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I porci senza la ali del calcio inglese

Il football in Inghilterra è una cosa seria. Per questo i tifosi di Charlton Athletic e Coventry City fanno piovere in campo maialini rosa contro le banche d’affari e gli speculatori dei fondi finanziari che hanno affossato i due storici club

«Quando verremo liberati da questo schifo, i maiali voleranno». È il coro congiunto delle tifoserie di Charlton Athletic e Coventry City, due storici club del calcio inglese miseramente decaduti in questi anni in League One, che si sono sfidati lo scorso weekend sul palcoscenico londinese dello stadio The Valley.

I rispettivi tifosi hanno condiviso una marcia di protesta e un’iniziativa congiunta che strizza l’occhio ai moderni flash mob ed è destinata a rimanere nella storia delle manifestazioni di dissenso popolare: far volare i maiali. Dove? In campo, subito dopo il fischio d’inizio del match tra gli Addicks di Greenwich e gli Sky Blues. Dopo pochi secondi dall’avvio della gara, una moltitudine di pupazzetti di suino rosa acceso è piovuta in campo da ogni settore: dalla tifoseria locale a quella ospite, passando per le due tribune, tanto che è stata necessaria la sospensione del match per oltre sei minuti.

Sia quelli del Charlton che quelli del Coventry lo hanno fatto per protestare, con un gesto più unico che raro, contro le rispettive dirigenze, accusate di non volere il bene del club ma solo speculare sul loro potenziale valore.

Ma facciamo ordine. I diritti milionari venduti dalla Premier League al mondo intero, consegnano ai mass media un’informazioni da “replicanti”. In realtà basta grattare senza particolari sforzi la superficie per capire che il calcio d’Albione sta pian piano marcendo al suo interno. Non si parla di come viene confezionato e offerto il «prodotto calcio»: nel marketing e nell’entertainment, gli inglesi sono secondi solo agli americani. Vivere una qualsiasi partita, di qualsiasi livello competitivo Oltremanica, vuol dire assistere a uno show fatto di impianti avvolgenti, ritualità, simbologia, tradizione, colori, spettacoli, birra e fast food. La partita in sé passa quasi in secondo piano.

No, non è questo di cui si parla. È qualcosa che ha maggiormente a che fare con lo scandalo Allardyce, che – attraverso una brillante inchiesta giornalistica del Telegraph – ha involontariamente reso noto come l’ex ct dei Tre Leoni fosse in grado di aggirare la legge del calciomercato britannico che proibisce a terze parti di guadagnare (oltre a club di appartenenza e procuratore) e speculare sul cartellino di un giocatore.

La «speculazione» della protesta londinese di sabato scorso si riferisce a quei fondi monetari, per l’appunto «speculativi», in molti casi misteriosi, che a un certo punto rilevano e gestiscono società senza dare particolari punti di riferimento, impoverendo i club in questione dal punto di vista dei rapporti umani e, spesso, a livello di risultati. Dato che sono caratterizzati da una pessima gestione, fatta di personaggi inadeguati che dirottano le loro mire finanziarie sul calcio, una materia che non conoscono affatto.

È una cosa che, da queste parti, esiste da una decina d’anni: nel 2007, il fondo «Sisu» rilevò il Coventry, 20 anni prima trionfatore in Coppa d’Inghilterra. Provate a fare una ricerca, per capire di chi si parla esattamente: sarà totalmente improduttiva. Si sa, però, che è stato creato da Joy Victoria Seppala, donna d’affari statunitense ma di origine finlandese e che si tratta di «una banca di affari» specializzata in ristrutturazioni di debiti, fiscalmente domiciliata alle Isole Cayman (!) e finanziata da investitori anonimi.

Proprio dalla lingua suomi deriva la parola «Sisu», espressione intraducibile che identifica un mix di forza di volontà, determinazione, perseveranza e razionalità. Ma, ovviamente, quando – al lancio dei maialini di plastica – i tifosi Sky Blues urlavano a gran voce «We want Sisu out», non si riferivano a tutte quelle belle accezioni, ma a un gruppo dirigenziale che si è rivelato una vera e proprio calamità per uno dei club più antichi d’Inghilterra: volevano riportare la squadra in Premier e, invece, dopo il loro arrivo, subito una retrocessione in terza serie, 7 manager cambiati, 14 i direttori amministrativi alternatisi, 61 milioni di sterline di debito trasformate in azioni, un’amministrazione controllata in cui il fondo Sisu è entrato dopo non aver pagato al Comune di Coventry 600mila sterline dello stadio, la Ricoh Arena, che due anni fa la squadra è stata costretta ad abbandonare per giocare al «Sixfields» di Northampton, a circa 50 chilometri di distanza.

Il rientro a casa è avvenuto ma il mare resta in burrasca: lo testimonia il crollo della attendance, passata in nove anni da una media di 19.123 spettatori a partita a 8.813. In questi giorni, la squadra rischia di non avere più neanche il suo campo per gli allenamenti, sul quale in cui si vorrebbero innalzare blocchi di appartamenti.

Attualmente il club, che con la vicinissima (anzi, adiacente) Leicester – ancora ubriaca di gioia per il «miracolo Ranieri» – condivide il derby della Mit, oltreché la passione parallela per il rugby, è al penultimo posto della League One.

Sabato pomeriggio, quindi, nel settore ospiti del The Valley volavano maiali e si urlava «We want Sisu out!», in quello riservato ai locali invece, oltre a volare maiali, si rispondeva «We want Roland out», riferito al proprietario Roland Duchâtelet, politico e affarista belga che un giorno ha pensato bene di diventare presidente di più club in Europa: in Belgio dello Standard Liegi, “mollato” nel 2015 per rilevare il Sint-Truiden; in Ungheria l’Újpest di Budapest; in Spagna l’Alcorcón; in Inghilterra, appunto, il glorioso Charlton Athletic, vincitore di una Fa Cup nel 1947. Facile immaginare una politica basata sulle plusvalenze, sul potere di mercato coi giocatori spostati da un club all’altro.

Ad ogni modo, anche qui, nel south-east londinese, la volontà di riportare la squadra in Premier per «innalzare il suo valore di mercato e rivendere il club a caro prezzo per riempirsi le tasche», spiegano i vertici del Card, il Committee Against Roland Duchâtelet, che ad ogni partita mandano un uomo a distribuire volantini e organizzano una vera e propria attività parallela, stampando e vendendo «maglie all’antica» e match-programme riscritti: «Ci hanno cancellato l’identità (e questo, in generale, gli inglesi non lo accettano, ndr), hanno ucciso il nostro Charlton e noi combatteremo finché non tornerà in vita, ovvero nostro».

Un paio di mesi fa, un tifoso particolarmente esagitato fu minacciato dalla società (rappresentata dalla giovane donna di fiducia di Duchâtelet, Katrien Meire) di essere privato dell’abbonamento. Il supporter si calmò ma il cielo si aprì a fulmini e saette. Bandiere nordcoreane cominciarono a sventolare al The Valley, come anche sabato pomeriggio, in cui – all’esposizione del vessillo dello stato dittatoriale – un tifoso biancorosso è stato sbattuto contro un muro da due guardie della sicurezza.

Ecco dunque a cosa portano i fondi speculativi applicati al pallone. In Italia crediamo siano la salvezza del calcio italiano (leggi Pisa, Milan e Inter): siamo sicuri di voler intraprendere questa strada?

Stefano Fonsato da il manifesto

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