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Pacchetto e contropacchetto:Il pacchetto sicurezza perché fa male alla Costituzione e alla giustizia

La questione del pacchetto sicurezza, ormai da oltre un mese, non manca di suscitare le uscite più violente da parte di politici, opinion maker e gruppi di pressione vari. Non c’è giornata che non si prenda spunto da singoli episodi, in realtà statisticamente poco significativi, per concludere con lapidari giudizi, ora sull’operato dei giudici di sorveglianza, ora sull’impianto di quelle leggi interne all’ordinamento penitenziario che tentavano di dare risposta alla richiesta di adeguamento dei codici, in larga parte originati dalla dittatura fascista, ai principi sanciti nella nostra Costituzione. Non serve elencare qui l’insieme un po’ goffo di misure accorpate in questo “pacchetto” sicurezza, dalla reintroduzione dei reati dei viandanti, sarà dura rivedere in giro madonnari o artisti di strada, alla sospensione dei diritti costituzionali per i cittadini comunitari e a intere categorie di indagati, cioè sospensione dei diritti e delle garanzie per tutti noi. Vorremmo cercare di evidenziare il senso di questo impazzimento della politica, qualcosa che forse risulta evidente in queste ore più che altro a chi si trova quotidianamente a contatto con la dura realtà del carcere e dell’emarginazione sociale: le associazioni che finora inascoltate hanno tentato di porre qualche spunto di pacata riflessione sulle conseguenze di un simile operare. E certo c’è dell’irresponsabilità nel propagandare a gran voce posizioni e proposte che, se approvate, trasformerebbero il nostro Paese in qualcosa di molto più simile ad un regime che non ad una democrazia; qualcosa che certo non può trovare né il consenso né la complicità di chi continua a ritenersi e ad essere di sinistra, né l’approvazione di chi ha a cuore le sorti della democrazia.Il pacchetto sicurezza , salvo modifiche dell’ultim’ora, si proporrebbe anche di equiparare nuove categorie di detenuti in relazione all’esclusione dalle misure alternative già in vigore per determinati reati, introducendo la novità della custodia cautelare in carcere obbligatoria. Verrebbero introdotte delle complesse commissioni composte da più giudici col compito di decidere sullo specifico di ogni richiesta di attenuazione del regime detentivo (i domiciliari per esempio), ed è facile immaginare quale intasamento e impossibilità di ottenere parere favorevole per le inevitabili lungaggini burocratiche ed organizzative. Tra rinvii e disaccordi ancora non è chiara quale sarà la versione definitiva, e ancora meno cosa si intende per processo “immediato” nei casi di reati di “pericolosità sociale”: non è chiaro se si parla di riti di tipo ordinario o meno. Il risultato immediato più dirompente sarà con certezza l’aumento vertiginoso della popolazione detenuta, quale risposta repressiva alla crescente insicurezza e precarietà sociale. Una spada di damocle sulla testa del conflitto sociale. Ma come interpretare la fraseologia gretta, a tratti spietata, la dose di ignoranza e superficialità così in voga tra avveduti leaders di ambedue gli schieramenti? Quale considerazione può spingere un uomo di indole “bonaria” come il ministro Mastella ad abbandonarsi a frasi del tipo “non metteremo fuori più nessuno”, pena anticipata (che vuol dire prima di una condanna o di una possibile assoluzione!), annunciando che dai provvedimenti allo studio per il prossimo consiglio dei ministri vi sono misure “che lasceranno un po’ stupefatti gli avvocati”, e cose del genere. Come fanno autorevoli esponenti dell’UDC (il partito di Cuffaro, recentemente rinviato a giudizio per concorso in associazione mafiosa) a chiedere la modifica in senso ancora più restrittivo dei brandelli che rimangono della legge Gozzini, quando già oggi migliaia di detenuti avrebbero le carte in regola per accedere a permessi e misure alternative e tuttavia non li ottengono per lungaggini burocratiche, ritardi dell’amministrazione, diritti negati all’interno del carcere. Quante tragedie umane si consumano nel silenzio. In realtà gli addetti ai lavori sanno benissimo che le misure alternative non sono in alcun modo responsabili di una recrudescenza criminale, la recidiva è enormemente più bassa che per quei detenuti cui le misure alternative sono state negate. I governanti sanno bene, ma fingono di non sapere, che loro stessi e in più occasioni, l’ultima volta nel dicembre del 2002, hanno messo mano al codice penale e di procedura, all’ordinamento penitenziario e via dicendo per aumentare le pene e per escludere determinate categorie di detenuti, raggruppati in discutibili classificazioni, dalle misure alternative previste in applicazione dell’art. 27 della Costituzione circa la finalità della pena. E da nessuna parte è scritto che pena sia sinonimo di galera. Questo stava scritto tra l’altro nel programma elettorale dell’Unione, questo è scritto nella Costituzione italiana. Con l’art.4bis dell’ordinamento penitenziario già oggi sono esclusi dalle misure alternative previste dalla legge Simeone e Gozzini la quasi totalità dei detenuti condannati per reati di natura associativa; l’elenco di tali esclusioni è stato aggiornato cinque anni fa con ulteriori restrizioni inserite nella legge n°279 del dicembre 2002 comprendendo tutti i reati di natura eversiva, anche nella assenza di responsabilità concrete in atti di qualsivoglia natura (parliamo cioè di idee). In pratica, sarà forse per una svista, si salvano solo i politici accusati di concorso esterno in associazione mafiosa! Le violazioni costituzionali e le illegalità riservate dal regime carcerario ai detenuti raggruppati per tipologia di reato nei reparti 41bis o EIV hanno fatto tristemente scuola, così alcuni discussi articoli del codice penale fascista mai riformato. Eppure i reparti EIV, non regolamentati da alcuna legge, sono in contrasto anche con le direttive europee, i richiami della Corte Europea di Strasburgo e della stessa Corte Costituzionale. Non c’è male a proposito di legalità, bisognerebbe dirlo a Cofferati…..in effetti sullo sfondo di queste vicende c’è pure un’altra emergenza, quella relativa a indagini e accertamenti che coinvolgono una parte trasversale della nostra classe politica in affari poco chiari. La campagna d’ordine e sicurezza potrebbe allora rivelarsi oltre che un maldestro tentativo di accaparrarsi e contendersi voti con la destra più estrema, anche un abile diversivo volto a concentrare l’attenzione della pubblica opinione, e perché no il lavoro della magistratura, verso argomenti che non nuocciano a chi da sempre, vinca uno o l’altro schieramento, esercita o amministra il Potere.
Adriano Ascoli, Marco Dal Toso, Giovanni Montefusco

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