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Omicidio Cucchi: la nuova inchiesta tira in ballo i carabinieri

Indagato un maresciallo dei carabinieri e altri due militari nel mirino dell’inchiesta bis. Dal processo d’appello l’esortazione dei giudici a indagare meglio sull’Arma

Omicidio Cucchi, spuntano i carabinieri tirati fuori, all’epoca dai fatti, dal gioco di squadra tra la Procura, molto legata all’Arma, e l’allora ministro della difesa La Russa. Ora tre carabinieri sono sotto inchiesta a quasi sei anni dalla morte del ragazzo di 26 anni. Tra loro, l’ex vicecomandante della stazione di Tor Sapienza dove Cucchi fu portato la notte dell’arresto (il 15 ottobre 2009), indagato per falsa testimonianza. Si tratta del maresciallo Roberto Mandolini la cui deposizione al processo d’appello contro medici e agenti della polizia penitenziaria è risultata in conflitto con i fatti accertati dai pm. Per altri due militari potrebbe verificarsi presto l’iscrizione al registro degli indagati per lesioni colpose: le percosse inflitte al ragazzo.

Due testimoni in divisa avrebbero coinvolto il maresciallo Mandolini nell’inchiesta bis per l’omicidio di Stefano Cucchi. Due carabinieri, probabilmente, forse testimoni delle fasi successive all’arresto oppure di quello che poteva accadere in una delle caserme dei carabinieri in cui si svolse la via crucis del ragazzo. Il maresciallo fu vicecomandante della stazione di Tor Sapienza dove Cucchi passò la notte dell’arresto. I due si sarebbero presentati prima dell’estate dal pm Pignatone che indaga su impulso della sentenza d’appello che, pur assolvendo secondini, medici e infermieri penitenziari, accusati a vario titolo della morte di Cucchi, esortava a fare luce sulla prima fase del calvario del giovane romano arrestato sei giorni prima di morire e vittima di un pestaggio nelle fasi dell’arresto, o della traduzione a Piazzale Clodio oppure dell’ultimo viaggio da lì a Regina Coeli.

Secondo i risultati del controverso processo, Cucchi fu malmenato più volte dal momento dell’arresto fino alla detenzione in carcere. Nella motivazione di 67 pagine il presidente Mario Lucio D’Andria, il giudice a latere Agatella Giuffrida insieme con i componenti della giuria popolare avevano sottolineato che «le lesioni subite da Cucchi sono necessariamente collegate ad un’azione di percosse e comunque da un’azione volontaria che può essere consistita anche in una semplice spinta che abbia provocato la caduta a terra con l’impatto sia del coccige, sia della testa contro una parete o contro il pavimento». Sempre per quanto riguarda le lesioni provocate a Cucchi la Corte sottolineava che «non può essere definita un’astratta congiuntura l’ipotesi emersa in primo grado secondo la quale l’azione violenta sarebbe stata commessa dai carabinieri che hanno avuto in custodia Cucchi nella fase successiva alla perquisizione domiciliare» e ciò perchè l’ipotesi si fonda su concrete circostanze testimoniali dalle quali emerge che «già prima di arrivare in Tribunale Cucchi presentava segni e disturbi che facevano pensare ad un fatto traumatico avvenuto nel corso della notte».

L’inchiesta a molti sembrò strabica concentrandosi solo sulla polizia penitenziaria e i medici del “repartino” del Pertini che ebbero in custodia Cucchi durante la detenzione. Più volte anche il Dap rilasciò comunicati che avvertivano della necessità di andare a controllare altre amministrazioni coinvolte nella vicenda. A porre un diktat sulla Benemerita fu La Russa in persona: «il Ministro della Difesa aveva rivendicato la correttezza del comportamento dei Carabinieri – scrive la sentenza di primo grado – inoltre vi erano state dichiarazioni di parlamentari appartenenti a diversi schieramenti politici, il tutto veicolato da Radio Radicale, (emittente nazionale), con la trasmissione “Radio Carcere”, molto popolare tra i detenuti». E poi ci sono i “pasticci” delle carte che accompagnano il detenuto all’udienza di convalida, da cui risultava essere un albanese più anziano e senza fissa dimora così da precludergli i domiciliari. Oppure il “giallo” dell’avvocato: Cucchi ne aveva nominato uno ma l’Arma non l’ha cercato. E le dichiarazioni dei militari cozzano spesso tra loro

Comincia a dare frutti, così pare, l’inchiesta bis della Procura di Roma disposta dopo l’assoluzione in corte d’appello di medici e secondini. Il vice comandante di Tor Sapienza sarebbe caduto in contraddizione sulla propria partecipazione alle perquisizioni domiciliari eseguite nei confronti di Cucchi. Non sarebbe stato convincente sul mancato fotosegnalamento. Perché non fu fatto? E perché gli altri due carabinieri operarono in borghese e non risulterebbero ufficialmente fra gli esecutori dell’arresto? Mandolini, il maresciallo, disse: «Il signor Cucchi mi disse che non gradiva sporcarsi con l’inchiostro per gli accertamenti dattiloscopici (impronte, ndr) e fotosegnaletici. Dopo questa sua richiesta non ho ritenuto necessario farlo, visto che era una persona tossicodipendente, non l’ho voluto sforzare a fargli questa identificazione e non gli feci fare questi rilievi».

Ilaria Cucchi, la sorella, lo aveva detto che non sarebbe finita con quel colpo di spugna del processo d’appello. E l’entrata in scena di testimoni in divisa potrebbe non essere l’unica novità dell’inchiesta bis di questa fase.

«In questi anni non ci siamo mai fermati, né io né il mio avvocato. Incontreremo lunedì il procuratore capo. Questa è la prima delle novità che ci saranno sul caso della morte di mio fratello. Io l’avevo detto: non era finita», dice a Popoff Ilaria Cucchi non appena si sparge la notizia dell’indagine per falsa testimonianza su un carabiniere dell’ex vicecomandante della stazione di Tor Sapienza di Roma. Al vaglio ci sarebbero anche le posizioni di altri due militari. Anche Fabio Anselmo, legale dei Cucchi e protagonista di altri processi per malapolizia (Aldrovandi, Uva, Budroni, Bifolco, Ferrulli ecc…) prende atto «con soddisfazione» delle ultime notizie. «Credo si tratti solo dell’inizio; la verità sta venendo a galla. Abbiamo raccolto elementi che crediamo siano di grande contributo per far luce sull’intera vicenda e li abbiamo portati in procura. Sono certo che la procura avrà fatto molto di più. Questi elementi riguardano aspetti medico-legali e la ricostruzione degli eventi dei quali è rimasto vittima Stefano. Lui è stato pestato probabilmente più volte e poi è morto in conseguenza di quei pestaggi».

Checchino Antonini da Popoff

 

Il commento dell’avv. Fabio Anselmo, legale della famiglia Cucchi,  rilasciato a Radio Onda d’Urto. Ascolta o scarica.

Ascolta anche il commento della sorella di Stefano, Ilaria Cucchi.

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