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I primi della lista. Lo scandalo delle schedature politiche in Germania

A poche settimane dale elezioni, un nuovo scandalo denuncia la torsione autoritaria dello Stato tedesco. Migliaia di giornalisti sono schedati per motivi politici nei database della polizia.

Anche se quasi nessuno se ne è accorto, la Germania, la locomotiva d’Europa, è nel bel mezzo di una campagna elettorale di cruciale importanza, sia per i destini dei tedeschi che per quelli dell’intero spazio europeo. Il dibattito pubblico è difatti forzatamente smorzato fino a risultare soporifero e si fa fatica a capire anche soltanto i programmi elettorali dei maggiori partiti. Tuttavia, immersi in questa noia (pericolosa e voluta), nelle ultime settimane stanno emergendo fatti e vicende molto gravi, che riguardano il rapporto delle autorità tedesche con il dissenso interno. Dopo la rivolta di Amburgo durante i giorni del G20 sembra in atto una torsione repressiva, fondata su una sensibile limitazione dei diritti fondamentali garantiti dalla carta costituzionale tedesca: il portale di movimento indymedia.linksunten è stato oscurato, si susseguono perquisizioni e provocazioni da parte delle autorità di polizia, si propongono leggi speciali contro la sinistra radicale, spesso apertamente equiparata all’estremismo di destra. E, infine, i primi processi ai militanti fermati e arrestati ad Amburgo, si stanno risolvendo in pene esagerate, esemplari e punitivi, veri e propri atti intimidatori.

Un altro tassello, forse ancora più importante, si è aggiunto quasi per caso nei giorni scorsi. Ad alcuni giornalisti era stato revocato l’accredito stampa per le giornate di Amburgo, limitando in maniera palese la libertà di stampa. Dopo alcune inchieste è emerso come queste revoche fossero dovute all’iscrizione dei giornalisti in questione in banche dati delle autorità di polizia e dei servizi segreti. Registrazioni spesso viziate da errori di forma e di sostanza e dalla fondamentale volontà di schedare quelli che vengono descritti come cirminali politici, senza condanne rilevanti, talvolta senza nemmeno denunce.

Riportiamo di seguito la traduzione di un ampio stralcio di un articolo di Marcus Reuteruscito da poco in Germania sul sito netzpolitik.

Scandalo sui Data per la polizia: si ipotizzano decine di migliaia di persone schedate a loro insaputa

Nel solco dello scandalo del ritiro di 32 accrediti stampa in occasione del G20 di Amburgo, emerge adesso che probabilmente decine di migliaia di persone sono inserite nelle banche dati del Ufficio criminale federale (Bundeskriminalamt, BKA), delle polizie dei Länder e dei servizi segreti. Dei giornalisti interessati, nel frattempo 23 sono stati informati dei motivi di questo massiccio intervento contro la libertà di stampa. Già adesso è chiaro che nel ritiro dell’accredito sono stati commessi errori e valutazioni sbagliate. Oltre a uno scambio di nomi, il motivo per la limitazione della libertà di stampa sono state registrazioni – in parte di vecchia data – nelle banche date della polizia e dei servizi. I casi di cinque dei giornalisti interessati mostrano quanto siano problematici questi database e quanto facilmente si possa finire nel mirino (politico) delle autorità. Se come minimo in 5 dei 23 casi sono contenuti errori vistosi, potrebbero esserci in Germania decine di migliaia le persone colpite da una stigmatizzazione attraverso la registrazione nei database della polizia.

Il reporter e videogironalista Frank Bründel è stato escluso dalla corrispondenza stampa sul G20 perché i servizi segreti di Amburgo dopo un controllo personale a margine di una manifestazione hanno associato l’uomo a “movimenti violenti”.

Il fotografo berlinese Florian Boillot è finito nelle categorie “violento di sinistra” e “criminalità politicamente motivata” perché essendo stato spinto da una poliziotta durante il suo lavoro, aveva annunciato una denuncia contro il comandante dell’unità operativa responsabile. Successivamente la poliziotta lo ha denunciato per resistenza. Durante il processo è emerso che il fotografo si era comportato in maniera totalmente conforme alla legge: il tribunale lo ha assolto. Tuttavia, il giornalista rimane iscritto nella banca dati sebbene ciò sia illegale. Con tutte le conseguenze del caso.

Il fotografo dello Spiegel, Chris Grodotzki, aveva partecipato da giovane ad azioni non violente dell’organizzazione ambientalista Robin Wood. Nel 2008 fu processato per violazione di domicilio e condannato alla minor pena possibile. Dal 2012 Grodotzki lavora come giornalista. In quanto tale, realizza fotografie anche durante azioni politiche. Accertamenti d’identità durante il suo lavoro hanno portato, nonostante l’invio chiarificatore della tessera da giornalista, alla sua registrazione nella categoria “criminalità politicamente motivata”.

Il fotografo Björn Kietzmann ha la fedina penale pulita, ma nelle banche dati politiche è citato 18 volte: in un caso perché in quanto fotografo si trovava vicino a un petardo ed era stato accusato erroneamente dalla polizia. Anche alle altre registrazioni non hanno fatto seguito condanne. L’unica sentenza contro Kietzmann risale al 2003. A causa della partecipazione a una protesta studentesca pacifica è stato condannato a 320 euro di multa per una violazione della legge sulle assemblee. Una piccolezza che il BKA vuole conservare nei suoi registri fino al 2021.

Anche il giornalista online Alfred Denzinger è nel database. Era stato denunciato per offese da un estremista di destra. Questi ha in seguito lasciato cadere la denuncia, nella banca dati del BKA la registrazione è invece rimasta. In un’altra circostanza, il giornalista ha fotografato dei poliziotti e per questa ragione viene controllato. Sebbene non si sia mai arrivati a denunce, il fatto rimane ancora nella banca dati.

Già dai casi succitati dei giornalisti del G20 emergono problemi fondamentali riguardo le banche dati della polizia e dei servizi: classificazione sbagliata nel database (Bründel), mancate cancellazioni (Bboillot), registrazione a causa di piccolezze e nonnulla (Grodotzki, Kietzmann), registrazione di accuse dimostratesi false (Kietzmann) o di denunce ritirate (Denzinger).

Parliamo qui di giornalisti a cui sono capitate cose del genere. Sono solo la punta dell’iceberg. È da ritenere che decine di migliaia di altre persone in Germania siano state inserite nelle banche dati della polizia a causa di errori o motivi marginali, senza condanne di un tribunale o per la mancata cancellazione di vecchie registrazioni. La maggior parte di queste non possono neanche saperne niente, dal momento che non sussiste l’obbligo di comunicazione se qualcuno viene immesso in uno di questi database.

Secondo quanto detto dal ministero degli interni a tagesschau.de, solamente nella categoria “sicurezza interna” sono registrate 109.625 persone e 1.153.351 fascicoli su crimini.

Questa cifra è di 27 volte maggiore rispetto ai 41.549 crimini politicamente motivati che secondo le statistiche sono stati commessi nel 2016.

Quando l’allora garante federale della privacy Peter Schaar nel 2012 esaminò da vicino la banca dati dei “crimini politici di sinistra”, il BKA dovette poi cancellare il 90% delle registrazioni. Di 3819, ne riimasero solo 331 che non erano state immesse illegittimamente.

È chiaro dunque che queste vicende riguardano potenzialmente una grande massa di persone, che potrebbero essere state schedate dalle autorità tedesche senza alcun motivo valido e quindi in maniera illegittima. Non solo. Il discorso si estende, ad esempio, anche al mondo degli ultras (11.000 registrazioni in questa categoria). Inoltre, anche per vicende legate al possesso di cannabis, che per piccole quantità in Germania non prevede l’obbligatorietà del procedimento giudiziario, è probabile che i dati di decine di migliaia di persone siano conservati illegalmente in queste banche dati.

Questo scandalo mette in luce una volta di più come la Germania in questa campagna elettorale sia segnata da un deficit di democrazia. Attraverso il dispositivo dello stato di emergenza, si giustifica una violazione sistematica dei diritti fondamentali costituzionali che, nel contesto di un dibattito soporifero, rischia di imporsi nel silenzio generale. Tale approccio si è certamente inasprito dopo Amburgo, ma, come le vicende qui raccontate dimostrano, è profondamente radicato nel DNA dello Stato tedesco, fino a diventare un sistema, una strategia, attraverso cui il dissenso può essere costantemente monitorato e represso. È quindi necessario tenere gli occhi aperti e continuare a controllare questa situazione che da deficit sta rapidamente tramutandosi in un’emergenza.

Giorgio Del Vecchio

da DinamoPress

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