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Nell’hotspot di Lampedusa tra degrado e disumanità

Situazione sempre più preoccupante nell’hotspot di Lampedusa dove sono stipati circa 200 migranti, il doppio della capienza prevista. In quaranta vanno via, ma nella notte di ieri ne arrivano altri 78.

La prefettura di Agrigento ha avviato il primo trasferimento: in 40 nella notte sono stati condotti a Porto Empedocle, a bordo del traghetto di linea, tra loro 21 minorenni e 2 donne. I profughi, quasi tutti di nazionalità tunisina, sono stati accompagnati nella struttura Villa Sikania, a Siculiana, suscitando nel piccolo centro dell’Agrigentino, anche nell’amministrazione comunale, insofferenza e proteste. Tre di loro sono stati prelevati dalla squadra mobile per accertamenti di natura investigativa.

Nelle stesse ore sono approdate in autonomia 78 persone, tra siriani e bengalesi, riferendo di essere partiti lunedì dalla Libia. Mentre però 106 sono ancora al largo di Lampedusa sulla Mare Jonio.

Ma è l’hotspot di Lampedusa a far vivere i migranti in una situazione disumana e degradante. Il sindaco Totò Martello ha lanciato da giorni l’allarme. Ha denunciato che nel centro è rotto l’apparecchio per rilevare le impronte e di conseguenza i migranti, in base alle regole, non possono uscire senza che ne venga accertata l’identità tramite lo strumento non funzionante. Succede che, ancora in base alle regole, è vietato uscire dall’hotspot. Sempre in base alle regole, non li si può tenere chiusi più di 48 ore ma, di fatto, nessuno sa da quanti giorni sono lì. Che la situazione dell’hotspot sia esplosiva, l’ha verificato qualche giorno fa anche il senatore del gruppo misto Gregorio De Falco, che ha effettuato un’ispezione nella struttura: «La situazione dentro e fuori il centro è assolutamente insostenibile», ha detto, segnalando la scarsità di kit per l’igiene, telefoni pubblici guasti, i pasti consumati all’aperto perché mancano zone destinate a mensa. D’altronde c’è in corso un’inchiesta della procura di Agrigento fatta riaprire a maggio scorso dalla gip di Roma. «È evidente – si legge nell’ordinanza firmata il 2 maggio – la necessità di compiere indagini territoriali». Tutto comincia con un provvedimento del 29 marzo 2017 quando la procura di Agrigento, svolte le indagini, chiedeva di archiviare il fascicolo.

Ma il 24 agosto dello stesso anno, dopo l’opposizione della parte offesa che aveva depositato nuovi elementi, il gip di Roma decise di vederci chiaro. Il fascicolo era infatti arrivato nella capitale perché vi era il sospetto che illegalità fossero state ordinate dai vertici ministeriali a Roma. Per quanto le prime indagini risalgano al 2011, secondo il gip di Roma l’irregolarità «appare protrarsi alla data odierna». In un caso, una persona «era stata rinchiusa in una stanza – si legge nell’atto giudiziario – e aveva segni visibili sul corpo che potevano far pensare ad attività di violenza». Un episodio che la procura volle archiviare, ma che secondo il gip richiedeva maggiori approfondimenti.

«La situazione nell’hot spot di Lampedusa è drammatica», aveva del resto dichiarato il Garante nazionale delle persone private della libertà Mauro Palma sentito dai magistrati che conducevano l’inchiesta. Il Garante disse che nella struttura «si dovrebbe rimanere per un massimo di 48 ore, invece il tempo di permanenza è più lungo e spesso non definito, configurando lo stato di detenzione arbitraria». Inoltre, «la circostanza che le persone a Lampedusa non possano agire in libertà non è dovuta – spiegò il Garante – a un ordine o a una disposizione ministeriale, ma piuttosto a ordini eventualmente emanati dalle autorità del luogo».

Damiano Aliprandi

da il dubbio

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