piangenti”. Particolare importante: “Prima non avevamo visto nulla che giustificasse il lancio del gas”. Solo allora “un centinaio di tifosi, arrabbiati e lacrimanti, ci hanno minacciato, chiedendoci come fosse possibile lanciare lacrimogeni su un treno con bambini”. Ma subito, dicono gli stessi agenti, “i capi ultras si sono messi in mezzo, facendo da pacieri, per calmare gli altri tifosi dicendo che noi della Polfer non c’entravamo”. In quel momento la celere carica l’intera tifoseria. Seguono 30 minuti di macelleria da Stato di polizia. La verità dei fatti è confermata anche dai funzionari presenti della Digos di Brescia, che la stessa notte cominciano a raccogliere testimonianze e referti dei tifosi feriti. Quindi la poliziotta di Verona scopre che i filmati dei suoi colleghi, che in teoria dovrebbero aver ripreso tutti gli scontri, si interrompono proprio nei minuti in cui Paolo è stato massacrato. Peggio: nella versione consegnata ai magistrati è stato tagliato il commento finale di due agenti. “Adesso il questore ci incarna…”. “Ascolta, tu prova a guardare subito le immagini di quando il…”. Fine del filmato della polizia.

Iter giudiziario
Processo di primo grado: nel gennaio 2013 gli otto agenti di polizia del reparto celere di Bologna Luca Iodice, Antonio Tota, Massimo Coppola, Michele Granieri, Bartolomeo Nemolato, Ivano Pangione, Giuseppe Valente e Leonardo Barbierato imputati per il reato di lesioni gravissime nei confronti di Paolo vengono assolti dal tribunale di Verona per insufficienza di prove. Nelle motivazioni della sentenza di primo grado pronunciata dal tribunale di Verona si legge chiaramente che a pestare Paolo furono sicuramente i poliziotti che durante una discussione tra i tifosi e i dirigenti della questura di Verona “divampa sul lato destro di quello schieramento (guardando le riprese) una carica violenta e improvvisa, con l’uso anche di manganelli da parte delle forze dell’ordine. Il fatto certo, però, è che il ricorso all’uso della forza attuato con quella prima carica non è ordinato, né autorizzato dal responsabile dell’ordine pubblico presente sui luoghi, che, anzi, si vede nei filmati prodigarsi, in gran parte inutilmente, per fermare quell’improvvisa esplosione violenta, tanto da urlare, ad un certo punto, “basta basta”.Ma quel che fa realmente precipitare gli eventi è che non solo avviene questa estemporanea e non autorizzata azione di forza, ma che in quel frangente vengono anche lanciati alcuni lacrimogeni, con una scelta del tutto dissennata e totalmente controproducente rispetto all’obiettivo di tutela dell’ordine pubblico, perché da quell’evento consegue il precipitare della situazione in un assoluto disordine pubblico, tanto che, purtroppo, è stato necessario constatare come le forze dell’ordine siano diventate esse stesse un fattore di disordine. Si legge ancora “si deve concludere che la cattiva gestione dell’ordine pubblico è divenuta concausa scatenante di un effettivo problema di ordine pubblico, nel quale si è innestato il fatto gravissimo costituito dal pestaggio gratuito e del tutto ultroneo ed immotivato rispetto alle esigenze di uso legittimo della forza, di un giovane, con danni gravissimi allo stesso. Un pestaggio, che, per di più, come si vedrà meglio è avvenuto anche con un uso del manganello espressamente vietato dal manuale diramato dal Ministero dell’interno nel quale, proprio nell’ambito del paragrafo dedicato all’uso dello sfollagente, si legge:“…quando lo si impugna, si applica il cinturino al dito pollice destro o sinistro, fasciando il dorso della mano…Qualsiasi altra impugnatura oltre a compromettere l’efficace controllo dell’arma determina modalità d’impiego censurabili”. Per quanto riguarda i filmati si legge che “Il Collegio ha ritenuto inoltre di inviare agli atti alla procura ritenendo che sia necessario approfondire l’ipotesi che i filmati consegnati alla Procura siano stati manipolati. Con ciò non è si inteso affermare con certezza che i filmati riprendessero proprio il momento in cui Scaroni viene aggredito, anzi, è da escluderlo se si considera che, come si è detto, quell’aggressione avviene in un momento in cui la situazione è complessivamente tranquilla. Tuttavia, è un dato sintomatico estremamente serio e grave che in tutte le riprese video acquisite ci sia un buco nelle registrazioni che copre esattamente il lasso di tempo in cui si colloca la cd seconda carica. Precisamente in tutte le riprese-video consegnate, tutte incentrate sugli accadimenti avvenuti in stazione, risulta un’interruzione (seppure con orari leggermente discrepanti), che va dalle 19.26 alle 20.08 e copre, quindi, dal punto di vista cronologico l’intera sequenza della seconda carica ed esattamente il momento in cui si colloca anche l’aggressione a Scaroni. L’impressione, quindi, è che si sia inteso far perdere le tracce di un momento dello scontro tra forze dell’ordine e tifosi in cui è ancor più gravemente degenerato l’intervento d’ordine, con il mero esercizio, irregolare, confuso e illegittimo, della forza, anche da parte del personale di polizia.

Processo civile: In sede civile viene riconosciuto a Paolo un risarcimento di 1.400.000 € per il pestaggio subito e le gravi conseguenze di cui Paolo porterà i segni per sempre, nessuna cifra potrà restituire a Paolo la vita che gli è stata tolta, nessun muro d’impunità è stato scalfito ad oggi, purtroppo.

Martedì 30 ottobre tutti insieme possiamo iniziare ad abbattere quel muro.

Uniti per Paolo e perché non accada mai più!
Supportiamo, diffondiamo, partecipiamo!

Associazione Stefano Cucchi – Onlus

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