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Piacenza: «Mi picchiarono forte, poi mi dissero: spaccia per noi»

Parla Israel Anyanku, primo arresto illegale dei carabinieri di Piacenza. Ora è in Puglia a raccogliere i pomodori, il 24enne nigeriano che ancora soffre per le violenze subite

piacenza

«È a raccogliere i pomodori, in Puglia, a Foggia». Trovare Israel Anyanku è come trovare un ago nel pagliaio dello sfruttamento italiano. Lo troviamo, invisibile tra gli invisibili, grazie all’aiuto della comunità nigeriana di Piacenza e grazie a un nigeriano sposato con una piacentina che lo conosce, e ci dice che può trovarci il numero. Israel è la prima vittima dei quattro arresti illegali compiuti dai carabinieri della stazione Levante di Piacenza, finiti nell’inchiesta Odysseus che ha decapitato l’Arma in questa terra di confine sulla via Emilia. Secondo l’inchiesta della Guardia di Finanza coordinata dalla procuratrice di Piacenza, Grazia Pradella, torture, traffico di droga, documenti falsi, peculato, omissioni ed estorsione sono alcuni dei reati di cui si sono macchiati i carabinieri della Levante, capeggiati dall’appuntato Giuseppe Montella. Tutti si sono dichiarati estranei. Alcuni si sono avvalsi della facoltà di non rispondere davanti al Gip Luca Milani e subito dopo hanno fatto mettere a verbale, nel corso dell’interrogatorio di garanzia, «dichiarazioni spontanee». Altri, come Montella e Falanga, hanno risposto alle domande del Gip e hanno negato di aver picchiato quello che loro chiamano più volte in modo dispregiativo «negro» nelle intercettazioni, violenze messe in pratica in concorso tra Montella, Salvatore Cappellano, Daniele Esposito e Giacomo Falanga. «È scivolato mentre correva», hanno detto all’uscita del carcere di Piacenza gli avvocati di Falanga, Daniele Mancini e Paolo Molaschi del Foro di Lodi, al termine dell’interrogatorio.

Quella che racconta Israel, che non è mai stato ascoltato dagli inquirenti, è un’altra storia. Dice di esser stato picchiato brutalmente. E di aver rifiutato la proposta di Montella di spacciare per lui. Riusciamo a verificare l’identità del 24enne nigeriano via telefono. Israel parla solo inglese.

Israel Anyanku

Quando sei arrivato a Piacenza e quando te ne sei andato?

Sono arrivato a Piacenza a dicembre 2019. Ero venuto a trovare un mio compaesano che era disposto a ospitarmi, poi sono rimasto bloccato lì per il virus. Sono partito per la Puglia a lavorare in giugno. Qui lavoro nei campi, raccolgo i pomodori.

Ti ricordi cosa è successo il 27 marzo, quando ti hanno arrestato i carabinieri della Levante?

Sì, mi ricordo, quel giorno ero in via Colombo, io abitavo lì. C’era il lockdown e quel giorno stavo andando dal fruttivendolo. Sono sceso e mi sono reso conto di non avere la mascherina, ma mi sono detto che facevo presto e tornavo a casa. Ad un tratto, un uomo mi ha chiamato dall’altra parte della strada. Siccome ero senza mascherina, non ho risposto, mi sono girato e volevo andare verso casa. Poi quell’uomo insieme ad altri ha incominciato inseguirmi, e io sono corso via.

Erano carabinieri della Levante. Indossavano l’uniforme? Quanti erano?

No, nessuna uniforme. Erano in due o tre, forse quattro, non lo so perché mi hanno preso e incominciato a picchiarmi forte con le mani. Sono caduto a terra e mi hanno picchiato forte, ancora. Mi hanno chiesto “cosa hai in tasca?” e io ho risposto “niente, controlla pure”. E loro mi hanno picchiato. Eravamo in via Colombo, mi hanno picchiato in faccia cosi tanto che usciva moltissimo sangue. Mi hanno dato dei fazzoletti e non riuscivamo a fermare il sangue, ho cercato anche di lavarmi la faccia e continuava uscire sangue dal naso. They hit me, hit me (loro mi colpivano, mi colpivano, ripete, ndr).

Ti hanno detto perché ti fermavano?

Gliel’ho chiesto: “Cosa ho fatto?” E in quel momento uno mi ha detto che erano carabinieri. Ho chiesto ancora: “Cosa ho fatto?”. Mi hanno messo le manette, non mi reggevo in piedi, mi hanno portato in caserma (dice «carried in harms», portato in braccio, ndr) e mentre mi portavano in Caserma mi continuavano a dire: “ti vogliamo aiutare”. E io ho rispondevo aiutarmi perché? Io vengo con voi ma non ho bisogno di aiuto, non ti conosco e non ho fatto niente.

Una volta in caserma, ti hanno picchiato ancora?

Sì, mi hanno fatto cadere con le manette, mi hanno spinto. In ufficio dei carabinieri mi hanno chiesto se vendo droga e io ho risposto che non vendo droga, fumo (intende marijuana, ndr), ma non mi drogo. Gli ho detto di controllare in casa: non ho droga, niente. Poi hanno controllato in casa e non hanno trovato niente. Ho detto io che abito in via Colombo, mi hanno portato a casa e il sangue usciva ancora dal naso, hanno perquisito casa e non hanno trovato niente. Loro continuavano a dirmi “Israel ti aiutiamo”, e io rispondevo “aiutarmi con cosa?!”. Ero molto infastidito: non ho fatto niente, avete perquisito casa, non mi drogo, fumo e basta, hanno controllato tutto, poi mi hanno riportato in caserma.

Mentre dicevano di volerti aiutare, ti hanno anche chiesto se volevi vendere droga per loro, o cose simili?

Sì, hanno detto che se io lavoro con loro nella droga mi possono aiutare. Io ancora ho risposto “aiutare con che?”. Non abito neanche a Piacenza, ero di passaggio a visitare un amico poi c’è stato il lockdown, ero rimasto a Piacenza per quel motivo. Io ho detto che non lavorerò con loro e non vendo droga, e mi hanno incominciato a picchiare di nuovo. Gli ho detto: “non è giusto, non mi puoi forzare a fare una cosa che non voglio fare”.

Stavi male, perdevi sangue, giusto? Ti hanno fatto vedere da un dottore?

Sì, perdevo sangue ma non mi hanno permesso di vedere un dottore. Io ho chiesto di parlare con il mio avvocato ma non me lo hanno consentito. Quando ho rifiutato di lavorare per loro hanno detto: “Ok, chiama qualcuno per firmare e ti rilasciamo”.

La polizia o i giudici ti hanno parlato, dopo tutto questo?

No, ho parlato solo con quelli dell’immigrazione.

Come hai saputo che i poliziotti sono stati arrestati?

Quando mi hanno picchiato in via Colombo mi hanno detto che erano carabinieri, ho chiesto di farmi vedere una carta, mi hanno fatto vedere il distintivo e alla televisione li ho riconosciuti.

Se avessi questi carabinieri davanti a te, adesso, cosa gli diresti?

Direi quello che ti ho detto adesso. Non ho fatto niente, non ho niente contro di loro, loro non hanno niente contro di me e mi hanno picchiato. So che il mio Dio li giudicherà, so Dio li sta giudicando, io pregherò. Sono innocente e non mi possono fare quello che hanno fatto, il mio Dio li sta giudicando e sono stati beccati per questo.

Gli avvocati dei carabinieri hanno detto che sei caduto, che non ti hanno picchiato.

Sono caduto quando mi hanno fatto cadere, mi stavano picchiando in caserma, in strada.

Come ti senti dopo questo fatto?

Non bene, non sono più “ok”, il petto mi fa ancora male, da quando mi hanno picchiato ho problemi a respirare.

LA DINAMICA DEI FATTI come raccontata da Israel pare essere confermata anche da un testimone, Moustapha, fruttivendolo di via Cristoforo Colombo. Ascoltato dal manifesto, l’esercente dice di aver visto tutta la scena. «Conosco quel ragazzo (Israel, ndr), veniva sempre, ora non lo vedo più. Un ragazzo povero, educato, comprava due mele, due banane, aveva sempre spicci. Quel giorno – ricorda Moustapha – ero qui fuori dal negozio a fumare. L’ho visto uscire dal portone, poi dopo poco l’ho visto scappare rincorso da tre o quattro persone, vestiti normali. Ha rubato, ha rubato». Ripete Moustapha come unica spiegazione di quel “blitz”. «Lo hanno raggiunto là (indica l’hotel Euro, in via Colombo 29 F, ndr). Ci sono state botte. Poi sono arrivati i carabinieri. Deve aver rubato qualcosa, era povero, due mele, due banane, non aveva mai soldi di carta». Carabinieri erano anche i tre/quattro che rincorrevano Israel. Ma qui e ora, dalla prospettiva di via Colombo, Piacenza, anno 2020, la divisione tra “buoni” e “cattivi” sembra essere del tutto sfumata.

Mattia Motta
da il manifesto

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